Openpolis - Argomento: Marchionnehttps://www.openpolis.it/2012-11-02T00:00:00ZPietro ICHINO: Sui 19 della Fiat anche il giudice ha commesso un errore - INTERVISTA2012-11-02T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it656699Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
In nessun altro Paese al mondo un caso di discriminazione come questo sarebbe stato sanzionato con l'ordine giudiziale di costituzione di 19 nuovi rapporti di lavoro. La sanzione più appropriata ed efficace è costituita dal risarcimento del danno.
<p><b>Diciannove messi in mobilità per rispettare una sentenza dello Stato: non pensa che quello di Fiat sia una ritorsione?</b>
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Sul piano strettamente giuridico non lo è. Un effetto indiretto del provvedimento giudiziale è una eccedenza di personale; e il nostro ordinamento consente all’impresa di risolvere il problema con il licenziamento collettivo. Il punto è che non possono essere licenziati i 19 della Fiom neo-assunti, poiché sarebbe una reiterazione della discriminazione ai loro danni; ma sarebbe evidentemente inaccettabile che venissero licenziati al loro posto altri 19, che con lo scontro tra Fiat e Fiom non hanno nulla a che fare. Sono questi gli effetti velenosi di un provvedimento giudiziale sbagliato.
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<b>Perché sbagliato? Che cosa avrebbe dovuto fare il giudice in questo caso?</b>
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Di fronte a un caso come questo, in qualsiasi altro Paese il giudice avrebbe adottato la sanzione più appropriata, che è quella del risarcimento del danno: non dimentichiamo che qui non si tratta di licenziamento discriminatorio, ma di mancata assunzione, che è cosa assai diversa. L’esperienza statunitense mostra come un risarcimento salato possa costituire un deterrente efficacissimo contro un comportamento discriminatorio di questo genere. E non determina le situazioni assurde a cui assistiamo oggi a Pomigliano.
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<b>I sindacati nutrono dubbi sul fatto che Pomigliano possa riassorbire tutti i lavoratori come da accordi sindacali firmati a suo tempo; e nel frattempo all’interno della fabbrica il clima – comprensibilmente – si è fatto rovente. È ancora convinto che lo stabilimento campano sia un modello per l’Italia?</b>
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Guardi che anche i sindacalisti della Fiom riconoscono che lo stabilimento di Pomigliano è un gioiello sul piano tecnologico e produttivo. Chiunque conosca l’industria automobilistica lo riconosce. Altro è il problema della ripresa della produzione di auto a pieno ritmo negli stabilimenti italiani della Fiat: questo dipende da molti fattori, la maggior parte dei quali sfugge al controllo della stessa Fiat.
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<b>Quali strade possono essere intraprese oggi – da tutte le parti – per evitare che il rispetto di una sentenza della magistratura porti al licenziamento di diciannove persone?</b>
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Se fossi il ministro del lavoro, convocherei le parti per un tentativo di voltar pagina rispetto alla situazione assurda che si è determinata. Farei tutto il possibile per indurre la Fiom a firmare gli accordi aziendali di Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco, cessando le ostilità e ottenendo così il riconoscimento dei propri rappresentanti in azienda; e per indurre la Fiat a rinunciare al licenziamento collettivo, risolvendo il problema con un contratto di solidarietà, in attesa della congiuntura positiva, che speriamo non si faccia attendere troppo.
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<b>L’accordo interconfederale tra Confindustria e Cgil-Cisl-Uil del giugno 2011 ha aumentato il peso della contrattazione aziendale in maniera considerevole. Non pensa che l’insistenza di Fiat nel chiamarsi fuori da questa intesa indichi una volontà di sottrarsi a un quadro di regole comuni e che la decisione di ieri di rispondere con una rottura a una sentenza dello Stato ne sia una conferma?</b>
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Se è per questo, anche la Fiom se ne chiama fuori, pur essendo parte della Cgil: altrimenti, dopo l’accordo interconfederale del giugno 2011 avrebbe firmato gli accordi aziendali Fiat, che ne hanno anticipato il contenuto. Quanto alla Fiat, che essa abbia inteso sottrarsi al sistema sindacale interconfederale è evidente. Ma quel sistema non è legge dello Stato. Il nostro ordinamento garantisce il pluralismo sindacale non soltanto sul versante dei lavoratori, ma anche su quello degli imprenditori. E il pluralismo serve perché modelli di relazioni industriali diversi possano confrontarsi e competere tra loro. In modo che i lavoratori e gli imprenditori stessi possano scegliere quello che ritengono produca i risultati migliori. Naturalmente, sempre nel rispetto della legge: su questo non può esserci alcun “pluralismo”.
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<b>Come mai un’azienda che si presenta come alfiere della modernizzazione industriale non è in grado di proporsi oggi alla platea dei suoi lavoratori in una logica di condivisione delle scelte? È solo un problema di comunicazione?</b>
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Per litigare occorre sempre essere in due. Sia Fiat sia Fiom hanno qualche ragione per accusarsi a vicenda. Ha ragione la Fiom, secondo quanto accertato dal giudice, quando accusa Marchionne di avere discriminato i suoi iscritti nelle assunzioni; ma ha ragione anche Marchionne quando accusa la Fiom di aver fatto la guerra fin dall’inizio – primavera 2010 – contro il suo piano industriale, sulla base di un principio che solo un anno dopo, con la firma dell’accordo interconfederale del 28 giugno, la stessa Cgil avrebbe riconosciuto come sbagliato: quello della rigida e assoluta inderogabilità del contratto collettivo nazionale.
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<b>Il partito di cui fa parte non ha mai avuto negli ultimi anni una posizione univoca sul caso Fiat. Oggi è possibile trovare una sintesi tra le varie anime dei democratici?</b>
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Sarebbe preoccupante che in un grande partito di centrosinistra tutti avessero la stessa posizione su di una vicenda complessa come questa, originata dagli accordi Fiat del 2010. L’unità del partito si deve esprimere nel voto, alle elezioni e negli organi elettivi; non certo nell’appiattimento di tutte le opinioni su quella del segretario. Sta di fatto che, da quarant’anni a questa parte, le mie opinioni non sono “fuori linea”: hanno il solo difetto di essere in anticipo di qualche anno rispetto a quelle del mio partito.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.pietroichino.it/?p=23825&print=1">Secolo XIX | Salvatore Cafasso</a>Pietro ICHINO: «Non ho cambiato idea, la svolta di Marchionne era giusta» - INTERVISTA2012-09-18T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it650426Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
<b>Il mondo politico e sindacale, quasi al completo, rimprovera a Marchionne scarsa chiarezza: e lei?</b>
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Non cambierei di una virgola le opinioni espresse negli ultimi due anni sulla vicenda dei contratti aziendali di Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco. Sia sotto il profilo giuridico, perché quelle pattuizioni erano e restano pienamente legittime, sia sotto il profilo dell’opportunità sindacale e industriale di votare ‘sì’ ai relativi referendum.
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<b>Ma è un modello che di fatto rischia di venire meno se proprio la Fiat rinuncia ai suoi investimenti.</b>
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Innanzitutto, non dimentichiamo che nel 2003, quando Marchionne ha assunto la guida del Gruppo, la Fiat era in stato fallimentare. Aggiungo, poi, che quegli accordi hanno una parte rilevante del merito della svolta nel nostro sistema delle relazioni industriali che si è concretata l’anno successivo, con l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, firmato anche dalla Cgil. Senza la vicenda Fiat, probabilmente quella svolta non ci sarebbe stata. E senza gli accordi aziendali del 2010 non ci sarebbero stati neppure gli investimenti in essi previsti; non vedo, dunque, che cosa i lavoratori interessati avrebbero guadagnato col respingere quegli accordi, come la Fiom li invitava a fare.
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<b>Ma la Cgil e la Fiom denunciavano il limite di quel piano.</b>
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È vero che il piano industriale lasciava aperti alcuni interrogativi sul futuro, ma che cosa mai avrebbero guadagnato i lavoratori e il nostro Paese dal respingerlo in limine? Oltre tutto quando quegli accordi sono stati discussi e sottoposti a referendum, non era ancora sorta la questione della esclusione della Fiom dalle rappresentanze sindacali riconosciute in azienda: esclusione che è avvenuta solo dopo la sottoscrizione, proprio in conseguenza del rifiuto di firmare da parte della stessa Fiom, in applicazione di quanto previsto dall’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori come modificato dal referendum del 1995.
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<b>Crisi di mercato a parte, secondo lei c’entra anche lo scontro giudiziario con la Fiom nella revisione dei piani Fiat per l’Italia?</b>
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Ero e resto dell’idea che la guerra senza esclusione di colpi condotta dalla Fiom contro il piano industriale della Fiat è stato un gravissimo errore, oltre che un fatto incompatibile con un sistema di relazioni industriali moderno ed efficiente. Certo non è questa guerra la causa della crisi che oggi gli stabilimenti Fiat stanno attraversando, ma altrettanto certamente essa non ha giovato né all’impresa, né ai lavoratori, né alla nostra immagine di fronte agli operatori economici di tutto il resto del mondo, come giustamente osserva <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/getPDFarticolo.asp?currentArticle=1KF10M">Alessandro Penati sulla Repubblica</a>.
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<b>Difficile però convincere oggi i lavoratori che il futuro è lo stesso.</b>
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Ho ben presente l’ansia, più che giustificata, che i lavoratori della Fiat oggi provano per la crisi attuale della nostra industria automobilistica; e sono ben convinto della necessità di una politica industriale che elimini le ragioni di quest’ansia. Ma questa politica non può che consistere nell’aprire il nostro Paese agli investimenti stranieri, facendone un luogo ospitale e attraente per chi vuole insediarvi le proprie iniziative economiche; non mi sembra che a questo scopo sia di aiuto il continuare a dipingere e trattare, qui da noi, come un demonio quello stesso Sergio Marchionne che i sindacati e i lavoratori americani considerano invece un grande capitano d’industria.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/getPDFarticolo.asp?currentArticle=1KH2QQ">Il Mattino | Nando Santonastaso</a>LAURA PUPPATO: «Da premier vorrei subito il piano Fiat» - INTERVISTA2012-09-18T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it650080Alla data della dichiarazione: Consigliere Regione Veneto (Lista di elezione: PD) - Consigliere Consiglio Comunale Montebelluna (TV) (Lista di elezione: Ulivo) <br/><br/><br />
La consigliera veneta si infila tra Bersani e Renzi con una candidatura nata dal movimento "Se non ora quando". Punta a conquistare i voti di delusi, donne, giovani, Cinque Stelle. «Bisogna ricominciare a parlare di giustizia e ambiente, difendere i lavoratori, battersi per le riforme».
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Laura Puppato da brava veneta è un motore diesel che parte piano, ma poi taglia i discorsi in due col bisturi. Da quando ha annunciato la sua candidatura alle primarie del Pd mettendosi in mezzo tra Renzi e Bersani «arrivano migliaia di mail di incoraggiamento: madri, docenti universitari all'estero che torneranno per votarmi, imprenditori, studenti, consiglieri regionali di tutta Italia, sindaci, ma anche tanti politici».
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Quali? Mistero. La verità è che Laura, imprenditrice di 55 anni e animale politico, 60mila voti a sorpresa alle Europee 2009 e 26mila preferenze alle ultime regionali – quasi la metà dei voti andati al centrosinistra – oggi capogruppo del Pd in Regione, è piaciuta sempre poco all’apparato (ma è la cocca di Cacciari) e tanto alla civitas communis: «Ho un'utilitaria, vivo in una casetta a schiera e sono un viaggiatore leggero perché uso il treno, sarà per quello?». Tanto da riuscirle lo scherzo di diventare sindaco di Montebelluna nel cuore della Marca leghista, una specie di villaggio di Asterix che lei ha governato con solida efficienza costruendo asili nido e casette a schiera per le giovani coppie, dando corso a best practice come raccolta differenziata, riciclo, risparmio energetico e tutela ambientale.
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Ora a sorpresa annuncia di voler fare il terzo incomodo alle primarie con una <a href="http://politici.openpolis.it/dichiarazione/2012/09/13/laura-puppato/la-donna-che-sfida-bersani-e-renzi-intervista/650079">candidatura nata dal movimento di donne “Se non ora quando” (che pare avessero pensato in prima battuta a Concita de Gregorio, che ha declinato ma tirato la volata all’amica Puppato con l’articolo su Repubblica</a>) che attinge all’entourage ambientalista e strizza l’occhio al mondo femminista e movimentista di una sinistra un po’ appannata. L’idea è di recuperare voti dall’astensionismo e dai grillini delusi.
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<b>Ora che si è candidata alle primarie molti politici anche del Pd hanno storto il naso richiedendole di dimettersi dalla Regione.</b>
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Opinioni legittime, però mi sembrava che il contraddittorio a due non avesse senso, e poi è giusto che una grande forza politica come il Pd ricominci a parlare di giustizia e ambiente, difenda i lavoratori, si batta per le riforme. Da veneti siamo propensi a pensarci nelle seconde e terze file, e poi c’è una diffidenza di genere trasversale a tutti i partiti: sono una donna. Anche la candidatura di Tina Anselmi nel ‘96 è stata bruciata due volte, penso che se avesse governato avremmo avuto meno problemi su questioni tipo la P2. Quanto alle dimissioni, perché nessuno chiede a Renzi di dimettersi da sindaco di Firenze? Perché non lo hanno chiesto a Vendola?
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<b>Ha sentito i suoi avversari?</b>
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Bersani mi ha chiamato a cose fatte, dice che ha capito e apprezzato la mia scelta. Tra noi c’è un ottimo rapporto.
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<b>E Renzi?</b>
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Mi voleva reclutare nel suo staff, aveva pensato a me come sostegno alla sua candidatura. Non so come l’ha presa, mi ha mandato un piccolo sms di auguri.
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<b>La notorietà di Bersani e Renzi e l’uso che faranno dei media nei prossimi mesi non sono paragonabili alle sue armi e alla sua notorietà. Come pensa di spuntarla?</b>
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Questa è una cosa che mi piace, e credo che essere meno nota sarà persino un vantaggio. C’è bisogno di sobrietà, e di mettersi a disposizione e a livello dei cittadini.
