Openpolis - Argomento: modello socialehttps://www.openpolis.it/2011-06-07T00:00:00ZAngelo BONELLI: «Il quorum è possibile ma manca l’informazione» - INTERVISTA2011-06-07T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it582735Alla data della dichiarazione: Consigliere Regione Lazio (Lista di elezione: Verdi) <br/><br/><br />
«ll governo ha paura della consultazione».
<p>Acqua, nucleare e legittimo impedimento. Tra meno di una settimana i cittadini saranno chiamati alle urne per decidere il futuro del Paese.
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<b>Che aria si respira in Italia?</b>
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Il clima è senza dubbio positivo ma ancora oggi l’informazione è inadeguata. Il governo ha paura della consultazione popolare, della sua straordinaria portata di cambiamento e fa di tutto per ostacolarla. Quello del 12 è un referendum sul modello di società: da un lato ce chi è ancorato al passato, ai poteri forti, e propone una società basata sul rischio e la follia radioattiva; dall’altro c’è invece chi come noi, guarda a un futuro diverso fatto di fonti rinnovabili e risparmio energetico.<br />
In ballo non c’è solo il ritorno al nucleare ma anche la privatizzazione dell’acqua e il legittimo impedimento. Sono questioni che riguardano tutti i cittadini. In Italia in molti si sono dati da fare ma nonostante le iniziative di sensibilizzazione il messaggio non è arrivato ovunque. Circa il 30 per cento degli italiani non ha ben capito per cosa si voti né quando bisogna recarsi alle urne.
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<b>Quali conseguenze potrebbe avere la vittoria dei sì ai referendum sulla vita del governo?</b>
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Quello del 12 e 13 non è un referendum pro o contro Berlusconi.
Vendola sostiene che la consultazione popolare darà il benservito al premier. Io la vedo diversamente, anche perché per vincere c'è bisogno di almeno sette milioni di voti che dovrebbero arrivare dal centrodestra. Se dovessimo trasformare il referendum in una battaglia del centrosinistra sarebbero poche le possibilità di raggiungere il quorum. L’esito delle votazioni riguarda il futuro dl tutti i cittadini e quello delle generazioni che verranno.
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<b> Nel dossier presentato ad aprile tornato d’attualità in questi giorni, i Verdi hanno denunciato il piano B del governo sul nucleare. Di cosa si tratta?</b>
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Quando venne sottoscritto l’accordo atomico tra Italia e Francia gli americani reagirono duramente alla notizia che sarebbero stati tagliati fuori dal business. A fornire la tecnologia necessaria sarebbe stata infatti la Francia. Per recuperare questa situazione di tensione e far entrare gli Usa nell’affare, il nostro governo ha pensato bene, dopo Fukushima, di rivedere le alleanze industriali e aprire una canale dl comunicazione con l’americana Westinghouse. In un’intervista del marzo scorso a una settimana di distanza dall’incidente giapponese, Veronesi ha infatti parlato di minireattori, una nuova tecnologia prodotta per l’appunto dalla Westinghouse che l’Italia avrebbe potuto applicare dopo il periodo di moratoria.
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<b>Anche se si tratta di minireattori il rischio rimane lo stesso?</b>
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Il rischio si diffonde e diventa più capillare. Se l’ipotesi dei minireattori dovesse andare in porto il numero di reattori previsto si quintuplicherebbe.
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<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=10YB7G">Terra - Rossella Anitori</a>Pier Paolo BARETTA: E' la partecipazione il futuro dell'impresa2011-02-23T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it558428Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
La partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa sta diventando un argomento del quale, finalmente, si discute nel merito, oltre i pregiudizi ideologici o di classe. <br />
A rendere possibile questo salto di qualità della cultura economica e sociale e del sistema di relazioni sono le sfide indotte, dalla dimensione globale, ai sistemi produttivi.
<p> Come il caso Fiat dimostra la necessità di organizzare il lavoro delle persone, renderlo il più possibile produttivo, resta, anche in un “ambiente” altamente tecnologico come quello che caratterizza la struttura industriale moderna, una componente decisiva per la capacità competitiva delle imprese. Dopo un periodo nel quale si pensava che la “civiltà delle macchine” si sostituisse alle persone, si è ragionevolmente compreso che anche la più elaborata intelligenza artificiale non surclassa la intelligenza naturale, tanto più se preparata e coinvolta.
<p> Il “fattore umano”, dunque, si consolida come componente essenziale della vita aziendale. La discussione sulla produttività degli impianti, infatti, come sui sistemi organizzativi più sofisticati, cessa rapidamente di essere solo “tecnica” e si sposta subito sui “soggetti”, sulle persone e la loro vita aziendale (e per riflesso quella esterna, privata), sui ritmi individuali della loro prestazione individuale e sui tempi di permanenza del singolo operaio o tecnico nella postazione assegnatali.
<p> Se, dunque, pur in presenza di robot, informatica…meccatronica, il ruolo della persona non viene meno, anzi trova una nuova stagione di protagonismo, non si può dire altrettanto del suo peso. Da qui vengono a galla tutti i problemi relativi alla scarsa valorizzazione del lavoro, a cominciare da quello che comporta più fatica psicofisica, più sforzo soggettivo, più “alienazione”, le cui forme attuali sono altrettanto, se non più, subdole di quelle tradizionali.
<p>Non si tratta solo di un mancato riconoscimento salariale, che pure è un problema, accentuato dalla crescita del differenziale tra i diversi livelli gerarchici della scala aziendale.
<p>La questione è ben più ampia, riguarda il “valore” che si vuole attribuire al lavoro nella società contemporanea nella quale il messaggio che i soldi si fanno con i soldi sembra prevalere.<br />
In questo contesto assume significato strategico la scelta che gli attori politici, industriali e sociali debbono compiere in ordine al sistema di relazioni che può meglio reggere questo modello produttivo e competitivo coerente con una idea generale di società e di sviluppo. Altro, dunque, che fine del sindacato.
<p> A ben vedere, una nuova stagione di relazioni è alle porte e la affermazione con la quale Marchionne si è presentato alle Camere per la sua audizione lo prova.<br />
Potrà anche essere strumentale, ma dichiarare che la permanenza in Italia di Fiat dipende molto dalla stilupa e dal rispetto di accordi sindacali va presa sul serio. La lettura, in tal senso, del discorso di Bob King, il nuovo segretario del sindacato dell’auto americano, sul sindacalismo del XXI secolo è istruttiva, ma non solo per i sindacalisti, bensì anche per i managers ed i politici.
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In sostanza: la strada dell'antagonismo è oggettivamente superata dai nuovi fatti storici e produttivi. <br />
La necessità di collaborare, di integrare le diverse espressioni che compongono la complessa vita di una impresa, in un disegno unitario, che comprenda azionisti,managers, dipendendi, collaboratori e, financo, gli stakholders esterni è, ormai, riconosciuto come il modo di gran lunga più interessante per attrezzarsi a produrre e competere in una ottica di sostenibilità sociale ed ambientale.
<p>Ma abbandonare l'antagonismo non è sufficiente. <br />
Il rischio, infatti - oggi ben presente nella realtà italiana - è che l'abbandono dell'antagonismo (che nella sua disastrosa epopea garantiva, però, una reciproca compattezza e governo dei processi produttivi e sociali, sia pure nella volubile logica del pendolo dei rapporti di forza) lasci un vuoto non colmato che dà spazio ad una dispersione, frantumazione, disaffezione. non sono i migliori presupposti per realizzare quella nuova coltura produttiva di cui abbiamo parlato.
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Ecco, dunque, il cuore della questione: al futuro produttivo delle nostre imprese non basterà essere meno conflittuali, ma più collaborativi. Serve un salto deciso verso la partecipazione. E' il momento di farlo, sia con gli accordi (ed è proprio ciò che manca all’accordo Fiat) che con le leggi. Per questo secondo fronte sono molte le proposte presentate alle Camere, tra le quali due a nostra firma, che prevedono un maggior coinvolgimento dei lavoratori innanzi tutto nella governance: dai consigli di sorveglianza, ai comitati strategici, dalle commissioni aziendali su temi quali la salute l'ambiente e l'ergonomia, la formazione e la crescita professionale, alla redistribuzione della retribuzione collegata alla redditività o produttività.
<p>Uno scenario che necessita di un contesto culturale ben diverso da quello propostoci dal Governo con la modifica dell'articolo 41 della nostra Costituzione. Semmai, se proprio vogliamo parlare di Carta costituzionale, è l'articolo 46 quello che andrebbe applicato.
<p>Ciò significa che non solo i sindacati e le imprese sono di fronte al bivio della scelta, ma l’intero Paese dovrà decidere quale è il modello sociale sul quale costruire il proprio sviluppo.
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Pier Paolo Baretta<br />
Cesare Damiano <br />
<br/>fonte: <a href="http://www.partitodemocraticoveneto.org/dett_news.asp?ID=1983">Pd Veneto.org</a>Nichi VENDOLA: «Ora tocca all’opposizione» - INTERVISTA2011-02-08T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it557801Alla data della dichiarazione: Pres. Giunta Regione Puglia (Partito: CEN-SIN(LS.CIVICHE)) - Consigliere Regione Puglia<br/><br/><br />
È l’uomo della “narrazione”, delle “fabbriche”, del “cantiere” programmatico, Nichi Vendola, il leader di “Sinistra, ecologia e libertà” (Sel). Con queste metafore ed immagini, Vendola disegna scenari politici suggestivi, affascina l’interlocutore, conquista le piazze. È un grande affabulatore che realmente è un competitore forte e credibile per Berlusconi sul piano mediatico e popolare.<br />
Nel messaggio inviato a “Libertà e Giustizia” per la manifestazione al Palasharp di Milano, Vendola dice che “c’è tutta un’Italia che non ne può più. La Nazione è tramortita, il paese è in ginocchio. Ciò che condannerà Berlusconi non sarà la triste e squallida vicenda di Ruby e delle altre ragazze ai festini; chi lo condannerà saranno i coetanei di Ruby, quei ragazzi e ragazze che oggi non hanno un futuro. Ecco, pensare che un’intera generazione per immaginare il proprio futuro debba prostituirsi: questo è il vero scandalo del berlusconismo!”.
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Vendola è nato a Bari il 26 agosto 1958, è stato deputato ed è governatore della Puglia dal 2005. Scrittore e anche poeta. Mi dice: “Abbiamo visto a Milano migliaia di persone che hanno un sentimento sparpagliato, a volte caotico, alla ricerca di un orizzonte e di una bussola, che dovrebbe essere il compito della politica e del centrosinistra in particolare. Per liberarci di Berlusconi dobbiamo capire bene cosa è il berlusconismo: in questi anni c’è stata una mutazione culturale, evidenziata con la marginalizzazione del valore sociale della scuola, della conoscenza e del sapere. La Tv commerciale ha sostituito gli apparati della formazione ed ha diffuso l’idea che non esiste la società ma il mercato, non siamo cittadini ma clienti, utenti, pubblico. Anche il centrosinistra è stato complice di questa regressione culturale”.<br />
L’attacco alla democrazia, secondo Vendola, si manifesta nella critica alla Costituzione, agli articoli 1 e 3 (uguali di fronte alla legge) e poi 21 (sulla libertà di stampa): “Il bavaglio sulla bocca di Santoro è grave quanto il bavaglio all’operaio di Pomigliano o Mirafiori. Oggi la modifica dell’articolo 41 è il momento di massima aggressione della destra (e di subalternità della sinistra). Se cambi quell’articolo, che prevede la responsabilità sociale e ambientale dell’impresa, vuol dire che vuoi ‘costituzionalizzare’ il metodo Marchionne, cioè l’irresponsabilità dell’industria verso la società.<br />
“Ecco perchè dico che le forze di opposizione devono ora costruire una storia, una ‘narrazione’, un cantiere programmatico che abbia la capacità di legare insieme diritti sociali e civili, diritti umani e ambiente. Voglio voltare davvero pagina. Non trovarmi con il berlusconismo senza Berlusconi. Vorrei vivere in un paese non berlusconiano, con Berlusconi che fa il nonno”.