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<b>In concreto da presidente del Consiglio cosa farebbe nel caso dell’Ilva?</b>
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Attiverei di nuovo i fondi europei – quei 3 miliardi e 29 milioni che Berlusconi si è mangiato per l’operazione Alitalia – per bonificare il territorio, e farei fare un’indagine per comprendere se ci sono alternative all’ubicazione del sito. In caso contrario farei controllare che sia messo in sicurezza in ogni sua parte, non è da paese occidentale che ci siano i depositi delle ceneri senza copertura.
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<b>Alcoa?</b>
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Organizzerei una riunione con la Regione e gli imprenditori locali per valutare quali start up si possono avviare e per cercare delle attività imprenditoriali alternative che possano impiegare le maestranze, magari debitamente riconvertite secondo un programma di formazione professionale. Avrei speso così i soldi che il governo ha buttato dal 2009 per tenere aperto un sito senza nessuna idea di una programmazione industriale.
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<b>Fiat?</b>
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Indirei un tavolo immediato di concertazione nel quale venga presentato il piano industriale dell’azienda, quello che non è mai stato presentato da Marchionne, dove siano specificati gli investimenti nei veicoli nuovi, chiedendo particolare attenzione a verifiche dal punto di vista ecologico e ambientale e prevedendo veicoli ibridi ed elettrici.
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<b>Marghera?</b>
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Attingendo a fondi europei si dispone la bonifica del territorio per pianificare un progetto di riconversione sul modello del bacino tedesco della Ruhr, dove ci sia spazio per la produzione industriale con strutture innovative e attenzione all’ambiente, e recuperando l’archeologia industriale con dei musei.
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<b>Renzi lo sa che lei sta per diventare nonna?</b>
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Non glielo dite sennò mi rottama subito.
<br /><br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1KH25C">il Fatto Quotidiano | Erminia della Frattina </a>Anna Maria CARLONI: Fiat. «Il governo verifichi la fondatezza delle dichiarazioni di Marchionne»2012-09-18T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it650074Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />«Il governo verifichi al più presto la fondatezza delle dichiarazioni dell'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, in merito al superamento del Piano Fabbrica Italia». |<i>vedi il link 'Intervista a Marchionne su Repubblica'</i>|
<p> «Si convochi al più presto l'azienda e le organizzazioni sindacali affinché si avvii una seria ed impegnativa discussione sulla politica industriale e sulle scelte necessarie per mantenere le produzioni Fiat in Italia. Sarebbe opportuno che i ministri competenti riferissero tempestivamente in parlamento e attivassero, di concerto con le regioni coinvolte, tutte le possibili iniziative per riportare gli stabilimenti italiani al centro dei progetto dell'azienda».
<p>«E' per questo che chiediamo al governo un intervento più efficace che scongiuri conseguenze occupazionali devastanti».<p>
<i>Lo chiede la senatrice del Partito Democratico Annamaria Carloni mediante un'interrogazione, di cui è prima firmataria, al presidente del Consiglio e ai ministri dello Sviluppo Economico, del Lavoro e dell'Economia.</i>
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<b><a href="http://parlamento.openpolis.it/atto/documento/id/74168">Interrogazione sui lavoratori della Fiat a Pomigliano su OpenParlamento</a></b>
<p><a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1KGXVU"><b>Intervista a Marchionne su Repubblica</b></a><br /><br/>fonte: <a href="http://www.primapaginanews.it/stampa.asp?id=109700">Prima Pagina News</a>Elsa Fornero: Che cosa chiedo alla Fiat2012-09-17T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it650427Alla data della dichiarazione: Ministro Welfare<br/><br/><br />
La Fiat è ormai una multinazionale. Ma è anche una grande industria italiana. Per questo, Marchionne ha il dovere di spiegarci quali sono le sue strategie per l’Italia. Aspettiamo sue notizie nei prossimi giorni. Io ho molte cose da chiedergli. E l’attesa non può essere eterna…».
<p> Elsa Fornero è molto preoccupata. E lancia l’ultimo appello al Lingotto: «Il governo non può imporre le sue scelte a un’impresa privata. Non possiamo “convocare” l’amministratore delegato al ministero. Ma all’amministratore delegato abbiamo chiesto un impegno preciso: ci dica come intende cambiare i contenuti del piano Fabbrica Italia. Ci dica se e come sono state modificate le strategie di investimento del gruppo nel nostro Paese. Ci dica se e come sono mutati gli impegni occupazionali negli stabilimenti attivi sul territorio nazionale. Marchionne non può tirarsi indietro. Lo deve non tanto e non solo al governo e ai suoi azionisti, ma soprattutto ai lavoratori della Fiat, e a migliaia di famiglie che vivono grazie alla Fiat. E lo deve anche all’Italia… ».
<p>Dunque, per il ministro del Welfare non bastavano l’Alcoa e l'Ilva. Non bastavano il Sulcis, Taranto e i 150 tavoli aperti su altrettante crisi aziendali, a rendere ancora più caldo il solito autunno che sta per cominciare. La crisi della Fiat chiude il cerchio. In tutti i sensi: da quello pratico a quello simbolico. Fornero ne parlerà in serata al concerto di gala del “Prix Italia” di Torino: quasi un mezzo consiglio dei ministri informale, con i “colleghi” degli Interni Anna Maria Cancellieri e dell’Istruzione Francesco Profumo. In quella che fu la capitale dell’auto quasi non si parla d’altro. La “ritirata” del Lingotto. Il “tradimento” di Sergio l’Amerikano.
<p>La conferma del declino industriale di un Paese che, a dispetto di qualche ottimismo di troppo profuso in questi ultimi giorni dal governo, resta ancora piantato dentro al tunnel. E se si intravede qua e là una flebile luce — come del resto aveva avvertito pochi giorni fa proprio l'amministratore delegato della Fiat con il suo consueto e profetico cinismo — «forse non è il tunnel che finisce, ma è solo il treno che ci sta per travolgere». Ora la profezia si autoavvera. Il «treno che ci sta per travolgere » è la fine troppe volte annunciata del grande sogno di Fabbrica Italia.
<p> Al suo posto, ora c’è l’incubo dell’ennesima disfatta industriale. La “fuga” della Fiat dal Belpaese. La chiusura di almeno due dei cinque stabilimenti superstiti (Pomigliano, e chissà, magari anche Mirafiori). La ricaduta occupazionale potenzialmente devastante sui quasi 25 mila dipendenti diretti del gruppo (senza considerare l’indotto).
<p> L’addio definitivo a un altro settore produttivo, l’automobile, che prima e soprattutto dopo la guerra ha rappresentato il cuore del Miracolo Economico. Smantelleremo anche quello, dopo aver alzato bandiera bianca sulla chimica e l’informatica, la siderurgia e l’alimentare?
<p>La Fornero non si rassegna. «A noi sta a cuore che la Fiat difenda e rilanci la sua produzione e i suoi investimenti in Italia». Se questo non accadesse, il danno sarebbe enorme. Non solo per gli “stakeholder”, come li chiama il ministro del Welfare, ma per l’intera nazione.
<p> Il problema è che Marchionne finora non ha dato nessuna spiegazione, e nessuna garanzia. Per questo la Fornero rilancia: «Io ho parlato più volte con Marchionne. Ci avevo parlato prima dell’estate, e ci ho parlato di nuovo nei giorni scorsi. Dopo l’annuncio di venerdì, all’amministratore delegato ho chiesto un incontro urgente. Gli ho comunicato una serie di date. Mi ha risposto che era in partenza per gli Stati Uniti, e che mi avrebbe fatto sapere al suo rientro. Ma finora il mio telefono non ha ancora squillato. Sto aspettando sue notizie. Me le aspetto nei prossimi giorni, e non mi faccia dire di più…».
<p>Il ministro evita gli ultimatum: anche perché quelli timidamente abbozzati finora, con il numero uno del Lingotto non hanno prodotto nessun risultato. Sarebbe rovinoso se lo schema si ripetesse ancora una volta: il governo che fa la voce grossa, il “ceo” che fa spallucce e va avanti per la sua strada. La strada che porta a Detroit, dove Marchionne sta lavorando anche in questi giorni. Per questo, evidentemente, non ha tempo per alzare il telefono, e dare una data alla Fornero che gliela chiede.
<p>«E’ vero — ammette il ministro — finora le nostre richieste non hanno raggiunto risultati concreti. E questo è un problema che avvertiamo, mi creda. Ma con la stessa sincerità le dico che il governo, in questi mesi e in queste ore non è stato con le mani in mano. Contatti ci sono stati e ci sono, con il Lingotto. Corrado Passera si sta facendo carico del confronto sulle strategie industriali, io delle ricadute occupazionali. Le assicuro che ci stiamo muovendo…».
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Fornero ha un lungo elenco di domande, da rivolgere all’amministratore delegato. Il ministro è il primo a riconoscerlo: «La crisi dell’auto — osserva — è globale e strutturale». Ma perché la Fiat perde molto più del mercato? E perché l’Italia continua ad essere l’area di maggiore criticità? Il nostro Paese diventerà solo uno dei tanti sbocchi di commercializzazione, o resterà ancora uno dei centri nevralgici di produzione automobilistica? Quali e quanti stabilimenti potrebbero chiudere? Ci sono progetti alternativi di reimpiego o di reindustrializzazione? La lista delle richieste potrebbe continuare. Purtroppo, finora, quello che manca drammaticamente sono le risposte. Ma anche se i fatti di questi mesi e di queste settimane non le danno ragione, Fornero nega che il governo sia stato inerte, se non addirittura “insensibile” di fronte agli allarmi che arrivavano lungo la rotta Torino-Auburn Hill. Non si sente un «ministro inesistente uscito da un libro di Italo Calvino», come ha scritto giustamente Luciano Gallino su questo giornale. «No, a questa rappresentazione non ci sto — obietta — e posso garantirle che sul caso Fiat il governo ha le idee molto chiare, e si sta impegnando in modo unitario e molto deciso. Nei prossimi giorni lo vedrete… ».
<p>Il problema è capire i termini di questo «impegno unitario e deciso». Se cioè Monti e i suoi ministri possano limitarsi ad ottenere una semplice “informativa” da Marchionne, oppure se vogliano inchiodarlo ad un vincolo più stringente sul piano delle scelte strategiche. Fornero, sia pure con cautela, accredita la seconda ipotesi: «L’epoca dello Stato Padrone è finita da un pezzo, per fortuna. Il governo non può decidere dove una grande industria privata deve allocare le sue risorse. Ma la Fiat, che ha fatto tanto per l’Italia, ha anche delle responsabilità verso questo Paese. Vorremmo che ne tenesse conto, e che desse un segnale al più presto… ».
<p>Il monito è rivolto a Marchionne: il suo silenzio non può durare ancora a lungo, e comunque non certo fino al consiglio di amministrazione Fiat fissato per il 30 ottobre: il chiarimento deve avvenire molto prima. Ma il monito sembra rivolto anche a John Elkann: la famiglia Agnelli non può tacere a sua volta, riparata dietro al suo manager. Fabbrica Italia era un progetto faraonico: 20 miliardi di investimenti, che rappresentavano un volano potenziale per l’intera economia nazionale. Se ora svaniscono, o si dirottano altrove, l’azionista deve pur assumersi le sue responsabilità. Stavolta è in ballo qualcosa di più del destino di un glorioso marchio tricolore. <br />
La posta in gioco è uno degli ultimi “pezzi” del Sistema-Paese.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/getPDFarticolo.asp?currentArticle=1KF16M">la Repubblica | Massimo Giannini</a>Gianfranco Polillo: «Per il cuneo fiscale non ci sono soldi. I sindacati accettino sacrifici o rischiano di sparire» - INTERVISTA2012-08-22T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it648430Alla data della dichiarazione: Sottosegretario Economia e finanze<br/><br/><br />
Sinora, come sottosegretario all'Economia del governo Monti, si è fatto conoscere come quello che "non le manda a dire", a costo di tirarsi addosso furiose polemiche. E anche ieri, appena ha sentito <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1J82C7">le parole di Raffaele Bonanni</a>, Gianfranco Polillo ha restituito pan per focaccia: «Qui la fossa se la stanno scavando i sindacati, non noi. Rischiano di sparire, di diventare il simulacro dei pensionati o, alla meglio, dei dipendenti pubblici. E sia chiaro che mi rivolgo in particolare alla Cgil e a Susanna Camusso, anche perché considero gli amici della Cisl quelli che più hanno capito le sfide che ci sono davanti».
<p> <b>Sottosegretario, Bonanni chiede solo di essere sentito, come accadrà alle imprese...</b>
<p> Bene, benissimo. Ma cosa sono disposti a mettere nel piatto? Qui il discorso è uno solo: accettare alcuni anni di sacrifici, come avvenuto in Germania.
<p> <b>Cosa vuol dire in concreto?</b>
<p> Aumentare la produttività, lavorare di più, legare sempre più parte del salario ai risultati, stipulare contratti che tengano conto delle specificità dei territori. Altrimenti, lo dico senza mezze misure, saranno i mercati, con le loro leggi spietate, a imporci una riduzione degli stipendi. Nel loro interesse, le organizzazioni dei lavoratori escano dalla logica antagonistica e diventino protagoniste del cambiamento. Dimentichino il tempo delle grandi imprese, oggi siamo ancorati al tessuto delle piccole-medie aziende che lottano per sopravvivere.
<p> <b>E' un processo in cui il governo non c'entra nulla?</b>
<p> Monti e i ministri, da oggi in poi, devono essere dei martelli pneumatici con le parti sociali, devono lanciare messaggi perché ci sia un nuovo patto per la crescita e il futuro del Paese. Con i conti in salvo, abbiamo la credibilità per una intensa <i>moral suasion</i>.
<p> <b>Non è pochino? I sindacati, e anche le imprese, vogliono parlare di risorse. Ad esempio, si discute di cuneo fiscale...</b>
<p> Soldi a sufficienza per misure così ampie non ce ne sono. Però, se c'è una vera disponibilità delle parti sociali a lavorare insieme, qualcosa nel piatto si può mettere.