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<b>Ma lei con la ‘narrazione’ e le ‘fabbriche’ può anche raccogliere tra gli elettori tanti consensi da portare alla vittoria il centrosinistra? D’altronde Giovanni Bachelet al ‘Palasharp’ ci ha ricordato che “in democrazia non basta avere ragione, ma dobbiamo anche convincere il 51% ad essere d’accordo con noi”.</b>
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“Nel passato, candidati del centrosinistra, icone del moderatismo, hanno preso schiaffi e sono stati sconfitti (un esempio, Rutelli). Io ho vinto due volte in una regione che è sempre stata percepita come una fucina politica per l’Italia (ricordo Moro e, sull’altro versante, Tatarella), e, in tempi recenti, come la cassaforte elettorale del centrodestra (Fitto). Secondo i campioni della tattica e della realpolitik del Pd per vincere bisogna trasferire tanti frammenti di idee e proposte dell’avversario nel proprio campo; poi fare un discorso che non turbi il perbenismo piccoloborghese che si suppone essere la cifra dell’opposizione: quindi non si deve essere comunisti, nè credenti alla mia maniera, ma essere neosagrestani. Ma i ceti medi di oggi sono diversi da quelli di una volta: perdono la fiducia nel futuro, sono angosciati dalla precarizzazione del lavoro, un giovane su due nel mezzogiorno non ha prospettive di impiego. Noi dobbiamo interpretare questa paura. L’Italia è finita nel pantano non perché qualcuno si è presentato come estremista, ma perché la politica è diventata una melassa informe. Se Marchionne vuole stracciare 100 anni di storia industriale e sindacale, dobbiamo reagire e non tacere”.
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<b>Quindi, Vendola candidato alle primarie del Pd – se ci saranno davvero- per quali obiettivi di governo immagina di battersi?</b>
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” Non sto giocando una partita per la mia carriera….intendo invece combattere per destrutturare il centrosinistra com’è adesso, per poter aprire il ‘cantiere’ di un nuovo centrosinistra. Finora esso si è sempre presentato come un compromesso precario e forzoso tra cosiddetti radicali e i riformisti. Ma così non si è mai entrati nel merito vero dei problemi. Finora una parte del centrosinistra ha pensato a come guadagnare la vittoria elettorale, certo importante, ma non ha lavorato per raggiungere il mutamento sociale e culturale. Per cui si può anche vincere alle elezioni, e insieme perdere la società. Al centrosinistra è accaduto più volte.<br />
Quindi le primarie per me sono il momento della discussione sulla coalizione e sul programma, compiuta….all’aria aperta. Discutere nel chiuso degli organi direttivi significa condannarsi ad un avvitamento continuo”.
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<b>Il segretario Pd Bersani, all’Assemblea nazionale, ha detto che siamo “in una emergenza democratica, economica, sociale, morale” e, per andare oltre Berlusconi, ha riproposto un’alleanza elettorale di “tutte le forze di opposizione responsabili” e poi un “governo costituente” per affrontare i problemi più urgenti e gravi. Le pare una via percorribile?</b>
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“Francamente spero che nessuno insista ancora sulla proposta del governo costituente, perché sarebbe un contributo alla campagna elettorale di Berlusconi. Si pensa ad un accordo con Fini e senza Di Pietro. E perché? Casini poi non andrebbe mai insieme a quello o a quell’altro. È il gioco dei veti e delle interdizioni. Una coalizione così non si può fare. Io non ho pregiudizi verso gruppi o persone, ma chiedo: posso fare un accordo con chi ha considerato giusta la riforma Gelmini? Che è il cuore del berlusconismo. Ma di cosa stiamo parlando? Fini cosa vuole fare? Lo ha detto chiaramente: rifondare il centrodestra; mentre io voglio rifondare il centrosinistra. Come possiamo stare insieme? A meno che non si dica: alle elezioni andremo con un accordo perché vogliamo liberarci di Berlusconi e subito dopo il voto, modificheremo la legge elettorale, faremo una legge sul conflitto di
interessi e poi torneremo di nuovo alle urne”.
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<b>Non è un obiettivo programmatico di poco conto fare un governo per cambiare la legge elettorale….</b>
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“Ma è credibile e serio chiedere ora il voto per indire altre elezioni dopo sei mesi? Tolta la possibile intesa sulle regole, non è pensabile, dopo, giocare la partita nel campo della destra; né posso pretendere che un uomo di rango come Fini venga a giocarla in compagnia del centrosinistra. È autolesionismo puro: ogni volta che si parla di alleanza da Vendola a Fini la pattuglia parlamentare di ‘Futuro e Libertà’ rischia di perdere pezzi… Mentre è tempo di aprire il ‘cantiere’ del centrosinistra senza vincoli: la questione morale, il modello sociale, la libertà delle donne, la questione dell’immigrazione. Discutiamo dell’Italia che vogliamo, c’è un’Italia migliore di quella volgare che abbiamo sulle spalle ancora adesso”.
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<b>Ma lei ritiene che siamo alla vigilia di elezioni generali?</b>
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“I fatti politici e giudiziari si sviluppano in modo imprevedibile. Gli ingredienti decisivi variano di momento in momento. Oggi è Berlusconi che appare il più preoccupato per il ricorso alle urne. Sta vivendo queste settimane barricato nel Palazzo, come un qualunque ‘rais’ nordafricano. È attaccato alla poltrona. D’altronde la crisi del centrodestra è irreversibile, strutturale, non si capisce come si potrà ricomporre un quadro di stabilità. Anche la credibilità di quella classe dirigente è crollata. Adesso conterà molto la capacità che avrà il centrosinistra di mettere in campo una ipotesi di alternativa possibile e realizzabile”.
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Vendola ci ha così portato a sognare un’Italia davvero diversa e migliore, con una politica pulita e carica di progetti. La sua ‘narrazione’ è importante: finchè Berlusconi e il berlusconismo non saranno sconfitti, saremo immersi nell’incubo. Dimissioni del premier, anzitutto. Arrivederci a domenica 13 febbraio, in piazza con le donne.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.libertaegiustizia.it/2011/02/08/vendola-ora-tocca-allopposizione/print/">Libertà e Giustizia - Francesco Palladino</a>Dario FRANCESCHINI: Berlusconi sta facendo male all'Italia2011-02-03T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it557652Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
''Lei sta facendo del male all'Italia e l'unico atto che puo' fare per il bene del suo Paese adesso e' dimettersi e consentire al nostro Paese, alla politica di tornare ad un normale confronto tra maggioranza e opposizione, tra avversari che finalmente possono trovare intese sui problemi del Paese, anche a cominciare dal federalismo''.
<p> Lo ha detto il presidente dei deputati democratici, <b>Dario Franceschini</b>, intervenendo per la dichiarazione di voto in aula alla Camera sulla richiesta di autorizzazione a perquisire l'ufficio del contabile di Berlusconi.
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''Qualsiasi persona, qualsiasi coalizione che verra' dopo di lei - ha aggiunto Franceschini rivolgendosi sempre a Berlusconi - trovera' montagne di macerie e non parlo solo di macerie economiche e istituzionali o legislative, purtroppo parlo di macerie di valori. Chi ha un ruolo pubblico, chi guida uno Stato con le sue parole, con i suoi comportamenti indica dei modelli sociali, indica al suo Paese delle gerarchie di valori. E' per questo che deve cercare di dare l'esempio''.