<p> <b>Cosa?</b>
<p> Ad esempio rifinanziare parte del salario legato alla produttività, o aiutare le <i>start-up</i>. Ma senza un clima condiviso, sarebbero soldi sprecati.
<p><b>Non è compito delle imprese rilanciare la crescita investendo?</b>
<p> In teoria sì, ma al momento i loro margini di profitto sono tornati ai livelli del '95, e gran parte sono erosi dalle tasse. Potranno tornare a investire solo dopo anni di sacrifici condivisi con i lavoratori.
<p> <b>Davvero pensa che si possa convincere Susanna Camusso con questi discorsi?</b>
<p> La Cgil dovrebbe guardare alla sua storia per trovare la forza di rispondere alle sfide della globalizzazione.
<p> <b>La sua sembra l'agenda-Marchionne...</b>
<p> Marchionne forse ha scosso l'albero con troppa forza, ma i problemi che pone sono sacrosanti. Come si può fare impresa in Italia, in piena recessione, con tutti questi arroccamenti?
<p><b>La risposta la conosce: "Non ledendo i diritti".</b>
<p> Ma Camusso deve capire che l'Italia l'equità ce l'ha nel sangue, abbiamo un sistema di welfare forte. Non vogliamo ledere i diritti, piuttosto consegnarli alle generazioni future.
<p><b>Per tornare alle risorse: possibile che dopo tanti sacrifici non esca nulla per dare un po' di ossigeno al Paese reale?</b>
<p> Il lavoro di sfoltimento di deduzioni e detrazioni fiscali potrebbe tirare fuori i 6 miliardi necessari per evitare l'aumento dell'Iva. Poi ci sono le risorse dell'evasione. E, a mio avviso, dovremmo condurre la spending review nei meandri dei bilanci degli enti locali. È una giungla, e i meno virtuosi continuano a buttare soldi dalla finestra. Non escludo che, senza intenvenire, potremmo trovarci in casa nostra dei casi-Grecia.
<p><b>C'è un nodo trascurato del capitolo-crescita?</b>
<p> Il ruolo delle banche: i processi di aggregazione e l'ampio <i>turn-over</i> hanno rotto il rapporto con il territorio. Delle imprese non si devono valutare solo i bilanci, ma le potenzialità reali. Un tempo lo si faceva, dobbiamo provare a ricostruire quel modello.
<br /><br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1J9LAB">Avvenire - Marco Iasevoli </a>Pier Luigi BERSANI: «Fedeli all'Europa del rigore. Industria fra le politiche prioritarie» - INTERVISTA 2012-08-09T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it648122Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
La Fiat: «Io credo che bisogna chiamarli e chiedere: vi impegnate voi o no? Perché già una volta negli anni '80 Torino ci ha condizionati». <br />
«La prima cosa che intendo dire all'Italia e all'Europa è che noi siamo quelli dell'euro, siamo quelli dei governi Prodi, Amato, D'Alema che fecero fede in condizioni difficili a tutti i patti internazionali, europei e occidentali, che siamo quelli di Ciampi e Padoa-Schioppa».
<p>Pierluigi Bersani sa che la sfida più grande per lui è ormai arrivata.<br />
Mancano sette-otto mesi alla chiusura della legislatura, ma ormai la corsa in vista delle elezioni è partita. Chi vuole avere chance per andare al governo deve mettere sul tavolo le carte migliori che ha a sua disposizione. Bersani è tra i più accreditati. Lui lo sa. E sul Sole 24 Ore prova a spiegare agli elettori italiani, all'Europa e ai mercati perché devono fidarsi del centro-sinistra dopo i buoni risultati del governo Monti.
<p><b>Bersani, non c'è il rischio che i prossimi mesi siano occupati dalla campagna elettorale, proprio mentre il Paese è ancora chiamato a scelte difficili?</b>
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E intanto utile, in questi mesi che ci avvicinano a un appuntamento elettorale, come avviene in tutte le democrazie del mondo, dare messaggi molto chiari sui temi di fondo: lealtà al governo Monti, lealtà verso il grande obiettivo europeo, responsabilità nella tenuta dei conti, nella riduzione del debito e nella costruzione di un avanzo primario. Contro ogni deriva regressiva e populista intendiamo fare barriera forte. Detto questo, vogliamo arrivare all'appuntamento elettorale dicendo la nostra, sull'Europa e sull'Italia.
<p> <b>Partiamo dall'Europa, deve fare di più.</b>
<b>Ma come e in che direzione?</b>
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<p> L'Europa così come gira non va bene. Io credo innanzi tutto che il dibattito con le opinioni pubbliche europee vada spostato dalle tecnicalità economiche al tema di fondo che è culturale e politico. Il patto iniziale fu la riunificazione della Germania dentro una Europa forte. Se si rompe quel patto andiamo verso l'incognito. Purtroppo in questi anni abbiamo visto diffondersi, sotto l'influsso della globalizzazione, un'ideologia di destra per cui chi è forte pensa che chi è debole gli stia svuotando le tasche. È una ideologia pericolosa, l'abbiamo vista anche nelle reazioni all'intervista di Monti, al di là della frase più o meno felice sui parlamenti.
<p><b>Intanto il clima con la Germania diventa sempre più teso. È giusto secondo lei attribuire ai tedeschi responsabilità su quello che sta avvenendo?</b>
<p> Non va bene fare guerre con la Germania. Noi paesi cosiddetti periferici dobbiamo riconoscere che dopo l'euro non abbiamo fatto i compiti a casa, non abbiamo approfittato dell'abbassamento dei tassi. Secondo me questo è avvenuto per responsabilità di Berlusconi, ma come Paese dobbiamo riconoscerlo. La Germania deve riconoscere, però, che tutto quel che ha guadagnato dall'euro, ed è tantissimo, può anche perderlo e che una famiglia non si salva ammazzando qualche familiare. Quindi va fatto valere un discorso di corresponsabilità. Solo così l'Europa farà passi avanti e li farà fare a tutti noi.
<p><b>L'Italia ha fatto i suoi compiti a casa?</b>
<p> Abbiamo fatto molto. Ma è venuto il momento, e noi lo faremo da subito se saremo chiamati agovernare, di mettere al centro delle nostre preoccupazioni l'economia reale. Quand'anche avessimo tutti gli scudi anti-spread del mondo, se l'economia reale viaggia in questo modo, non ce la caviamo.
<p> <b>La recessione che abbiamo davanti è di dimensioni preoccupanti.</b>
<p> Dobbiamo fare ogni sforzo per la crescita, o almeno per contrastare la recessione. Magari sui conti pubblici teniamo, ma qui rischiamo di arretrare decisamente nelle quote mondiali di produzione e lavoro. Nelle esportazioni i margini si vanno assottigliando. Il mercato interno è fermo. Così rischiamo una riduzione strutturale della nostra base produttiva. Allora nei famosi compiti a casa va data priorità a quella che potremmo definire, in senso esteso, politica industriale, che per me vuol dire anche politiche per i servizi o l'agricoltura.
<p><b>Il governo non fa abbastanza?</b>
<p> Diciamo che per ora c'è attenzione non sufficiente. Ma il problema viene da lontano. Per troppo tempo abbiamo assistito inerti allo spostamento di investimenti dall'economia reale alla finanza. Dobbiamo invertire la rotta. Siamo un sistema di piccole e medie imprese, dobbiamo averne cura. Io rimpiango, per esempio, la dual income tax, il credito d'imposta per la ricerca, le prospettive tecnologiche dell'industria per il 2015. Se avessimo tenuto su queste misure forse non saremmo a questo punto.
<p><b>Il governo ha rinunciato a ripristinare il credito di imposta per la ricerca...</b>
<p>E invece va fatto. Quando io ci lavorai immaginavo uno strumento che doveva insediarsi come strutturale: gli imprenditori devono sapere che è un incentivo a disposizione per anni e senza rubinetti di sorta che creano sfiducia e incertezza.
<p><b>Su quali settori è giusto puntare?</b>
<p> L'Italia deve fare l'Italia. Deve puntare sulle sue tradizioni, tipicità, sul patrimonio del made in Italy. Poi deve portare tutto questo alle frontiere tecnologiche nuove. Quindi l'efficienza energetica, le tecnologie del made in Italy, le scienze della vita, le tecnologie per i beni culturali, e così via.
<p> <b>Intanto la burocrazia e i cavilli bloccano spesso gli investimenti. Cosa fare?</b>
<p> Bisogna agire su alcune condizioni del contorno: dalla giustizia civile alle duplicazioni amministrative. Ma ho una mia idea sul rilancio degli investimenti industriali, quello del riuso delle aree industriali.
<p> <b>Un buco nero fino ad oggi in Italia.</b>
<p> Ed è una grande opportunità. Oggi abbiamo enormi aree dismesse, bloccate dai costi di bonifica e da pastoie burocratico-amministrative. Dobbiamo introdurre un meccanismo anche fmanziario che risolva il problema delle bonifiche e permetta con dei patti d'insediamento qualche accelerazione da un punto di vista amministrativo e autorizzativo.
<p> <b>Resta il problema più ampio della pletora di autorizzazioni e controlli che rendono impossibili spesso gli investimenti.</b>
<p> La via è quella di esternalizzare: una serie di funzioni che riguardano le attività produttive possono essere affidate a un'autocertificazione rafforzata da parte di professionisti assicurati, così l'amministrazione pubblica si concentra sui controlli.
<p><b>Cos'altro ha in mente quando parla di nuova politica industriale?</b>
<p> Ci sono tanti strumenti da rivedere: siamo a posto con le procedure straordinarie, leggi Prodi 1 e 2, la legge Marzano? Secondo me no. Vogliamo discutere sulla cassa integrazione speciale? Mi va bene che tassativamente non ci siano proroghe ma nel sistema industriale italiano è un errore buttare via uno strumento così.
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<b>È giusto usare anche la Cdp per fare politica industriale? <br />
E con che ambiti?</b>
<p>Credo sia utile come riferimento nelle società delle reti e va bene il volano per le infrastrutture. Ma io sarei più ambizioso nel riconsiderare questo fondo strategico che non si capisce bene cosa faccia. Noi abbiamo un sistema di medie imprese, quelle che innovano, investono, si internazionalizzano, che adesso sono piene di impegni con le banche. Allora io dico: con partecipazioni minoritarie, in modo selettivo, è inimmaginabile un fondo misto di partecipazione dove transitoriamente Cdp, le banche trasformando temporaneamente i loro crediti, siano impegnati in operazioni non di salvataggio, ma di supporto?
<p><b>Sulla banda larga continuiamo ad avanzare solo con piccoli passi.</b>
<p> Lì ci vuole una forte regìa del Governo. E sono convinto che Cdp deve essere messa al servizio via via di una soluzione combinata, soluzione che guardi al progetto paese.
<p><b>La produzione automobilistica in Italia continua ad arretrare. II Governo farebbe bene a convocare Marchionne?</b>
<p> La diplomazia economica dei governi è importante. Io ho sempre detto che l'unica soddisfazione certa di un ministro è che se chiami un interlocutore questo deve venire. Poi può dire quello che vuole, ma deve venire e dirtelo. Qui c'è un po' di debolezza del Governo. Su Fiat, ma anche su Finmeccanica dove lo Stato è proprio azionista.
<p><b> Ma la decisione sugli investimenti in Italia tocca alla Fiat non al Governo.</b>
<p>Io credo che bisogna chiamarli e chiedere: vi impegnate voi o no? Perché Fiat già ci ha condizionato già una volta negli anni '8o bloccando la possibilità di altri ingressi Se hanno tutti gli stabilimenti in cassa integrazione, non possono bloccarci nei prossibili sviluppi dell'industria automobilistica in Italia.
<p> <b>Lei ha capito che fine ha fatto il piano Fabbrica Italia?</b>
<p> Io non ho mai capito cosa fosse e quindi non ho mai capito dove è finito. Si è imbastita una polemica tra Marchionne e Fiom e si è perso di vista l'aspetto industriale vero. Se Fiat non ce la fa, meglio i tedeschi che nessuno. Ma io sono preoccupato che un pezzo di Paese vada in controllo estero. Su Ansaldo energia e su Ansaldo trasporti per esempio eviterei di perdere il controllo.
<p><b> Come vede la situazione dell'Ilva?</b>
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La decisione presa martedì consente sviluppi positivi. I temi ambientali, attenzione, sono temi veri.
<p> <b>La politica industriale richiede risorse, così come il rispetto degli impegni Ue. Nel momento in cui vi proponete per governare il Paese dovete dire dove prendete i soldi.</b>
<p> Io vorrei smontare l'assioma o taglio o tasse. Spesso a un taglio corrisponde una sorta di tassa che magari viene pagata dagli italiani più deboli in termini di servizi. Bisogna mirare i tagli agli sprechi veri, altrimenti deprimi il mercato e metti le mani nelle tasche degli italiani.
<p> <b>Altre fonti di risorse?</b>
<p>Riequilibreremo i carichi fiscali. Ma soprattutto: noi al netto del ciclo siamo tra i Paesi messi meglio. Senza toccare l'avanzo primario, bisogna trovare con l'Europa un minimo meccanismo di elasticità.
<p> <b>Cambiare i patti?</b>
<p> No, solo un calcolo del ciclo fatto con buon senso. Da vedere con la Commissione. Se poi arrivasse un po' di sollievo sui tassi... Le operazioni di politica industriale non costano moltissimo. E io darei priorità a un'altra questione: con il governo Prodi non eravamo in crisi e spendevamo 2,5 miliardi di fondo sociale, oggi con la recessione è ridotto a 150 milioni. Non c'è teoria, per quanto liberista, al mondo che non consideri che in epoca di recessione devi rispondere con spesa sociale. Farei una task force con enti locali e terzo settore per affrontare questa questione.
<p><b> Siamo tornati a misure di spesa. Lei ha ribadito gli impegni europei, ma poi quando si parla delle risorse necessarie allo sviluppo e a centrare quegli impegni c'è troppa genericità.</b>
<p> Guardiamo la storia. Quando si è trattato di controllare la spesa corrente abbiamo fatto meglio noi della destra. Per un motivo semplice: conosciamo meglio l'amministrazione e la macchina di governo.
<p> <b>Sugli enti locali si può tagliare ancora?</b>
<p> Bisogna vedere di cosa parliamo. L'enorme pletarora di consorzi e società miste va sbaraccata. Poi bisogna ridurre il carico di impiego pubblico in una forma che lavori sul turn-over in modo intelligente. Poi vanno alienati beni pubblici. Ma in forma realistica, quando sento parlare di 400 miliardi, dico: eravate lì potevate farlo. Ma come lo declina Grilli o come lo dice Astrid sicuramente si può fare.
<p><b> A proposito di dove reperire le risorse non ha ancora parlato di patrimoniale...</b>
<p>La nostra posizione è quella di un contributo dei grandi patrimoni immobiliari. Aggiungo che, a proposito di dove prendo i soldi, noi sull'evasione dobbiamo fare di più. Serve la Maastricht della fedeltà fiscale: arrivare all'obiettivo più tre o meno tre di fedeltà fiscale rispetto all'Europa. Come ci si arriva: attraverso la deterrenza certamente, come si fa negli Usa, ma soprattutto attraverso banche dati incrociate.
<p><b> Ma non pensa che con l'Imu già oggi la tassazione su chi ha più immobili è molto alta? Credo che per i patrimoni più ingenti ci possa essere qualche contributo in più, potenziando un po' le esenzioni per chi ha di meno.<br /> Proviamo a individuare la rappresentanza sociale di un suo eventuale governo.</b>
<p> Lavoro dipendente che fa il suo dovere, professioni che accettano la modernizzazione, l'intellettualità e la creatività italiana, gli imprenditori che fanno il loro mestiere e credono alla loro impresa. Ci metto anche il ceto medio impoverito. Isolo invece come avversari tutte le posizioni di rendite a qualsiasi livello, le ricchezze e i patrimoni che rifiutano la solidarietà. L'accordo con la Svizzera va fatto perché bisogna raggiungere la ricchezza mobile che si occulta.
<p> <b>Non si preoccupa quando Vendola apre a Casini a condizione che «rinunci alle politiche liberiste, mercatiste e rigoriste» appoggiate in questi anni?</b>
<p> Le aggettivazioni ognuno le sceglie come vuole. Che però in questi dieci anni in Italia e in Europa si sia permesso che l'egemonia finanziaria dominasse su tutto è stato un problema.
<p> <b>Ma Vendola mi sa che facesse riferimento più al Casini che appoggia Monti che ad altro....</b>
<p> Io ho già detto che la continuità con Monti sarà la salvezza di un'Italia che è europea e europeista. Che sta ai patti finché i patti non si cambiano e migliorano. Quindi la dignità di un Paese che sa qual è il suo destino. Dopodiché io convengo sul fatto che in Europa e in Italia noi dobbiamo dare più attenzione al lavoro.
<p><b> Ma non è un'umiliazione per la politica fatta dai partiti in questi anni che un governo tecnico abbia fatto in pochi mesi una serie di riforme di cui si parlava da anni e non realizzavano?</b>
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Qualcuno dice che tra il '96 e il '98 si sono viste liberalizzazioni e politiche industriali più incisive di quelle fatte ora.
<p><b>Sulle liberalizzazioni gioca in casa, ma sul resto?</b>
<p> Sulle pensioni abbiamo fatto molto.
<p><b>Anche qui negli anni '90. Ma nell'ultimo governo Prodi siete tornati indietro sullo scalone...</b>
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Giustamente credo, la gradualità nelle riforme serve. Come si è dimostrato con la vicenda degli esodati.
<p><b>Bersani, insisto, perché questo è il punto: in Europa e sui mercati c'è preoccupazione per un ritorno di Berlusconi, ma anche di un centro-sinistra bloccato sulle riforme dai veti politici e sindacali.</b>
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È un pregiudizio. La nostra è una politica intenzionata a chiedere il consenso della gente dicendo come prima cosa che siamo in una crisi seria e che serve responsabilità. Ma io rifiuto l'affermazione che il governo Monti abbia fatto più riforme dei governi politici di centro-sinistra. Se poi le riforme sono solo l'articolo 18...
<p><b> A proposito, sulla riforma del lavoro rimetterete le mani?</b>
<p> Sì. Il mercato del lavoro va sicuramente reso più efficiente. Ma il dibattito sull'articolo 18 è un dibattito interno ideologico. Il problema è quello della produttività: e qui siamo carenti in investimenti, ambiente di contorno, rigidità organizzativa ed eccesso di precarietà. In questo senso io credo che la questione del lavoro vada vista anche dal punto di vista dei contratti. E qui sono un convinto sostenitori di uno spostamento verso l'ambito aziendale, preservando però una base di omogeneità nazionale. Dare flessibilità organizzativa a fronte di investimenti esigibili: questa è la pista da percorrere.
<p><b>Ma l'alleanza con Casini si fa prima o dopo le elezioni?</b>
<p> Dipenderà anche dal sistema elettorale. Io ho in testa un'area progressista aperta che non è solo partiti. Che sia in condizioni prima o dopo le elezioni, di lanciare un appello di collaborazione a tutte le forze europeiste, antipopuliste e costituzionali. Poi credo nei vincoli che ci siamo dati nella carta d'intenti per governare insieme: si decide a maggioranza quando non siamo d'accordo. <br /><br/>fonte: <a href="http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/rassegna_stampa/pdf/2012080922362570.pdf">Il Sole 24 Ore | Fabrizio Forquet</a>Corrado Passera: «Mai più veti agli investimenti industriali» - INTERVISTA 2012-08-06T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it648035Alla data della dichiarazione: Ministro Sviluppo economico- Ministro dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture e Trasporti<br/><br/><br />Niente dirigismo su Fiat ma Marchionne deve chiarire sul piano.
<p><b>Ministro, con il decreto sviluppo l'Italia ha messo un altro importante tassello nel puzzle dei suoi compiti a casa, ma i mercati restano molto inquieti. Le parole di Draghi sul ruolo della Bce hanno avuto interpretazioni contrastanti. Come è possibile una reazione così schizofrenica come quella che i mercati hanno avuto tra giovedì e venerdì?</b>
<p>Draghi giovedì ha detto una cosa molto importante per la costruzione dell'Europa che vogliamo: ha detto che la Bce non solo sarà agente del fondo Efsf e dell'Esm, come aveva deciso il Consiglio europeo del 28-29 giugno, ma che metterà anche risorse proprie per garantire la stabilità dell'euro. Un passo avanti decisivo. Probabilmente il primo impatto sui mercati è stato negativo perché si erano create aspettative eccessive e perché nella comunicazione di giovedì scorso sono rimaste alcune ambiguità sulle condizioni e sui tempi degli eventuali interventi.
<p><b>Una cosa è chiara: i Paesi che vogliono che scattino gli acquisti sui propri titoli dovranno chiedere l'attivazione del meccanismo di aiuti. La Spagna, ormai è chiaro, lo farà. Anche l'Italia è a quel punto?</b>
<p> Escludiamo che chiederemo aiuti come un Paese che non ce la fa a garantire i propri fabbisogni di finanza pubblica. L'Italia ha fatto tutto quello che andava fatto per essere padrona di se stessa e ha conti solidi. Anzi, noi siamo tra i principali contributori degli aiuti che affluiscono ad altri Paesi. E tuttavia, se il mercato dovesse continuare a non riconoscere in termini di spreads il valore di quanto fatto in Paesi come il nostro, allora l'Europa dovrà intervenire, in difesa dell'euro prima ancora che dell'Italia.
<p> <b>Con quali condizioni?</b>
<p>Quando si parla di condizioni per l'intervento la mia opinione è che si chiederebbe all'Italia di confermare ulteriormente le cose che stagià facendo. Niente di più. Ad altri Paesi magari ci sarà da chiedere misure aggiuntive per garantire la stabilità dei loro conti per abbassare il rischio sistemico che oggi circonda l'euro. I nostri compiti a casa - come oggi si suole dire - li abbiamo fatti.
<p> <b>Ma la richiesta è pronta a partire?
</b>
<p>No. E comunque sarebbe per questo secondo tipo di intervento, non per altro.
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<b>Monti per caso vi ha detto di tenervi in allerta ad agosto?</b>
<p> Monti ha detto in pubblico che non c'è ad oggi nessuna richiesta di aiuto di nessun genere.
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<b>II decreto sviluppo è stato appena approvato in Parlamento. Da quali misure si aspetta i primi effetti?
</b>
<p>
La forza del decreto che venerdì è diventato legge sta nelle tante misure vere, concrete che contiene: i project bond, gli strumenti per i finanziamenti alle imprese, la riforma del diritto fallimentare che introduce anche in Italia il Chapter ii, il credito di imposta per chi assume ricercatori, la strumentazione a disposizione delle Pmi per raccogliere fondi a breve e medio termine, nuove regole per ridurre la dipendenza energetica nazionale, che si inseriscono in un piano che già ci ha visto intervenire con la separazione di Snam e con la riforma degli incentivi alle rinnovabili. E poi il piano città e la defiscalizzazione che consentiranno di sbloccare ulteriori infrastrutture, su cui oggi ci sono già in campo risorse per 35 miliardi: ogni singolo cantiere di quei 35 miliardi può essere seguito sul nostro sito "Cantieri Italia". Questa legge - per la quale ringrazio il Parlamento per il contributo e la fiducia - è una tappa importante nella realizzazione concreta dell'Agenda per la crescita lanciata nel dicembre scorso.
<p>
<b>Ma la scarsità di risorse a disposizione non ha finito per limitare il raggio d'azione del provvedimento?</b>
<p> Abbiamo deciso di puntare le limitate risorse a disposizione soprattutto su un settore con leva fortissima sull'economia diffusa come quello dell'edilizia. Una misura che per 12 mesi, fino a 96milaeuro, consente di portare il 50% in detrazione, alla quale si aggiunge il bonus sull'efficienza al 55%, vuol dire per le famiglie fino a quasi aoomila euro di lavori pagati, per circa metà, dallo Stato.
<p> <b>E per le imprese? La carenza di liquidità resta la vera emergenza: che cosa si pub fare in questo campo?
</b>
<p>Anche su questo tema siamo intervenuti attraverso il decreto sviluppo, con l'estensione del regime dell'Iva secondo il criterio della cassa. Anche i 20 miliardi di garanzie attraverso il Fondo centrale di garanzia e i primi 6 miliardi per il ripagamento dello scaduto andavano in questa direzione. A quest'ultimo proposito, aver sbloccato la certificazione, l'assicurazione e la compensazione dei debiti con la Pa è stato un lavoro di grande portata, malgrado le difficoltà.
<p> <b>Ma le imprese continuano a domandarsi quando e come potranno recuperare i propri crediti...</b>
<p>Possono cominciare a farlo da subito. È possibile scaricare dal sito del ministero dell'Economia il modulo di richiesta. Quindi si fa la domanda per vedersi certificare il credito. Se la pubblica amministrazione non lo fa entro 6o giorni, interviene un commissario ad acta. A quel punto hai un titolo che certifica il credito e puoi renderlo bancabile e andarlo a scontare, oppure cederlo, oppure compensarlo con un debito fiscale. È un forte alleviamento del problema anche se non ancora la soluzione defmitiva, che consiste nel pagare lo scaduto e nel non ricrearne di nuovo, obiettivo che potremo raggiungere con l'adozione della direttiva Ue sui pagamenti prevista entro l'anno. Non dimentichiamoci che per moltissime imprese che aspettano di essere pagate il debitore è privato e non pubblico.
<p><b>Sulla crescita ci sono però molte più attese. Potrà essere questo l'obiettivo sui cui concentrare gli sforzi negli ultimi mesi della legislatura?</b>
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È la mia priorità. Le nuove normative già in produzione riguardano innanzitutto la nascita di nuove aziende e l'Agenda digitale che consisterà in un pacchetto corposo su digital divide, e-government, e-commerce, ottimizzazione dell'informatica pubblica, alfabetizzazione informatica. E ancora: lavoriamo su strumenti per facilitare gli investimenti esteri in Italia, per ulteriori semplificazioni anche nell'ottica della legge annuale per le Pmi.
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<b>Queste ulteriori misure saranno accorpate in un nuovo decreto sullo sviluppo?</b>
<p> Abbiamo sempre detto che Agenda digitale e start up sarebbero arrivate entro l'estate, cioè entro fine settembre. È possibile che questi due provvedimenti siano accorpati, ma naturalmente deciderà Monti. Ad ogni modo sono ancora tanti i fronti ancora aperti per completare l'attuazione dell'Agenda della crescita entro i tempi del nostro Governo.
<p><b>Le imprese si aspettano un vero credito di imposta per gli investimenti in ricerca. Arriverà nel nuovo decreto?</b>
<p> Per questa misura dobbiamo trovare 600-700 milioni e occorre aspettare gli effetti della spending review, possibile perciò che arrivi in una fase successiva. L'equilibrio dei conti pubblici rimarrà vincolo assoluto nel nostro lavoro.
<p><b>Il piano Giavazzi per tagliare gli incentivi verrà attuato o resterà un esercizio accademico?</b>
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È un contributo autorevole e ci stiamo lavorando per vedere come trasformarlo in norme. Il rapporto conferma il riassetto già fatto al Mise con l'abrogazione di 43 norme e la creazione di un fondo unico perla crescita sostenibile. Dovremo occuparci di tutta un'altra serie di incentivi alle attività economiche, pubbliche e private, per i quali introdurremo criteri di filtro e meccanismi per valutare di volta in volta se un incentivo è giustificato o meno.
<p> <b>L'Italia fatica ad attrarre investimenti dall'estero. Come recuperare?</b>
<p> Ci sono tanti fondi sovrani o fondi istituzionali, comunque investitori internazionali, interessati all'Italia sia nel mondo delle infrastrutture che delle aziende italiane. Mi aspetto alcuni primi segnali importanti già nei prossimi mesi. <br />
E stiamo lavorando a strumenti che aiutino a facilitare questi investimenti: la principale difficoltà per gli investitori esteri riguarda tempi e modi della interlocuzione con i vari enti autorizzativi sul territorio e con le autorità fiscali.