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''L'Italia, nella sua storia si e' sempre basata su valori positivi e condivisi, al di fuori di distinzioni tra laici e cattolici, tra destra e sinistra; parlo di solidarieta', accoglienza, uguaglianza, la famiglia, la straordinaria autorita' morale delle donne italiane che il 13 di questo mese saranno in piazza... <br />
Tutto e' stato travolto - ha detto Franceschini - dal messaggio e dal modello che ha incarnato: la gerarchia di valori che le sue televisioni hanno diffuso, contano solo i soldi, conta solo il potere, conta solo la notorieta' che si vuole raggiungere ad ogni costo perche' consentono di comprarsi tutto. Queste sono le gerarche sociali che lei ha rovesciato, queste sono le macerie che lei lascia alla fine inesorabile del suo percorso politico. Ma gli italiani, anche nella loro storia recente, hanno dimostrato tante volte di sapere ricostruire sulle macerie.
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Ricostruire con fatica, con sudore, con orgoglio, anche con la rabbia civile dentro.<br />
Noi saremo con loro''.<br />
<p><b><a href="http://www.dariofranceschini.it/adon.pl?act=doc&doc=4703">Testo completo dell'intervento di Dario Franceschini</a></b><br>
<b><a href="http://www.youtube.com/watch?v=m4WN-xcMcpE">Video dell'intervento di Dario Franceschini</a></b>
<br/>fonte: <a href="http://www.asca.it/news-CASO_RUBY__FRANCESCHINI__BERLUSCONI_LEI_STA_FACENDO_DEL_MALE_ALL_ITALIA-987270-ORA-.html">ASCA</a>Nichi VENDOLA: Gli abracadabra del Palazzo 2010-12-23T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it548969Alla data della dichiarazione: Pres. Giunta Regione Puglia (Partito: CEN-SIN(LS.CIVICHE)) - Consigliere Regione Puglia<br/><br/><br />«La prima alleanza è con la realtà»
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I senatori di questa ormai scarnificata maggioranza hanno fretta, tanto da incorrere in qualche goffo e grottesco incidente parlamentare.
<p>Vogliono approvare la controriforma dell'università subito, senza rischiare ripensamenti, senza dovere fare ancora i conti con le prime vittime della loro riforma, gli studenti.
<p> Vogliono calare il prima possibile l'ultima saracinesca su quei ragazzi, per potersi gustare il cenone avendoli chiusi in una cantina buia e senza più nemmeno una finestrella aperta sul futuro.
<p>Evocano il terrorismo perché hanno terrore di una generazione che rappresenta il corto-circuito della propria feroce politica. Sono l'icona, ritoccata dal chirurgo plastico, di un potere che uccide il futuro.
<p>Evocano atmosfere classiche, il bel tempo andato dove l'Ordine costituito non conosceva le perturbazioni della piazza: i figli della lupa e la Gelmini ci accompagnano sulle vette della sapienza e della modernità.
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Gli arresti preventivi non devono stupire più di tanto.<br />
Hanno già preventivamente arrestato questa generazione: chiusa nella gabbia del grande fratello e della grande precarietà.
<p>Ricordo sommessamente che "la meglio gioventù" non è quella di chi si subordina al cattivo buonsenso, ma quella che si ribella, che contesta le gerarchie sociali, che scruta orizzonti inediti, che intende auto-educarsi alla cooperazione e non auto-castrarsi nella rete vischiosa della competizione totale.
<p>Vogliono apparati formativi che addestrino all'obbedienza e alla parcellizazione del lavoro, che educhino alla paura e alla flessibilità, che ci abituino ad essere funzioni del mercato piuttosto che attori della società.
<p> Vogliono che la società scivoli nella forma del mercato, fino a che il cittadino non si identifica interamente nella dimensione del cliente.
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Anche l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne. ha fretta. E' impaziente di stringere intorno al collo dei lavoratori italiani il cappio che completerà la loro trasformazione in merce seriale, privati anche solo della memoria di quelli che un tempo erano i loro diritti.
<p> Si tratta di un finale di partita drammatico. L'alibi della crisi e della globalizzazione per capovolgere il secolo che ha fatto del lavoro la pietra angolare dell'architettura democratica.
<p>Il lavoro smette di essere un fatto sociale, un misuratore di civiltà, una dimensione collettiva e regredisce a condizione individuale, quasi biologica: in un corpo a corpo sempre più violento e pre-moderno tra la solitudine del singolo lavoratore/lavoratrice e l'impresa a rete transnazionale.
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Il governo e l'azienda, Tremonti e Marchionne, marciano allo stesso passo veloce. Hanno in mente un progetto di società comune e omogeneo. Con un gusto orwelliano del paradosso sinistro, definiscono l'edificazione di un nuovo paradigma neo-servile come condizione esistenziale permanente di "libertà".
<p>Ci dicono che la libertà sarebbe inibita dalla democrazia. Anche perché l'unica libertà che hanno in mente allude all'esercizio dell'onnipotenza del maschile: potremmo dire che si tratta di una libertà di stupro della forza produttiva e di quella riproduttiva.
<p>La violenza contro i corpi sociali e contro i corpi individuali è consustanziale alla modernizzazione dei tecnocrati e dei custodi della grande frode fiscale dominante.
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Il berlusconismo, inteso come un sistema complesso di cultura e di politica, merita una lotta capace di intelligenza e di fiato lungo: le contumelie contro il premier rischiano di deviare l'attenzione dagli ingredienti di un ciclo storico che ha segnato l'intero Paese e tutta la politica, anche la nostra.
<p>Liberarsi di Berlusconi per tenersi il berlusconismo non è una grande vittoria. Molto aldilà delle malefatte di un singolo leader e imprenditore, c'è un'intera epopea di idee e di mutamenti da radiografare, c'è davvero "l'autobiografia di una nazione" con cui fare i conti. Dovremmo saperci muovere all'altezza di questa sfida, senza perderci nei composti fumosi del "piccolo chimico" parlamentare, senza baloccarci ulteriormente con un pallottoliere i cui conti astratti non corrispondo mai a quelli reali.
<p>Dobbiamo restituire alla parola "libertà" il suo significato profondo, che oggi è prima di tutto libertà dalle tre P della destra: paura, precarietà, povertà. <br />
Qui c'è la traccia di un programma di alternativa, con questa spinta ideale può rinascere la sinistra e insieme può vincere l'Italia migliore.