<p><b> Lo stop alla centrale Enel in Calabria è l'ultimo caso di investimenti bloccati da veti di ogni tipo.</b>
<p> Perché non accadano più i tanti casi di ritardo o blocco ingiustificato bisogna avere il coraggio di intervenire sulla organizzazione della Pubblica amministrazione e della politica, soprattutto sul territorio. Oggi troppe decisioni sono di responsabilità condivise da troppe entità. La prima riforma da fare, che necessita però di un tempo superiore a quello che ha questo governo, dovrebbe essere ripulire il numero di livelli istituzionali e stabilire con chiarezza chi ha il potere di decidere, su che cosa e in che tempi. Su questi temi ci giochiamo l'Italia dei prossimi anni. Sulla banda larga il nostro Paese è in netto ritardo.
<p> <b>Per la nuova rete il modello giusto può essere una newco con Telecom e Cassa depositi e prestiti attraverso Metroweb?</b>
<p>Ci stiamo adoperando perché venga accelerato molto il processo di ammodernamento della nostra rete di telecomunicazioni: è una priorità. Per le reti il modello Terna per l'elettricità o Snam per il gas può essere la scelta più saggia sia in termini di efficienza che di promozione della concorrenza.
<p> <b>Non c'è il rischio che la Cdp diventi una sorta di ritorno all'Iri?</b>
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È necessario assicurare risorse adeguate alle reti sulle quali si deve investire per ammodernare il Paese. Non sempre il solo privato garantisce questa visione di sistema e, in taluni casi, un impegno pubblico-eventualmente associato al mercato - può garantire in maniera più efficace investimenti, apertura di mercato e interesse nazionale.
<p> <b>Lei ha capito che fine ha fatto il piano Fabbrica Italia di Fiat?</b>
<p> Seguiamo ovviamente con grande attenzione il progetto Fabbrica Italia. Dalle dichiarazioni che si sono susseguite è evidente che tale progetto si è modificato. Ci aspettiamo, a questo punto, che responsabilmente l'azienda chiarisca con nettezza al Paese, nell'ambito della sua nuova fisionomia globale, obiettivi e piano di investimenti che ha rispetto all'Italia. Siamo molto attenti a questo.
<p><b>Incontrerà Marchionne per chiedere aggiornamenti?</b>
<p>Non è un problema di incontri.
<p><b>Il problema è il ruolo che lo Stato deve avere davanti a pezzi importanti dell'industria italiana che possono essere a rischio.</b>
<p>
<p>Noi dobbiamo creare condizioni perché ci siano investimenti nel nostro Paese e perché sia meno difficile fare impresa. L'Agenda per la crescita affronta concretamente molte delle problematiche che riguardano i principali fattori di competitività. Senza mai diventare dirigista: che lo Stato si sostituisca alle imprese per determinarne le scelte strategiche, industriali o commerciali è lontanissimo dalle idee di questo governo e, del resto, ogni volta che si è agito diversamente si sono fatti pasticci.
<p>
<b>Tra i rumors c'è quello di un interesse di Volkswagen per Alfa Romeo...</b>
<p> Ovviamente, anche se ci fosse, non potrei dirlo.
<p><b>Ma lei ha segnali di investitori internazionali interessati a entrare nel settore automobilistico in Italia?</b>
<p> Di sicuro la produzione automobilistica in Italia ha grande tradizione e qualità, ci può certamente essere interesse da parte di investitori internazionali, almeno me lo auguro.
<p> <b>E i tedeschi interessati ad Ansaldo Energia?</b>
<p> Finmeccanica ha comunicato che non si sente in grado di seguire tutti i settori che oggi ha in portafoglio, in più ha un problema di indebitamento, quindi ha individuato alcune possibili aree di dismissione. Quello che conta è fare in modo che queste aziende abbiano azionisti solidi e in grado di garantire il loro sviluppo di mercato. È ovvio che vediamo con favore l'impegno e la crescita di gruppi italiani, ma ancora di più lo sviluppo in Italia di investimenti e occupazione.
<p> <b>Come sta vivendo l'indagine della Procura di Biella che la coinvolge su Biverbanca, che è stata una controllata di Intesa?</b>
<p> Mi ha fatto piacere che la stessa Procura abbia chiarito con un comunicato che, per quanto mi riguarda, si è trattato di un atto dovuto, visto il ruolo di amministratore delegato del gruppo.
<p> <b>È fiducioso sulla soluzione del caso Ilva?</b>
<p> Siamo ottimisti che gli interventi attuati e programmati possano rendere compatibili il rispetto delle norme e il mantenimento in attività di un'azienda oggettivamente molto importante per il Paese.
<p><b>Si dice che sarà uno dei protagonisti del riordino dell'area moderata italiana. Ha quest'ambizione?</b>
<p> Per il momento ho l'ambizione di fare bene il ministro dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture e Trasporti.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1INH31">Il Sole 24 Ore - Fabrizio Forquet e Carmine Fotina </a>Maurizio ZIPPONI: L'Idv tenta i referendum: «La Fiom si unisca a noi» - INTERVISTA2012-08-04T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it647947<br />
Lo strappo della foto di Vasto e il rimescolamento delle alleanze a sinistra, sanciti dall'incontro tra Bersani e Vendola, hanno costretto anche l'Italia dei valori a ricercare una sua strada in preparazione delle elezioni. La prima mossa del nuovo corso dipietrista è l'annuncio della prossima deposizione di 4 quesiti referendari, due contro la cosiddetta «casta» e due sul lavoro che puntano alla cancellazione dell'articolo 8 della manovra berlusconiana dello scorso agosto con cui si è aperta la strada alla fine del contratto nazionale e alla «rinascita» dell'art.18 dello Statuto dei lavoratori, mandato in pensione da Fornero. Una mossa, questa, che ha creato scompiglio in quei settori sociali e sindacali che stavano preparando una mossa analoga: c'è la preoccupazione che l'Idv voglia mettere il cappello politico su una battaglia che dovrebbe avere il sostegno e la mobilitazione di diversi soggetti. Maurizio Zipponi, responsabile del lavoro per l'Idv, nega questa presunta egemonia e dice anzi di voler mettere il suo partito al servizio di un comitato il più ampio possibile.
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<b>La Fiom, la sinistra sindacale Cgil, associazioni di giuristi e un vasto movimento democratico stavano discutendo i tempi e le forme per fermare la corsa alla cancellazione dei diritti del lavoro. Perché avete deciso di metterci il vostro marchio?</b>
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Vorrei lanciare attraverso il manifesto un messaggio alle persone di buona volontà che come noi sono preoccupate per i rischi che corre la nostra democrazia. Teniamo i nervi saldi. Per l'Idv il programma è dirimente, è la precondizione per qualsivoglia alleanza che dev'essere alternativa al centrodestra e segnare una profonda discontinuità con il governo Monti. La prima discontinuità per noi sta nelle politiche per il lavoro. Dopo alcune incertezze e qualche dubbio sullo strumento referendario in alcune aree del movimento antiliberista, verificata l'infondatezza delle preoccupazioni di chi escludeva la possibilità di avviare il percorso elettorale con le elezioni in primavera, abbiamo deciso di approfittare di una finestra aperta: una volta depositati i quesiti alla Corte di Cassazione si possono raccogliere le firme, almeno 700 mila, tra l'inizio di ottobre e la fine di dicembre. Di conseguenza il referendum si dovrà fare entro un anno, al massimo all'inizio del 2014. Se nel frattempo un centrosinistra in discontinuità con il governo Monti avrà vinto le elezioni, sarà suo compito legiferare per riportare embrioni di democrazia nel lavoro, altrimenti i cittadini saranno chiamati a dire la loro con i referendum. Mi spiace che Nichi Vendola si sia aggiunto a coloro che sostengono, sbagliando, la non percorribilità della strada referendaria.
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<b>Cosa prevedono i due referendum sul lavoro?</b>
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L'abrogazione di alcune parti della nuova legge che riduce l'efficacia dell'art.18, per aumentarne invece l'efficacia e l'estensione. Rispetto all'art.8 berlusconiano puntiamo a riconquistare un principio: alcuni diritti devono essere a disposizione solo di chi lavora, non dell'impresa né dei sindacati, e in questo contesto il contratto nazionale rappresenta un elemento di civiltà.
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<b>Resta il fatto che avete scelto di partire da soli...</b>
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Non è così, non c'è tempo per le centralità identitarie dei singoli. E non c'è più tempo per tergiversare. Semmai, la cosa più importante ora è costruire un'azione unitaria. Chiedo solo che all'Idv venga riconosciuta la dignità di una forza politica che sta cambiando. Se è vero come è vero che l'obiettivo - la ricostruzione della democrazia nel lavoro - è comune, penso alla Fiom e a tanti altri soggetti e personalità, allora facciamo un comitato referendario unitario, noi ci mettiamo a disposizione come parte rispettata di un movimento per la democrazia partecipata. L'Idv, e non parlo solo a nome mio ma anche del presidente Di Pietro con cui siamo in piena consonanza, è pronta a fare un passo indietro per farne insieme due in avanti.
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<b>La strada referendaria e la ricerca di un rapporto con i movimenti si affiancano a una crescente distanza dalle scelte del Partito democratico. È una posizione condivisa nell'Idv? Alcuni brontolii si sono sentiti.</b>
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Non siamo il Pcus, dissensi ci sono anche tra di noi. Posso però dire con certezza che il 95% del partito condivide le scelte del presidente. Dopo il confronto c'è la composizione unitaria. È giusto che sia così, in un partito che attraversa una fase di grande cambiamento. Al centro di questo processo c'è la convinzione condivisa che la democrazia non è un mezzo ma il fine. In Italia la democrazia è stata violata, per esempio alla Fiat deve ben 11 tribunali si sono pronunciati contro le politiche di Marchionne. I tribunali parlano, mentre il presidente del consiglio e il presidente della repubblica tacciono. Ripeto: al centro mettiamo i contenuti e sulla base di contenuti condivisi si possono costruire le alleanze. Aggiungo che noi vogliamo parlare anche agli elettori del Pd che non condividono le scelte del gruppo dirigente.
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<b>E se sui referendum non si arrivasse a un comitato unitario?</b>
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Sarebbe un errore politico, a parte il fatto che qualora si presentassero più quesiti referendari sullo stesso tema, ogni soggetto proponente dovrebbe raccogliere almeno 700 mila firme. Ma la nostra proposta unitaria è squisitamente politica, abbiamo dimostrato di non aver problemi a raccogliere le firme. L'abbiamo già fatto con successo.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1IME7C">il manifesto - Loris Campetti</a>PATRIZIO BIANCHI: «Se l'Italia non riparte il Lingotto se ne va» - INTERVISTA 2012-07-19T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it647499Alla data della dichiarazione: Assessore Regione Emilia Romagna<br/><br/>
<br>Per la Nuova Panda era prevista una produzione annua di 250 mila vetture, su 1,4 milioni di auto che Fiat contava di realizzare in Italia. In realtà tutto il mercato italiano non supererà quest'anno quota 1,5 milioni e le Fiat saranno poco più di 400 mila. Una crisi Fiat, dentro una crisi Italia. Due fenomeni che dovrebbero far scattare l'allarme rosso nel governo, pensa il professor Patrizio Bianchi. <p>
Economista industriale ora prestato alla politica come assessore all'istruzione e alla formazione dell'Emilia Romagna, ma in passato consulente della Fiat stessa. Allarme, spiega Bianchi, perchè «ormai Marchionne ha esportato le due funzioni chiave dell'industria dell'auto: la finanza, negli Usa, e l'innovazione in Brasile, dove sta sviluppando i motori flexi. E ora l'Italia è solo luogo di assemblaggio, di produzione a basso valore aggiunto». <p>
<b>Anche lei, come Casini, pensa che Marchionne se ne stia andando alla chetichella? </b><p>
«Come dicevo, l'ha già fatto. Il caso Pomigliano dimostra che la grande polemica su contratti e organizzazione aziendale era solo fumo. Sono altri i motivi per cui la Fiat guarda all'estero». <p>
<b>Quali? </b><p>
«Vuole spostarsi dove c'è crescita: l'America, l'Asia. Vede l'Italia come un Paese in declino, che per molti anni ancora continuerà a contrarre i consumi. Del resto ha accumulato manovre per 330 miliardi...».<p>
<b>E di questo, pensa, che dovrebbe preoccuparsi il governo?</b><p>
«Appunto. Fiat potrebbe essere solo la punta di diamante di un fenomeno generale. Nessuno resta a produrre dove non vende e dove i consumi continuano a crollare. Ricominciare a crescere è cruciale». <p>
<b>Eppure il Lingotto ha preso impegni precisi con questo Paese, e incassato anche tanti aiuti pubblici... </b><p>
«Infatti. Penso che il ministro Passera dovrà chiederne conto, se non l'ha già fatto. Deve pretendere che Marchionne, una volta per tutte, dica cosa vuol lasciare qui e cosa vuola spostare all'estero. E inaccettabile che continui a sfogliare il carciofo delle chiusure; prima Termini, poi Mirafiori, ora Pomigliano, ogni volta alzando la posta di quel che chiede al governo per non andarsene in Serbia». <br>
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1HVGSG">Giorno/Resto/Nazione - Massimo Degli Esposti </a>Nichi VENDOLA: «Il PD e Casini. Non capisco e non mi adeguo» - INTERVISTA2012-07-02T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it646517Alla data della dichiarazione: Pres. Giunta Regione Puglia (Partito: CEN-SIN(LS.CIVICHE)) - Consigliere Regione Puglia<br/><br/><br />
A un’ora dalla finale, Nichi Vendola si può concedere «per la prima volta» il lusso di sentirsi «disinvoltamente patriottico, tifando una realtà che si fa beffe di un Paese miserabile, che fa fatica a smaltire le leggi razziste». I suoi due eroi sono Balotelli e Cassano. Inevitabile pensare alla nuova coppia Vendola-Di Pietro: «Se io sono Balotelli e Di Pietro é Cassano, non capisco D’Alema e Casini in che ruolo stiamo. Per me stanno giocando una partita incomprensibile, che rischia di cantare il de profundis al centrosinistra».