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Finisce il 2010 così, con vere scene di caccia ai diritti sociali e ai diritti di libertà: prede prelibate di un'attività venatoria che appare indispensabile per contenere l'eruzione del debito pubblico e per rovesciare il Novecento.
<p>Così la questione sociale torna ad avere un nome antico, come ci racconta nei suoi bellissimi e dolorosi saggi Marco Revelli: povertà. In un'Europa che ha imboccato la strada del proprio suicidio: fuoriuscire dal welfare, ridurre la complessità sociale a capitolo di ordine pubblico, affidare alle polizie la gestione della repressione dei poveri e della vigilanza sulle libertà esuberanti.
<p>La povertà dilagante in una Italia che Berlusconi narra come Paese di benestanti, laddove un esiguo 10% di popolazione è padrone della metà della ricchezza nazionale.
<p>La povertà estrema di quella metà esatta delle famiglie italiane che devono sopravvivere con solo il 10% della ricchezza complessiva. Ma anche la povertà dei sogni, soffocati dall'angustia di quelle gabbie in cui il governo sta rinchiudendo il futuro, la povertà di un lavoro immiserito perché spogliato della sua dignità e irriso dai modelli culturali e comportamentali dominanti.
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Hanno ragione quei dirigenti del Pd che insistono sulla necessità delle alleanze, ma hanno torto quando le cercano negli abracadabra di Palazzo, nelle intenzioni tattiche che sulla carta dovrebbero regalarci un voto in più dei rivali, e che poi si rivelano sempre sbagliare o fallimentari: perché la realtà, la società italiana, il mondo in cui viviamo non si fa ridurre a una astratta somma algebrica.
<p> Se per noi la politica non diventa un'idea forte di Paese, e non si declina come speranza popolare e passione giovanile, continueremo a dare risposte sbagliate. Perché non avremo saputo ascoltare le domande di chi ci chiede di non aver paura.
<p>Di chi su una gru o su una terrazza cerca disperatamente un orizzonte nuovo. Di chi prova a riconnettere, sul terreno della politica, le parole ferite: lavoro, sapere, libertà, perché la politica torni ad essere il vocabolario del cambiamento e non il chiacchiericcio di un ceto separato. <br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=WAEM8">Il Manifesto</a>Nichi VENDOLA: «Gerações serão perdidas se Berlusconi não for derrotado, diz aspirante da esquerda ao governo da Itália» - INTERVISTA [trad. dal brasiliano]2010-12-10T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it548779Alla data della dichiarazione: Pres. Giunta Regione Puglia (Partito: CEN-SIN(LS.CIVICHE)) - Consigliere Regione Puglia<br/><br/><br />
“Nichi Vendola, governatore della regione Puglia, un passato nell’antimafia, è uno dei possibili sfidanti di Berlusconi alle prossime elezioni, che vista la crisi di governo in corso potrebbero tenersi ben prima della fine naturale della legislature. Leader di Sinistra Ecologia e Libertà, nato dalla frammentazione di Rifondazione Comunista, Vendola sembra raccogliere consensi anche al di fuori della sua base elettorale. A livello regionale ha battuto per due volte il Partito Democratico nelle primarie della coalizione, diventando così il candidato di tutto il centro-sinistra.
Ora vuole replicare l’esperienza a livello nazionale, non senza mettere in imbarazzo la dirigenza del PD, primo partito dell’opposizione, che non riesce a esprimere candidati che incontrino il consenso popolare. I detrattori di Vendola fanno notare che una sua candidatura allontanerebbe i voti dei cattolici e dei moderati, ma il leader di SEL, gay e cattolico, crede di poter aggirare i possibili ostacoli.
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In questa intervista a Opera Mundi, Vendola spiega la sua visione della crisi politica e culturale che sta attraversando l’Italia, l’impatto che ha avuto Berlusconi sulla vita politica italiana, e racconta perché per uscire da questa situazione occorre ripartire da un programma di governo che torni a occuparsi dei problemi sociali. Per lui la sinistra – che oggi sconta un calo di consensi in tutto il continente europeo – debba porsi come un’alternativa concreta alla crisi mondiale.
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<b>Qual è l’origine dell’attuale crisi italiana e cosa si può fare per invertire questa tendenza?</b>
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Il berlusconismo funziona come un’autobiografia dell’Italia di oggi. Il lavoro è stato completamente estromesso dal dibattito pubblico, così come la scuola. Come non accorgersi che il berlusconismo ha cominciato a vincere quando la scuola pubblica ha cominciato a perdere e una certa tv ha cominciato ad emergere come educatore unico, vero e proprio incubatore di sogni e paure privati? Oggi ci troviamo a vivere uno stato di transizione. Occorre congedarci dal berlusconismo, invertire questa tendenza, cambiare l’immaginario diffuso, intervenire nella formazione delle idee generali di questo paese. Ciò vuol dire assumere impegni sociali fondamentali come interlocutori di lotta e di costruzione di una nuova immagine del futuro, ad esempio contribuendo all’unità a sinistra, la più ampia possibile, per dare la risposta più larga possibile alla domanda di cambiamento che c’è in questo paese.
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<b>La sinistra italiana è ossessionata da Berlusconi. Il presidente del consiglio è davvero l’origine di tutti i mali del paese?</b>
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Noi abbiamo letto il conflitto d’interessi come una peculiarità italiana, Berlusconi come un’anomalia, un fenomeno pre-politico, una transizione folcloristica e frivola, una superfetazione di qualcosa che aveva a che fare più con il Bagaglino che con la società italiana. Abbiamo sbagliato, perché non ci siamo accorti che Berlusconi aveva cominciato a vincere vent’anni prima che apparisse sulla scena pubblica, nella misura in cui si intensificava una visione sempre più subalterna della politica come amministrazione, che non può mai essere costruzione di antagonismo o di idee alternative, ossia la politica dentro il recinto di condizioni predeterminate. E poi perché in Italia si sono sfaciati i partiti di massa, delle grandi narrazioni, si è sfasciata l’Italia delle famiglie. La sinistra non ha saputo usare le lenti giuste per leggere i cambiamenti epocali e per intervenire con una proposta autorevole, di società e di sviluppo.
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<b>Quale sarà l’eredità del berlusconismo?</b>
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Il berlusconismo non finirà il giorno dopo un’eventuale sconfitta alle urne di Berlusconi. La sua cultura, la sua idea di società, le pulsioni repressive e l’oltranzismo padronale e razzista che esprime dovranno essere debellate con impegno e dedizione, per mezzo della buona politica e di una profonda innovazione culturale, al fine di sradicare di quei cattivi semi dall’immaginario profondo degli italiani.