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<b>Cominciamo da D’Alema. Nell’intervista al Corriere della Sera pone una domanda precisa: «Quali valori di sinistra vede Vendola in Di Pietro?».</b>
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«Domanda curiosa, se rivolta da chi in questi giorni vota assieme al Pdl lo sfregio dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, da chi si prepara a un’alleanza con Casini e Fini e prospetta un futuro non solo di continuità con Monti, ma che lo ingloba nell’azione di governo. Sono allibito anche dall’entusiasmo quasi propagandistico di D’Alema per i presunti risultati di Bruxelles. Se Bersani dovesse confermare questo scenario strategico, la distanza tra il mio partito e il Pd diventerebbe incolmabile. Per ora, per fortuna, sono solo interviste».
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<b>Anche qualche elettore di sinistra, D’Alema a parte, si chiede che ci azzecca Di Pietro con la sinistra radicale. Lui si é sempre dichiarato liberale e l’Idv aderisce all’internazionale liberaldemocratica.</b>
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«Ma Casini è iscritto nel gruppo della Merkel, no? E allora? Io non ho guardato l’Europa per scegliere i miei alleati. Vorrei ricordare che con Idv e Pd abbiamo vinto le amministrative insieme».
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<b>Stupisce però le scelta di Di Pietro come alleato preferenziale. L’Idv che vota, assieme alla Lega, contro il decreto svuota carceri non è esattamente di sinistra.</b>
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«Se la domanda é se ci sono differenze politiche con Di Pietro, la risposta è ovviamente si. Mi fate queste domande proprio mentre il Pd vota vere e proprie controriforme, le riforme presidenziali, previdenziali e sul mercato del lavoro».
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<b>E i continui attacchi al Quirinale?</b>
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«Ho visto che gli auguri che ha fatto a Napolitano non hanno avuto grande successo sulla stampa. La verità è che c’é l’interesse a enfatizzare il discolo Di Pietro e offrirlo in un rito sacrificale per celebrare l’arrivo di Casini. E lo si fa proprio nel giorno in cui Sergio Marchionne, con un classismo irresponsabile, mostra totale insofferenza rispetto alle leggi e alla convivenza democratica».
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<b>Udc e Idv appaiono al momento antitetiche. Di Pietro spiega che «Casini è il carnefice del centrosinistra» e che dovrebbe essere accusato penalmente di concorso nel reato per essere stato alleato a lungo con Berlusconi.</b>
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«Ma è un’intervista vecchia. Questa contrapposizione é utile per costruire una coalizione neomoderata, sponsorizzata dai grandi gruppi editoriali. Alla quale noi ci dovremmo aggregare in maniera residuale e gregaria».
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<b>Il che non avverrà, pare di capire.</b>
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«Parafrasando il comico, non capisco e non mi adeguo. Vorrei solo essere ascoltato: mi sembra che chi ha un pensiero minimamente divergente non rischia l’olio di ricino, ma la quarantena mediatica e politica. Chiedo: c’é un centrosinistra? Quali sono i valori e i programmi? Io non ho pregiudiziali verso un allargamento: il centrosinistra discuta con i moderati. Ma neanche Di Pietro ne ha».
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<b>Le posizioni verso il governo Monti rendono inconciliabili voi e il Pd. Eppure e noto il sostegno all’esecutivo.</b>
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«Si, ma stupisce il passaggio dal temporaneo all’eternità, l’eccezione che si fa norma, l’emergenza che diventa regime».
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<b>Se saltasse l’alleanza con il Pd, che farebbe Sel?</b>
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«Lavoreremo per una coalizione di governo alternativa, che capovolga le politiche liberiste. C’é chi pensa che in Italia ci sia stata una lunga storia di buonismo sociale. Lo dico, scherzando, che sono per un governo di buonismo sociale. Ma bisogna rendersi conto che il Welfare é il veicolo fondamentale per portare il Paese fuori dalla crisi».<br /><br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1H2W0L">Corriere della sera - Raffaele Trocino</a>Paolo FERRERO: MONTEZEMOLO ABBASSA I COSTI DEI SUOI TRENI COI SOLDI DEGLI ITALIANI 2012-04-21T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it626843<br />Montezemolo si arricchisce coi soldi nostri. È stato riconosciuto concessionario senza gara e grazie a questo la sua società è lievitata di valore di cento volte. Inoltre l’affitto che paga per usare le rotaie - pagate col denaro pubblico - è ridicolo rispetto a quello che si paga negli altri paesi europei, come in Francia ad esempio. E per finire Monti gli ha fatto un bel regalo, con le liberalizzazioni, togliendo l’obbligo di applicare il contratto nazionale di lavoro, quindi la sua azienda potrà fare concorrenza sleale.
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La vicenda delle ferrovie mi pare un buon esempio di cosa significa la parola liberalizzazioni. Un tempo sulle ferrovie circolavano solo i treni dello Stato. Adesso, con le liberalizzazioni, anche i privati possono far circolare i loro treni. Così tra poco Montezemolo farà circolare i suoi treni ad alta velocità tra Roma e Milano. Qui vi è la prima fregatura. Sappiamo infatti che non tutte le linee ferroviarie rendono nello stesso modo. Sull’alta velocità da Roma a Milano c’è da guadagnare mentre sulla linea tra Roma e Avezzano – per non fare che un esempio – probabilmente il servizio è in perdita. Mentre prima i ricavi di una linea potevano coprire la perdita di un’altra e dare luogo a quello che chiamiamo un “servizio pubblico”, adesso le tratte dove ci si guadagna vedranno i privati prendersi una fetta di guadagni, mentre le tratte in perdita rimarranno allo Stato e probabilmente nei prossimi anni ci diranno che non ci sono i soldi per farle funzionare. Montezemolo guadagna e lo Stato e i cittadini ci perdono.
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A questo primo passo il governo Monti ne ha aggiunto un altro. Nel decreto sulle liberalizzazioni è previsto il superamento del contratto nazionale di lavoro per le ferrovie. In altre parole Montezemolo non sarà obbligato ad applicare il contratto delle ferrovie e potrà applicare un contratto peggiore per i suoi dipendenti. Monti ha fatto per legge quello che Marchionne ha fatto con i suoi diktat alla Fiat. In questo modo potrà fare concorrenza alle Fs a partire dallo sfruttamento dei lavoratori. Immagino che dopo qualche mese di concorrenza al ribasso, Moretti dirà che deve licenziare dei ferrovieri a meno che non accettino anche loro di lavorare ad un costo inferiore.
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Non è finita qui, perché, se passa la porcheria che vuole fare la Fornero, i lavoratori assunti da Montezemolo oltre a non avere il contratto non avranno nemmeno l’articolo 18 e saranno quindi licenziabili in ogni momento. Immagino il livello di ricatto che si determinerà nei confronti di quei lavoratori e così l’azienda di Montezemolo diventerà ancora più competitiva. Alla fin della fiera avremo Montezemolo che guadagnerà molti soldi, lo Stato che perderà molti soldi, meno lavoratori con diritti, più lavoratori senza diritti e meno servizi per il cittadino.
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Io sono comunista e penso che le ferrovie siano un monopolio naturale che deve essere gestito integralmente dal pubblico attraverso un controllo democratico sulle scelte dell’azienda da parte dei lavoratori e degli utenti, un controllo sui vertici dell’azienda, in modo da garantire che non si facciano gli “affari propri”. Ritengo che invece di un ibrido tra pubblico e privato sia auspicabile un servizio pubblico gestito con trasparenza. Penso anche che Moretti andrebbe licenziato, per come ha gestito in questi anni la compagnia ferroviaria.
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Mi piacerebbe sapere, infine, dai liberali che cosa c’entrano queste liberalizzazioni con il benessere dei cittadini e con il progresso sociale.
<p><a href="http://www.controlacrisi.org/notizia/Economia/2012/4/20/21842-ferrero-svela-la-grande-truffa-di-montezemolo/">La nota sul sito <b>controlacrisi.org</b></a><br />
<br/>fonte: <a href="http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/03/liberalizzazioni-governo-affari-montezemolo/188793/">il Fatto Quotidiano</a>Paolo GUZZANTI: Cara sinistra, sappilo: Monti è un super Berlusconi2012-03-10T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it625819Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: Misto) <br/><br/><br />
Perché fa tutto ciò che il suo predecessore aveva promesso nel ’94, ma non aveva avuto la forza di realizzare. E si tratta di scelte “di destra”, non la destra storica (italiana ed europea) – puramente – conservatrice, ma la destra liberista e “americana”. La destra – per intenderci – di Marchionne. Destra è, per definizione, fare gli interessi – dei (più) forti. E oggi, nel mondo (dominato dal) mercato, fare gli interessi dei forti non coincide più, direttamente, con la difesa dello status quo; o meglio questo è lo scopo finale e l’effetto (auspicato), ma viene perseguito attraverso un (falso) riformismo che porta alla progressiva riduzione delle regole, così che la legge del più forte possa imperare (ancora meglio) e quella conservazione – delle distanze tra chi ha e chi non ha – possa…rinnovarsi. Altro che lotta ai (veri) privilegi… Inutile poi chiedere – come Bersani fa, non rendendosi conto di essere alla guida dello strumento per eccellenza per determinarla, senza passare per la benevolenza di chi non la può, costitutivamente, offrire – perequazione. Non avverrà mai (come non è mai avvenuta – storicamente). Su questo (stesso) terreno (su cui, in tutti i sensi, i ‘forti’ hanno i loro interessi). L’unica chance che la Sinistra ha di tornare a svolgere la propria funzione, che è fare il bene (non – solo – dei lavoratori ma) di tutti (insieme), è offrire – scriveva Mazzini – una ragione più alta. Quell’(alto) obiettivo comune per l’Italia dandoci il quale risaremo motivati a (ri)dare valore anche ad altro, dal (solo) denaro, riaprendo gli occhi (sulle persone) e riscoprendo (così) il piacere di collaborare, di fare sistema, e in questo modo per ricominciare a restituire il nostro Paese alla posizione che gli compete nel mondo.
<p>C’è stata una sola occasione in cui l’unico governo di centrosinistra capace di convincere la maggioranza degli italiani – al punto che, nonostante gli elettori “attivi” siano oggi in maggioranza di destra, il Paese gli offerse anche una seconda possibilità – sfondò il velo di incomunicabilità (elettorale) tra le aree di opinione e di sensibilità della destra e della sinistra, attraendo consensi anche da chi tradizionalmente – e per convinzione! – votava Berlusconi: quando l’Italia è tornata – sia pure solo per un momento – ad esercitare la propria leadership (mondiale) grazie alla guida di Romano Prodi e Massimo D’Alema nei giorni dell’(ultima) crisi in Libano. In quelle ore ascoltammo elettori di destra dire che quel governo piaceva loro, e molto. Che era il “loro” governo.
<p>Perché dopo trent’anni di tafazzismo, gli italiani hanno voglia di rialzare la testa; non, in forma vetero-aggressiva, ma competitiva, sì; ma non – ancora una volta, in un modo (ancora) più (meno) libero (?) e foriero di inimicizie e di avversione – tra di loro.
<p>Ma nella con-petizione – da rilanciare, in questi termini, e non più in chiave solo economica – per (ri)costruire – anche attraverso il recupero di una dimensione etica e filosofica – il futuro del mondo. E questo concretamente si fa dandoci l’obiettivo di ridiventare la culla mondiale dell’innovazione (a 360°, come evidenzia anche Ermete Realacci) attraverso la cultura e la formazione. Vedrete che, quando il nostro Paese apparirà di nuovo in grado – grazie alla Sinistra – di tornare (in maniera positiva e costruttiva; rigenerativa) a contribuire a scrivere pezzi di Storia – e non soltanto, più, il Paese – il (pezzo di) mercato – qualunque (anche se molto vezzeggiato.
<p>Da chi ha interessi – a che ri-diventiamo sempre più “affidabili”) a cui lo riduce la teoria mercatista della destra – i rapporti di forza, “anche” (o prima) da noi, saranno diversi da quelli a cui – stante l’attuale strategia-kamikaze di Pigi, di cui ci parla ora (di tutto questo) il deputato liberale – siamo di nuovo destinati se l’esperienza del governo Monti durerà fino al 2013, quando Berlusconi si prepara a raccogliere i dividendi della propria (ultima) semina (capolavoro). <br />
<br/>fonte: <a href="http://www.ilpolitico.it/2012/03/10/53811/">ilpolitico.it</a>Furio COLOMBO: "Il popolo del Pd sta con la Fiom" - INTERVISTA2012-03-08T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it625582Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
“Io so che la sinistra è il lavoro, dobbiamo stare al fianco dei sindacati”.
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Si avvicina lo sciopero generale dei metalmeccanici (9 marzo), mobilitazione alla quale il Pd ha dichiarato di non aderire. Furio Colombo, ex direttore dell’Unità e deputato dei democratici, ha invece annunciato la sua partecipazione. Articolotre.com lo ha intervistato per conoscere le sue posizioni.
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<b>Furio Colombo, lei ha annunciato che scenderà in piazza con la Fiom. Sente di interpretare una posizione presente nell’elettorato del Pd?</b>
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Secondo me l’elettorato è in larga maggioranza sulle posizioni della Fiom, se no perché dovrebbe votare Pd? A maggior ragione in un momento come questo che vede i lavoratori sotto attacco, sia per la villania di Marchionne, sia per il rischio di chiusura degli stabilimenti. La maggioranza degli elettori del Pd sta dalla parte dei lavoratori, più che su quella di Marchionne. Nello scontro in atto certamente intendono stare dalla parte dei lavoratori e non da quella di chi ha lanciato lo scontro. Per questo la posizione del partito non credo rappresenti l’elettorato.