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<b>La sinistra vive una crisi di identità in Italia e più in generale in tutta Europa. Che significa nel XXI secolo essere di sinistra?</b>
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Il Partito Sinistra, Ecologia e Libertà ha un senso se ha come obiettivo la sinistra del futuro, la sinistra del ventunesimo secolo. Come il seme, per dare i propri germogli, muore, così noi dobbiamo vivere il partito come uno strumento, invece di farne un feticcio. L’obiettivo è la sinistra, l’obiettivo è l’Italia, è il cambiamento, è la trasformazione della società. Essere di sinistra significa ristabilire un nesso virtuoso tra lavoro, libertà e conoscenza; significa costruire una critica pratica di un economicismo che ingoia nel processo produttivo tanta umanità, che degrada la dignità e la vita in nome del profitto.
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<b>Si parla insistentemente di “paese bloccato” e di fuga di cervelli. L’Italia è un “paese per vecchi”? Qual è l’orizzonte per le giovani generazioni, cresciute nell’idea che non conserveranno lo standard di vita dei loro genitori?</b>
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Se non si interviene immediatamente, si profila un orizzonte opaco, qualcosa che brucerà due, forse tre generazioni. Le politiche scellerate degli ultimi anni in Italia, in un campo fondamentale come quello della formazione, hanno costituito una vera e propria mannaia per le speranze dei giovani, considerati più come un problema, che come una risorsa. La ricerca e l’università nel nostro paese vivono una crisi profonda, perché percepiti dalla classe dirigente come un lusso insostenibile e, con un atto di estrema miopia politica, subiscono il bisturi dei governo ad ogni documento di programmazione economica. Un atto miope perché non si comprende che la ricerca, il sapere sono settori strategici per il futuro produttivo, economico e sociale del paese. Credo sia un dato incontrovertibile e inconfutabile questo. Nonostante ciò, molti giovani sono costretti a nascondere nei loro curricula l’alto livello di formazione raggiunto, per poter accedere a posti di lavoro precari e non esattamente corrispondenti alle loro aspirazioni.
Se non assumiamo come concetto fondamentale che la formazione, la cultura, il sapere sono gli elementi chiave per il futuro dell’Italia, credo che difficilmente si potrà realizzare quel cambiamento che in molti chiedono.
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<b>In un ampio strato della popolazione si è diffusa una sensazione di impotenza, frustrazione e diffidenza verso la classe politica. Qual è il suo progetto per questo pezzo di Italia?</b>
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Partiamo da un dato fondamentale: se abbattiamo la precarietà lavorativa, si riduce anche quella esistenziale. Rimettere al centro dell’agenda politica il lavoro, questa è la ricetta. Conciliare sapere e lavoro. Se abbiamo in mente un obiettivo chiaro e lavoriamo per raggiungerlo, ci potremmo anche perdere durante il tragitto, ma poi ritroveremmo la strada che porta inevitabilmente alla tutela dei diritti e allo sviluppo economico. Se gli obiettivi sono altri, se gli interessi di pochi diventano preminenti rispetto a quelli collettivi, allora continueremo a contorcerci su noi stessi senza mai discutere della vera natura dei nostri problemi.
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<b>L’Italia esce da un ventennio di politiche che hanno messo in discussione (e di fatto smontato) lo stato sociale a destra come a sinistra. Il risultato di queste politiche, tuttavia, non ha prodotto un paese economicamente più dinamico. È possibile coniugare una visione solidaristica dello Stato a una gestione virtuosa delle finanze pubbliche?</b>
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Alla morte del welfare, voluta sottolineo, si è aggiunta la crisi che ha investito il pianeta, figlia del fallimento storico delle politiche liberiste. Il Paese non può essere dinamico da un punto di vista economico perché in Italia non ci sono regole nel mercato, perché lo Stato non è ciò che dovrebbe essere, cioè il punto di vista dell’interesse globale. È su questo che deve indirizzare i finanziamenti alle attività produttive. Il profitto non è nato per provvedere alla sorte di chi si trova in difficoltà, ma per arricchire chi è già ricco. Perciò la virtuosità dei privati, che pure esiste, non può sopperire all’assenza di uno stato sociale. Il governo taglia la spesa sociale come mai è stato fatto prima, mentre continua a crescere la spesa pubblica. È un paradosso. In Italia la politica di contenimento del debito è stata messa in atto come fuga dalla crescita, mentre c’è bisogno di ripensare il welfare, non come spesa passiva, ma come motore dello sviluppo, pensato per i giovani e per la loro formazione. Ne è prova il fatto che l’Italia è ormai uno degli ultimi paesi europei a non prevedere, ad esempio, un reddito di cittadinanza.
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<b>La crisi che stiamo vivendo è solo l’inizio di una crisi più strutturale? O è un evento in grado di aprire nuovi scenari per il futuro?</b>
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In molti paesi la crisi ha già fortemente intaccato importanti settori strutturali dell’economia, fagocitando la produzione e i redditi. In Italia ad esempio, stiamo tutt’ora assistendo ad un pericoloso smottamento sociale, per cui intere famiglie, lavoratori dipendenti e tutto il settore delle piccole e medie imprese rischiano di entrare nella fascia delle nuove povertà. Negli ultimi anni, ben dieci punti di Pil sono passati dalle tasche dei lavoratori, ai profitti e alle rendite. I dati in crescita della povertà ci dicono che questa sofferenza sociale non può essere considerata come un dato ornamentale di vacui discorsi sociologici. La povertà è un dato strutturale dell’Italia e dell’Europa, e penso che le politiche che vanno messe in campo debbano avere come priorità la lotta per la tutela delle persone, dei bambini, dei vecchi, delle famiglie. Uscire dalla crisi richiede uno sforzo deciso, e scelte politiche chiare orientate alla ristrutturazione del welfare, dei diritti e del reddito per i ceti medio-bassi. La crisi costituisce quindi una grande opportunità, se affrontata con antidoti adeguati e se si coglie il monito che ne proviene.
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<b>La crisi economica ha messo in evidenza le falle del modello di sviluppo occidentale. È possibile un modello diverso? E l’azione di governo di un singolo paese quanto può incidere su questa dinamica internazionale?</b>
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Un modello diverso è urgente, non solo possibile. La parabola del neocapitalismo ci racconta di un mondo sottomesso alle logiche predatorie di pochi, polarizzato nella distribuzione delle risorse e delle ricchezze. Un mondo in cui i valori della finanza hanno sopraffatto il valore del lavoro come elemento di coesione sociale e di produzione di ricchezza. La tecnologia è stata messa al servizio del capitale, e non del lavoro. La globalizzazione, poi, ha completato il quadro, cancellando i diritti dei lavoratori e proponendo un modello basato sullo sfruttamento selvaggio delle risorse. Abbiamo ancora negli occhi le immagini del disastro che ha colpito il Golfo del Messico, quella marea nera è stato un avvertimento chiaro al genere umano. Ebbene, bisogna ripartire da un modello in cui la tecnologia sia un elemento che aiuti ad abbattere quote di fatica fisica, piuttosto che cancellare il lavoro umano.<br />
Dobbiamo cercare un compromesso avanzato fra crescita economica ed ecologia, avendo il coraggio di impegnare su questi temi tutta la governance globale.”
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<br/>fonte: <a href="http://operamundi.uol.com.br/entrevistas_ver.php?idConteudo=130#">Opera Mundi - Graziano Graziani</a>Giovanni RUSSO SPENA: «Primo, cacciare B. Ma per andare dove?»2010-11-12T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it547896<br />
Fallisce, come era prevedibile, anche l'incontro tra Bossi e Fini. La crisi del quadro politico imbocca sempre più i viali dello squallore tatticista, della banalità del gioco del cerino.
<p>Il dissolvimento del blocco maggioritario governativo dilania la seconda Repubblica; e segna un contesto in cui la politica economica e sociale dell'Unione europea condanna a morte lo stesso modello sociale europeo. Causando macelleria sociale, ma anche una lunga fase recessiva, economicamente e depressiva della psicologia di massa.
<p> Le politiche deflattive guidate dalla Germania mettono a rischio la stessa unità dei paesi europei, producendo, di fatto, un'Europa a più velocità e a cerchi concentrici; favorendo, in tal modo, secessioni e competitività sfrenata fra territori. Si configurano perfino scissioni statuali (e la scissione fra nord e sud in Italia è, di fatto, dietro l'angolo). Qui si colloca la crisi politica italiana. <br />
Che è inoltre crisi del bipolarismo maggioritario, soprattutto nella versione bipolare-bipartitica che Berlusconi e Veltroni vollero sciaguratamente configurare.
<p>Gli esiti della crisi politica organica non sono trasparenti e determinabili. Proprio perché è una crisi che non viene innestata dalle dinamiche sociali, perché il sistema politico si è da esse separato.
<p> Vi è una grande alienazione politica di massa. E' l'implosione di un regime, percorso dalle turbolenze della nomenclatura, che nascono dalla dislocazione, dentro la violenza della globalizzazione liberista, degli interessi padronali.
<p>C'è il fondato rischio, per paradosso, che il movimento di classe (e le sinistre con esso) ne esca con le ossa rotte. Basta pensare al fatto che il secessionista e razzista Bossi viene elevato a mediatore con Fini e tratta sulla futura presidenza della Repubblica, sul ruolo di Tremonti e sulla futura legge elettorale in cambio del federalismo secessionista.
<p>E' grave che emergano torbide manovre su una futura legge elettorale; una legge elettorale che, invece di prendere atto, con lineare trasparenza, del fallimento del bipolarismo maggioritario, sembra limitarsi a costruire normative cucite sugli interessi di Berlusconi, Fini, Casini o Bersani.
<p>Invece di eliminare il premio di maggioranza, si parla di trasformarlo in un più ridotto «premio di stabilità al 40 o al 47 per cento»; con una proposta Violante che allude ad un sistema, in parte francese, con una quota proporzionale, senza abolire la soglia di sbarramento.
<p> Ma è ammissibile discutere di legge elettorale senza un serio bilancio della crisi della formazione della rappresentanza, del pluralismo, del costituzionalismo democratico?
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Il tema, per noi, è rompere la corazza maggioritaria che il sistema politico ha costruito per evitare che il conflitto sociale possa incidere, nella sua autonomia, anche sugli equilibri istituzionali.
<p>Bersani, Fini, Casini parlano di un esecutivo «tecnico» per gestire il dopo Berlusconi. Ma questo esecutivo «tecnico» finirebbe, anche se durasse un solo anno, con l'essere il governo della Confindustria, dell'asse Marchionne-Bonanni; costruito attorno ad un presunto «patto sociale» che sarebbe ben più regressivo della stessa concertazione socialdemocratica, attaccata da destra dal padronato sotto la frusta della feroce competitività internazionale tra sistemi industriali e finanziari.
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Basta pensare alla demolizione del Contratto nazionale, dello stesso Statuto dei lavoratori, al «collegato lavoro» che ha distrutto il processo del lavoro. Il «patto sociale» intende autorappresentarsi al governo.
<p>Mi chiedo: si può pagare la cacciata di Berlusconi con un ulteriore massacro del mondo del lavoro? Ed è a questo che punta la manovra di avvicinamento al cambiamento del quadro politico di cui parla la nuova segretaria della Cgil?
<p> Possiamo, insomma, accettare un esito che, in cambio dell'abbattimento del tiranno, affida il Paese alle politiche confindustriali, alle destre che si richiamano al nuovo patto di stabilità europeo, contro il lavoro, i beni comuni, contro ogni ipotesi di programmazione e di intervento pubblico qualificato e socializzato?
<p> Vi è un'altra strada. Sviluppare, articolare territorialmente, organizzare quella prima espressione di blocco sociale e di movimento di massa che si è espresso nella preparazione e nella manifestazione del 16 ottobre, lì dove i nessi unitari fra movimenti, conflitti, rivolte (prima disperatamente dispersi e non comunicanti) hanno cominciato a trovare una condivisione unitaria.
<p>Non esistono scorciatoie politiciste, che si avvitano in maniera impotente su se stesse: come stanno, infatti, insieme governo di transizione che dia anche una «scossa all'economia», come ha detto D'Alema, con il cosiddetto «nuovo Ulivo», con la più larga alleanza per la Costituzione?
<p>Né crediamo alle virtù miracolose dei cortocircuiti plebiscitari, dove i programmi sono fievoli e generici e le aggregazioni si costruiscono intorno al carisma personale. Dare, invece, rappresentanza al 16 ottobre significa anche piena indipendenza culturale e strategica delle sinistre anticapitaliste, anche perché l'indipendenza di esse è presupposto per costruire una alleanza per la difesa della Costituzione, che è ipotesi autonoma dal governo.