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<b>Con queste posizioni non vede il rischio di perdere di vista l’elettorato progressista?</b>
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Certamente c’è il rischio di perderlo, il pericolo più grande che corriamo è a mio avviso quello dell’astensionismo, perché non vedo una gran corsa verso altri obiettivi che siano più attraenti.
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<b>Il Pd dice che non sarà presente perché ci sono i No Tav. Lei che idea si è fatto della Torino-Lione?</b>
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L’idea di fondo è che la democrazia si debba fermare davanti alla grande opera. <br />
Io non sono nella posizione di prendere quella decisione, ma a me risulta da giornalista e da torinese che l’approvazione della maggioranza della popolazione non ci sia mai stata, quindi sarebbe necessario trovare un accordo. Inoltre non farei della Tav un elemento di salvezza per l’Italia, l’idea che porti dei vantaggi è insensata. I favorevoli sostengono, in primis, che la Tav a quanto pare ci connetterà all’Europa, ma con la Francia ho rapporti da anni, siamo già connessi e non cambia le cose risparmiare un’ora. L’altra argomentazione è che se non facciamo l’alta velocità favoriremmo la moltiplicazione del trasporto su gomma. Ora, posso anche sostare di fronte a questa obiezione riguardo all’aumento di un certo tipo di inquinamento, ma c’è un grosso paradosso…
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<b>Cioè?</b>
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Mi devono allora spiegare perchè nel frattempo vogliono costruire un’autostrada sopra l’Aurelia (Civitavecchia- Rosignano ndr), che per essere redditizia dovrà essere attraversata da migliaia di Tir. Perché lì invece bisogna moltiplicare la gomma? In questo modo avremo alta velocità della gomma da Roma a Torino, dove si dovrebbe poi passare su rotaie. Il filo conduttore è che la democrazia si ferma davanti alla grande opera, e questo non deve accadere. Io dico che penso prima alla democrazia e poi all’alta velocità: ma notando il fatto che da una parte si festeggiano i tir, dall’altra i treni, noto che la grande opera viene prima.
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<b>Bersani parla di democrazia proprio per difendere la decisione presa dalle istituzioni…</b>
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Non c’è fondamento in questa posizione, le faccio un esempio: noi abbiamo un presidente della Lega Nord in Piemonte, che fa opposizione al governo, ma gli offre il sostegno per la grande opera. Sono inspiegabilmente a favore del governo in questo caso mentre ci troviamo di fronte a una Lega che si oppone a tutto. Ci deve essere una ragione perché vi sia un consenso così vasto e così esteso che spinge per controllo e decisione senza assenso.
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<b>All’interno dello scontro tra componenti, il dibattito alleanze e leadership, che futuro vede per il Pd?</b>
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Il politichese io lo conosco meno, sono discorsi prevalentemente legati agli articoli dei notisti, che vi dedicano la loro vita. Io non credo a nulla di queste cose che stanno accadendo. Io auspicherei che non si perda la sinistra, so che la sinistra è il lavoro e so che quando i democratici americani hanno abbandonato il rapporto coi sindacati hanno perso la maggioranza dividendosi solo sulla politica estera. Quindi i sindacati vanno sostenuti, poiché osservano scrupolosamente le regole democratiche sul lavoro, e non vedo perché non dobbiamo stare dalla parte del lavoro, essendo il più grande partito della sinistra.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.articolotre.com/2012/03/intervista-a-furio-colombo-%E2%80%9Cil-popolo-del-pd-sta-con-la-fiom%E2%80%9D/67700/print/">Articolotre.com - Lorenzo Mauro</a>Elsa Fornero: «Marchionne come la Thatcher»2012-02-04T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it624192Alla data della dichiarazione: Ministro Welfare<br/><br/><br />
«Thatcher potrebbe essere usato per lui più che per me. Soprattutto penso che usa metodi thatcheriani nella sua industria». «Sicuramente per quello che è nell’ambito delle competenze, vorrei fare di tutto perché la Fiat resti italiana e resti come realtà produttiva e non come una realtà tenuta in piedi. Mi dispiace quando si dice che la Fiat è ormai americana».
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<i>Il ministro ha sottolineato come questo governo non abbia</i> «parti della società italiana che vuole favorire o partiti cui è particolarmente legato». «Si dialoga, però questo governo ha l’ambizione di fare politiche per il Paese, per il futuro del Paese. Può essere un’ambizione eccessiva»
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<b>In vista della riforma, a proposito di lavoro:</b><br />
«Se un datore di lavoro trova che la flessibilità è un elemento positivo per ragioni organizzative, perché le modalità produttive cambiano, un po’ dovrebbe pagare. Quello che dobbiamo rompere è il meccanismo per cui i lavori flessibili sono anche quelli che costano di meno, cosa che quindi "conviene" alle aziende. Questo meccanismo lo dobbiamo spezzare. Noi dobbiamo dire: la flessibilità è qualcosa che per te vale e quindi la devi pagare di più».
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<p><b>Parlando di articolo 18:</b><br />
«Nessuno, mai, potrà licenziare per motivi di discriminazione: questo è inaccettabile in qualunque Paese civile. E quindi deve essere inaccettabile anche in Italia che è un Paese civile».
<p><i>Questi sono alcuni stralci di un'intervista rilasciata dal ministro del Welfare a Sky Tg24 sull’amministratore delegato della Fiat.</i><br />
<br/>fonte: <a href="http://www.ilsecoloxix.it/Facet/print/Uuid/2bb4a470-4f24-11e1-a475-3c880672cca3/Fornero_Marchionne_come_la_Thatcher_MAU_montiforner.xml">www.ilsecoloxix.it</a>Alberto BURGIO: Unità della sinistra e autonomia dal centrosinistra2011-11-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it622175<br />
Che a sinistra si pensi di ribaciare il rospo è un bel segno dei tempi. Dà in primo luogo la misura del disastro provocato dal berlusconismo. L'ossessione per l'immoralità e l'indecenza dei comportamenti è tale che la sostanza politica passa in second'ordine. Come se un governo non fosse un'impresa politica, e come se non si potesse essere galantuomini e reazionari, persone competenti fieramente impegnate nell'attacco ai diritti sociali. Ma non solo di Berlusconi si tratta.
<p>
È questione, più in generale, di cultura politica. Ci si è talmente disabituati a pensare in termini di classe, che non si riesce più a leggere nemmeno un quadro nitido, di per sé inequivocabile.
<p>La cifra sociale di questo governo non è meno limpida di quella del precedente, lo è forse di più, se consideriamo il mandato che gli è stato affidato. Il governo Monti nasce per tradurre in realtà le indicazioni contenute nella lettera della Bce: occorre altro?
<p>A scanso di equivoci, è bene tenere presente che Bruxelles non si limita a tuonare contro l'eccesso di deficit e debito, ma indica nel merito il modo di ridurli: gli Stati-azienda debbono finanziarsi privatizzando, licenziando e tagliando il welfare, non possono mica redistribuire ricchezza. Maastricht e Lisbona non sono carta straccia! Del resto, vorrà pur dire qualcosa la martellante invocazione di «scelte impopolari» da parte di leader della maggioranza vecchia e nuova, di industriali e grande stampa. Che cosa s'intenda lo sappiamo bene: dopo 35 anni di sacrifici imposti al lavoro dipendente (in Italia si è cominciato con la svolta dell'Eur nel nome delle compatibilità), la prospettiva è quella di altri sacrifici per il lavoro dipendente, nel nome del risanamento o del rigore o dell'interesse generale. Non bastasse, c'è un problema costituzionale, grosso come una montagna.
<p>Il diktat della Bce rivoluziona la dinamica istituzionale, se è vero che la Costituzione riserva al Parlamento la prerogativa di esprimere maggioranze e governi, e al Presidente della Repubblica affida il compito di interpretare la volontà delle Camere e di favorirne la realizzazione. Se non vogliamo nasconderci dietro un dito, in questo frangente la sequenza è stata rovesciata.
<p>Il governo Monti è nato da un'iniziativa del Quirinale, che il Parlamento - sottoposto a una formidabile pressione interna e internazionale - si è limitato ad avallare. Non siamo noi a dirlo, lo ha ammesso a chiare lettere chi ha parlato di «governo del Presidente» (formula ignota ai Padri costituenti) e di «governo dell'emergenza» (invocando lo stato di necessità o di eccezione). Detto questo (che non è poco), la sostanza politica sta in una domanda: perché i partiti accettano di buon grado l'esproprio delle loro funzioni? perché consegnano ai «tecnici» il governo del Paese, mentre affermano di condividere il programma del nuovo esecutivo?
<p>Si dice: non c'erano le condizioni per un accordo tra Bersani e Alfano (né tra Casini e Di Pietro): Monti sarebbe lo snodo tecnico che permette una grande coalizione altrimenti impossibile. Ma è più verosimile un'altra spiegazione. Si tratta della classica astuzia tattica dei politici.
<p>Quando il sollievo per la cacciata di Berlusconi cederà il passo alla rabbia, si potrà spergiurare che il governo sceglie in piena autonomia e mettere in scena qualche scaramuccia parlamentare. Un bel parafulmine della collera popolare, già messa nel conto.
<p>Il fatto è che questa operazione non sarà per tutti a costo zero. Probabilmente per il Terzo polo e il Pdl si rivelerà un buon affare. L'elettorato di Fini e Casini gradirà privatizzazioni e «riforme» in stile gelminian-sacconiano. E la destra, a suo tempo, trarrà vantaggio dal denunciare le forzature quirinalizie. Il centrosinistra invece, a cominciare dal Pd, difficilmente ci guadagnerà. Gran parte della sua gente pagherà care le ricette di Monti.
<p>Il lavoro dipendente sarà tartassato; gli operai faranno i conti col modello Marchionne, ammirato dal premier; e i giovani, che tutti a parole intendono proteggere, seguiteranno a pascolare nella precarietà. Con ogni probabilità le «scelte impopolari» del nuovo governo apriranno una grossa falla nei consensi del centrosinistra. Ma se questo è vero, un nuovo scenario si apre anche per il nostro partito, per la Federazione e per l'intera sinistra.
<p>Alla domanda di reddito, di lavoro e di beni comuni questo governo e i partiti che lo sostengono non potrebbero dare risposta nemmeno se volessero. Dare visibilità e forza a tali rivendicazioni è compito dei comunisti e della sinistra di alternativa. Per far questo, due condizioni appaiono tuttavia ineludibili: l'unità della sinistra e la sua autonomia dal centrosinistra. Frammentata, la sinistra è ininfluente; interna al centrosinistra, sarebbe subalterna. I gruppi dirigenti ci riflettano e dimostrino di sapersi muovere con intelligenza e generosità. La nostra gente se lo aspetta, anzi, lo esige.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=17LCM9">Liberazione</a>Cesare DAMIANO: Marchionne non ha più alibi2011-07-21T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it590212Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
La sentenza del tribunale di Torino sull’accordo per la costituzione di una nuova società per la gestione dello stabilimento Fiat di Pomigliano, dovrebbe indurre le parti a uscire dalla logica del conflitto e a riprendere quella del confronto.
Respingendo il ricorso della Fiom, il giudice ha riconosciuto che la newco creata dalla Fiat non è un ramo d’azienda. Al tempo stesso però, sostenendo che il Lingotto ha messo in atto una condotta antisindacale, consente alla Fiom di “rientrare” in fabbrica costituendo la propria rappresentanza sindacale aziendale, pur non essendo firmataria di quell’accordo.
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Si tratta di una decisione “salomonica” che lascia i contendenti soddisfatti (o scontenti) a metà, ma che consente di rimettere in moto la via contrattuale. La situazione di crisi profonda in cui si trova il paese e che coinvolge anche la casa torinese, operai e impiegati inclusi, suggerirebbe la scelta di una sorta di disarmo bilaterale. Che porti la Fiom a rinunciare alla promozione di ricorsi individuali dei lavoratori e che spinga la Fiat a rompere gli indugi sugli investimenti annunciati, rinunciando a sua volta a ricorrere contro la sentenza. Non si può attendere oltre. I venti miliardi di euro previsti per dar corpo al progetto, sin qui soltanto annunciato, di Fabbrica Italia – che non riguarda solo Pomigliano, ma l’insieme degli stabilimenti dell’auto, Mirafiori compresa – vanno resi subito operativi.
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Sarebbe drammatico se, come è stato paventato in questi giorni, la sentenza producesse su questo fronte una situazione di stallo. In gioco, accanto al futuro delle relazioni sindacali, c’è il destino degli stabilimenti Fiat, della ricerca, della produzione e dell’occupazione. Cioè il destino dell’industria italiana dell’auto. Un settore strategico che il nostro paese, se non vuole avviarsi irreversibilmente sulla strada del declino industriale, non può permettersi di perdere.
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Per uscire da questa situazione e riprendere la via del confronto, l’unica strada possibile sarebbe una condivisione da parte di Fiat e Fiom delle regole definite da Cgil, Cisl e Uil con Confindustria lo scorso mese di giugno. In quell’accordo non solo c’è una risposta ai temi della rappresentanza e della rappresentatività del sindacato, perfettamente in linea con i contenuti della sentenza di Torino su questo argomento. Si dà anche una risposta al tema – delicatissimo dopo la lunga stagione degli accordi separati – dell’esigibilità delle intese aziendali.
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Secondo quanto concordato, infatti, gli accordi aziendali hanno effetto vincolante per tutte le rappresentanze sindacali dei lavoratori e per le associazioni firmatarie dell’intesa interconfederale (cioè Cgil, Cisl, Uil e Confindustria) che operano all’interno delle singole fabbriche, quando siano approvati dalla maggioranza dei componenti delle Rsu eletti secondo le regole attualmente in vigore. Una norma chiara che attende di essere messa in pratica attraverso la buona volontà di tutte le parti in campo.
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Solo accettando questa cornice di nuove regole si possono infatti superare, con equilibrio, gli elementi di conflittualità che caratterizzano negativamente la situazione attuale. È necessario però che anche il governo faccia la propria parte. Finora, sull’intera vicenda Fiat, Berlusconi e il suo esecutivo sono stati totalmente assenti.
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Quando sono intervenuti, lo hanno fatto unicamente per soffiare sul fuoco delle divisioni interne al sindacato. Un comportamento irresponsabile che non può essere tollerato più a lungo. I venti miliardi di investimenti previsti per Fabbrica Italia devono tradursi in realtà da subito. La disastrosa situazione di crisi in cui versa il paese non può più sopportare rinvii. <br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=12BLT1">Europa</a>Paolo FERRERO: Sì a Bertinotti, Cofferati e Ferrara. Ma le iniziative?2011-07-08T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it589855<br />
Condivido pienamente la proposta avanzata da Bertinotti, Cofferati e Ferrara sulla necessità di dar vita ad uno spazio pubblico di confronto a sinistra per discutere a partire dall'accordo interconfederale siglato qualche giorno fa. E' infatti del tutto evidente che la valenza dell'accordo non è solo sindacale ma politica.
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Se l'essenza del neoliberismo, dal punto di vista dei rapporti di classe, è l'asimmetria di poteri tra il capitale finanziario - mobile e immateriale - e gli uomini e le donne in carne ed ossa - impastoiati dai loro bisogni, dal loro legame con il territorio, dal loro "rimanere umani" - l'accordo aggrava questa disparità di poteri. Lo fa principalmente in due modi. Da un lato riducendo la cogenza del Contratto nazionale di lavoro e dall'altro derubricando nella sostanza il tema del referendum come fondamento democratico del rapporto tra sindacato e lavoratori.
<p>Questi due nodi che - in larga parte per merito della Fiom - sono stati al centro del conflitto politico sindacale in questi anni sono entrambi affrontati e risolti in modo negativo.
<p>Certo non come avrebbe voluto Marchionne, del resto solo il codice militare prussiano conteneva il suicidio come atto previsto dal regolamento. Diciamo che l'accordo è molto vicino a quello che volevano Confindustria, Cisl e Uil, in piena continuità con l'accordo separato del 2009 e molto distante dalla battaglia che la Cgil ha condotto in questi anni dalla difesa dell'Articolo 18 in avanti.
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Un accordo neocorporativo che accentua la frantumazione della classe e rende più complicato costruire linee di difesa nella crisi. Un accordo che pare prefigurare la base materiale per una uscita morbida dal ventennio berlusconiano, mantenendone inalterato il suo segno di classe. Altro che accordo sindacale che non ha valenza politica! Per questo a sinistra di questo accordo va discusso e a fondo.
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A questo punto mi permetto di fare un invito a Bertinotti, Cofferati e Ferrara. Nei mesi scorsi, ho più volte fatto appelli unitari a sinistra, anche articolando proposte di iniziative comuni. Non ho mai ricevuto risposta. Evidentemente dai risentimenti siamo passati ai sentimenti, ma dai sentimenti alla volontà politica unitaria il passo è lungo. Per questo chiedo a voi di convocare un tavolo di discussione, rivolto a chi ritenente, in modo che la discussione si faccia.<br />
A Risentirci.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=11VIE3">Il Manifesto</a>Francesco GIORDANO: «Un partito con il Pd» - INTERVISTA2011-04-21T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it559998<br />
Per i vendoliani l'alleanza non basta: serve una nuova formazione. Le primarie si allontanano «ma Vendola chiede innovazione e unità» ai democratici. Sciopero generale della Cgil, comunali e referendum: Berlusconi può essere sconfitto. Obiettivo? Un soggetto unico.
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«Bisogna costruire qui e ora un nuovo soggetto politico, una nuova sinistra che faccia dell'unità e dell'innovazione culturale il perno dell'alternativa a Berlusconi». Per Franco Giordano, ex segretario di Rifondazione e dirigente del partito di Vendola, Sinistra e libertà «da sola non basta». E' questo il senso del «patto di consultazione» proposto ancora ieri dal governatore pugliese a Pd e Idv. Un «oltre Berlusconi» declinato in modo un po' diversamente dal Bersani in maniche di camicia.
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<b>Giordano, Sel propone un «patto di consultazione» a Pd e Idv ma Bersani vi risponde che state già facendo qualcosa in più, visto che siete alleati alle amministrative...</b>
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Purtroppo le cose non stanno così e non sono così semplici. Dobbiamo prendere decisioni importanti, il patto di consultazione e di unità è decisivo, altrimenti non saremo credibili. Col Pd bisogna battere molto il tasto dell'unità perché entro giugno ci sono appuntamenti fondamentali per un'alleanza che vuole essere alternativa a Berlusconi: lo sciopero generale della Cgil, le amministrative e i referendum. Il treno sta passando. E se non lo prendiamo ora vuol dire che l'alternativa alla destra non è ancora pronta.
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<b>Vedi un Pd troppo timido sullo sciopero generale della Cgil?</b>
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E' in gioco non solo il contratto nazionale ma anche un tema fondamentale come il diritto di sciopero. Il Pd da che parte sta nella vertenza Bertone? Era da sciocchi pensare che Mirafiori e Pomigliano fossero un'eccezione. Come si vede, avevamo ragione noi: la Fiat continua ad affossare i diritti e a perseguire l'abbattimento del costo del lavoro senza investire in qualità e innovazione. Non a caso le macchine di Marchionne non si vendono. Lo sciopero generale va sostenuto perché può rappresentare l'approdo e l'identità sociale di una nuova coalizione, un centrosinistra unito che mette il lavoro al centro della sua proposta.
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<b>Come si concilia però la critica a Marchionne con il sostegno a Piero Fassino a Torino?</b>
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La nostra presenza in quella coalizione serve proprio a condizionare le sue politiche e a fargli cambiare di segno. Fassino lo sa: non è mai stato in discussione, e non lo sarà mai, il nostro appoggio alla Fiom e al sindacato. L'accordo con il Pd è reciproco.
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<b>Insistere su un patto tra partiti non significa che alle primarie non ci credete più nemmeno voi?</b>
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Le primarie verranno. Questa proposta è propedeutica a definire il perimetro dell'alternativa. Contro i referendum Berlusconi le sta tentando tutte. Come nel gioco delle tre carte rinvia il nucleare perché sa che farebbe da calamita per il quorum. Mi piacerebbe discutere con il Pd anche di acqua pubblica e rinnovabili, dell'alternativa economica a Tremonti. Dobbiamo iniziare a farlo.
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<b>D'Alema però (e non solo lui) continua a escludere le primarie.</b>
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D'Alema è sempre D'Alema. Segue lo stesso schema fin da ragazzo: cerca un accordo con pezzi del centrodestra per portarli a sinistra. Ma aspetta Godot. Dobbiamo provare ad animare questo processo unitario dotandolo di una partecipazione di massa. Se il Pd non investe sullo sciopero generale e sui referendum non avremo più il tempo di cambiare marcia. Stiamo vivendo un passaggio epocale, le miserie della politica italiana occultano a stento quello che sta accadendo nel mondo. Bisogna investire qui e ora sulla fondazione di una nuova sinistra in grado di costruire un modello culturale e politico nuovo, una diversa idea di democrazia.
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<b>Sel non è sufficiente per questa «nuova sinistra»?</b>
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Sel da sola non basta. Continuo a pensare che bisogna costruire un unico soggetto politico. L'affondo unitario di Vendola sul Pd ha esattamente questa ambizione. Certo, come dice Nichi, aspettiamo a mettere il carro davanti ai buoi ma questo processo intanto dobbiamo costruirlo.
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<b>Rifondazione e il Pdci sono esclusi da questa coalizione?</b>
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Lungi da noi il voler ridurre la platea. E' Rifondazione ad aver detto che non è disponibile a una coalizione di governo. E' un tema che ci divide da tempo e secondo me è auspicabile una loro maturazione. Il problema non è nostro. L'unità di partiti, movimenti e associazioni è dirimente per costruire una sinistra nuova. Ma per battere la destra non puoi più eludere il tema del governo, dell'unità e dell'innovazione culturale. Come opposizione siamo già uniti, in molti casi lavoriamo insieme. Ma le forze vanno unificate di più fino a costruire un nuovo soggetto politico. La scomparsa di una grande sinistra in questo paese è un'anomalia che va sanata.
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<b>Berlusconi a Milano si è candidato per il Pdl. Pensi che il Pd sia pronto a una sfida così importante?</b>
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Penso che a Milano anche nel Pd si sia messo in moto un processo positivo. Le primarie e la figura straordinaria di Pisapia stanno facendo dare il meglio a tutte le forze politiche. C'è una partecipazione che va anche oltre i partiti. Milano non è ancora il laboratorio della nuova sinistra ma è sicuramente un segnale di buona politica.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=Z891J">Il Manifesto - Matteo Bartocci</a>Pier Paolo BARETTA: E' la partecipazione il futuro dell'impresa2011-02-23T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it558428Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
La partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa sta diventando un argomento del quale, finalmente, si discute nel merito, oltre i pregiudizi ideologici o di classe. <br />
A rendere possibile questo salto di qualità della cultura economica e sociale e del sistema di relazioni sono le sfide indotte, dalla dimensione globale, ai sistemi produttivi.
<p> Come il caso Fiat dimostra la necessità di organizzare il lavoro delle persone, renderlo il più possibile produttivo, resta, anche in un “ambiente” altamente tecnologico come quello che caratterizza la struttura industriale moderna, una componente decisiva per la capacità competitiva delle imprese. Dopo un periodo nel quale si pensava che la “civiltà delle macchine” si sostituisse alle persone, si è ragionevolmente compreso che anche la più elaborata intelligenza artificiale non surclassa la intelligenza naturale, tanto più se preparata e coinvolta.
<p> Il “fattore umano”, dunque, si consolida come componente essenziale della vita aziendale. La discussione sulla produttività degli impianti, infatti, come sui sistemi organizzativi più sofisticati, cessa rapidamente di essere solo “tecnica” e si sposta subito sui “soggetti”, sulle persone e la loro vita aziendale (e per riflesso quella esterna, privata), sui ritmi individuali della loro prestazione individuale e sui tempi di permanenza del singolo operaio o tecnico nella postazione assegnatali.
<p> Se, dunque, pur in presenza di robot, informatica…meccatronica, il ruolo della persona non viene meno, anzi trova una nuova stagione di protagonismo, non si può dire altrettanto del suo peso. Da qui vengono a galla tutti i problemi relativi alla scarsa valorizzazione del lavoro, a cominciare da quello che comporta più fatica psicofisica, più sforzo soggettivo, più “alienazione”, le cui forme attuali sono altrettanto, se non più, subdole di quelle tradizionali.
<p>Non si tratta solo di un mancato riconoscimento salariale, che pure è un problema, accentuato dalla crescita del differenziale tra i diversi livelli gerarchici della scala aziendale.
<p>La questione è ben più ampia, riguarda il “valore” che si vuole attribuire al lavoro nella società contemporanea nella quale il messaggio che i soldi si fanno con i soldi sembra prevalere.<br />
In questo contesto assume significato strategico la scelta che gli attori politici, industriali e sociali debbono compiere in ordine al sistema di relazioni che può meglio reggere questo modello produttivo e competitivo coerente con una idea generale di società e di sviluppo. Altro, dunque, che fine del sindacato.
<p> A ben vedere, una nuova stagione di relazioni è alle porte e la affermazione con la quale Marchionne si è presentato alle Camere per la sua audizione lo prova.<br />
Potrà anche essere strumentale, ma dichiarare che la permanenza in Italia di Fiat dipende molto dalla stilupa e dal rispetto di accordi sindacali va presa sul serio. La lettura, in tal senso, del discorso di Bob King, il nuovo segretario del sindacato dell’auto americano, sul sindacalismo del XXI secolo è istruttiva, ma non solo per i sindacalisti, bensì anche per i managers ed i politici.
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In sostanza: la strada dell'antagonismo è oggettivamente superata dai nuovi fatti storici e produttivi. <br />
La necessità di collaborare, di integrare le diverse espressioni che compongono la complessa vita di una impresa, in un disegno unitario, che comprenda azionisti,managers, dipendendi, collaboratori e, financo, gli stakholders esterni è, ormai, riconosciuto come il modo di gran lunga più interessante per attrezzarsi a produrre e competere in una ottica di sostenibilità sociale ed ambientale.
<p>Ma abbandonare l'antagonismo non è sufficiente. <br />
Il rischio, infatti - oggi ben presente nella realtà italiana - è che l'abbandono dell'antagonismo (che nella sua disastrosa epopea garantiva, però, una reciproca compattezza e governo dei processi produttivi e sociali, sia pure nella volubile logica del pendolo dei rapporti di forza) lasci un vuoto non colmato che dà spazio ad una dispersione, frantumazione, disaffezione. non sono i migliori presupposti per realizzare quella nuova coltura produttiva di cui abbiamo parlato.
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Ecco, dunque, il cuore della questione: al futuro produttivo delle nostre imprese non basterà essere meno conflittuali, ma più collaborativi. Serve un salto deciso verso la partecipazione. E' il momento di farlo, sia con gli accordi (ed è proprio ciò che manca all’accordo Fiat) che con le leggi. Per questo secondo fronte sono molte le proposte presentate alle Camere, tra le quali due a nostra firma, che prevedono un maggior coinvolgimento dei lavoratori innanzi tutto nella governance: dai consigli di sorveglianza, ai comitati strategici, dalle commissioni aziendali su temi quali la salute l'ambiente e l'ergonomia, la formazione e la crescita professionale, alla redistribuzione della retribuzione collegata alla redditività o produttività.
<p>Uno scenario che necessita di un contesto culturale ben diverso da quello propostoci dal Governo con la modifica dell'articolo 41 della nostra Costituzione. Semmai, se proprio vogliamo parlare di Carta costituzionale, è l'articolo 46 quello che andrebbe applicato.
<p>Ciò significa che non solo i sindacati e le imprese sono di fronte al bivio della scelta, ma l’intero Paese dovrà decidere quale è il modello sociale sul quale costruire il proprio sviluppo.
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Pier Paolo Baretta<br />
Cesare Damiano <br />
<br/>fonte: <a href="http://www.partitodemocraticoveneto.org/dett_news.asp?ID=1983">Pd Veneto.org</a>