<p> Ne deriva che, se esiste un Pd liberaldemocratico, aclassista, che ha accettato le ragioni del capitale, occorre accelerare il percorso unitario per costruire il polo alternativo della sinistra anticapitalista. Senza omologazioni né annessioni, ma con una concezione forte del pluralismo. Vi sono le condizioni? Ve ne è la necessità.
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<br/>fonte: <a href="http://www.controlacrisi.org/joomla/index.php?view=article&catid=39&id=9411&tmpl=component&print=1&layout=default&page=&option=com_content&Itemid=68">Liberazione</a>SERGIO GAETANO COFFERATI: «Noi subalterni a un'Europa senza modello sociale»2010-11-04T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it547645Alla data della dichiarazione: Deputato Parlamento EU (Gruppo: S&D) <br/><br/><br />
«Hanno discusso di governance per modificare il Patto, cancellando la crescita. E l'Italia non prova nemmeno ad avere un ruolo». Per l'eurodeputato la strada scelta dall'Unione è sbagliata. A guidare è la Germania che problemi di crescita non ne ha».
<p>Bruxelles. Siamo alla «destrutturazione del modello sociale europeo» e l'Italia, in questo percorso, agisce in «completa subalternità ai Paesi che decidono». A Sergio Cofferati quello che i Governi europei stanno facendo per rinnovare il Patto di Stabilità e Crescita proprio non piace, fatica a trovarci qualche aspetto positivo e quando lo fa parla di "qualche goccia" in un bicchiere che è difficile vedere anche come mezzo pieno.
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Ne parla a lungo, con passione, mentre viaggia verso un dibattito pubblico a Rocchetta di Vara, un piccolo comune nell'Appennino spezzino «che già sessanta anni fa parlava d'Europa», chiedendo un «patto federale tra le nazioni democratiche».
<p> «Non era una cosa del tutto comune», dice l' eurodeputato pensando a quella delibera comunale del 1950. Oggi l'ex leader sindacale, l'ex sindaco di Bologna, ha una poltrona a Strasburgo, dove lavora davvero ed in particolare lo fa nella Commissione speciale creata per analizzare la crisi economica e finanziaria.
<p>«Il problema dell'accordo al Consiglio europeo è che hanno discusso di governance per modificare il Patto, cancellando la crescita - spiega -. Tutta la discussione è stata centrata sul risanamento e il controllo delle dinamiche finanziarie, ma l'impianto originale del Patto di Stabilità e di Crescita anche nel linguaggio è diventato solo Patto di Stabilità».<br />
E questo non basta, perché «la stabilità era finalizzata alla crescita, che era l'obiettivo».
<p> Qualcosa che non è nell'accordo dei Governi è bene che non ci sia però: «Hanno eliminato l'automatismo delle sanzioni e la negazione del diritto di voto per gli Stati che violano le regole. Erano i provvedimenti punitivi più pesanti, ed anche forieri di problemi di non poco conto per molti Paesi, tra loro e nei rapporti con 1' Unione».
<p>Cofferati non disconosce però il valore delle sanzioni, «il problema - dice - è che senza incentivi non producono risultati consistenti».
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«Volendo trovare qualche goccia di buono in questo bicchiere - continua - c'è il fatto che l'Europa finalmente produce uno sforzo per trovare soluzioni tutta insieme. All'inizio di questa crisi ognuno provvide per se. E uno sforzo che non va assolutamente sottovalutato, anche se la strada è sbagliata». Non solo è sbagliata, ma è anche la strada privata di qualcuno, perché, spiega «le soluzioni trovate non sono pensate insieme, c'è chi le guida», e qui accenna alla Germania, che problemi di crescita non ne ha. Per rendere più efficiente lo sforzo comune, dunque, «bisogna, con incentivi mirati, ridare dignità e credibilità alla crescita, ed è questo che può fare il Parlamento europeo, riequilibrando il modello di governance, introducendo il tema "economia e società". La stabilità infatti è importante, ma all'origine aveva una finalità, senza la quale sembra essere solo una categoria dello spirito». Cofferati insiste: «Lo sforzo perla crescita è importante, perché l'Ue è in una difficoltà economica e sociale che non ha ancora raggiunto il punto più alto. Benché ci qualche molto piccolo sintomo di ripresa, non generalizzato, tolta la Germania tutti sono in difficoltà, e per gli economisti questi valori di crescita non sono sufficienti a creare occupazione aggiuntiva».
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Forse perché è stato un sindacalista, forse perché dall'osservatorio privilegiato del Parlamento ha molti strumenti di analisi, Cofferati ha tre grosse preoccupazioni per il futuro, che non vede affrontare dai Governi.
<p> «In primo luogo aumenta la disoccupazione e in particolare quella giovanile. Questo è già un dramma sociale in Italia, dove siamo al 26,4% e in Spagna, con il 41 %. In secondo luogo c'è il pesante aumento della povertà, che è meno evidente ma non meno grave: nel 2008 in Europa i poveri erano il 17%, 85 milioni di persone; ora, nel 2010, stiamo superando 20%, e sono principalmente giovani e anziani. Semplicemente stanno destrutturando il modello sociale europeo. Terzo punto è che siamo davanti ad un processo di deindustrializzazione in tutta Europa, dove chiudono le industrie più mature. Un'emergenza che non è percepita né dai Governi né dalla Task force di Herman van Rompuy, che si limita a formulazioni del generico più ovvio».
<p>Il lavoro, sostiene Cofferati, deve essere quello di «porre la crescita come precondizione, trovando risorse aggiuntive, in un momento nel quale tutti i Paesi sono in difficoltà perché scontano una caduta delle disponibilità per effetto della crisi». Qui entra il ruolo che ha già iniziato a giocare il Parlamento, che in questa materia ha il diritto di codecisione con i Governi. Senza il "sì" dei deputati non si va avanti.
<p> «Bisogna ripartire da Keynes - dice Cofferati - con interventi materiali e immateriali. Il tema è: dove trovare le risorse. Il Parlamento ha avanzato delle proposte molto concrete come l'introduzione degli eurobond e la tassa sulle transazioni fmanziarie, due cose alle quali il Consiglio neanche accenna, confermando la sua mancanza di attenzione. Ora dobbiamo trasformare queste che sono proposte politiche in proposte legislative».
<p>I Governi hanno deciso di lavorare a una revisione del Trattato, che «è una cosa possibile, ma non si capisce esattamente cosa vogliano fare, c'è tanta approssimazione, mi preoccupa. Che si crei un Fondo permanente è importante, ma bisogna chiarire quali sono i reali obiettivi perché quando apri quella porta dietro ci sono molti rischi».
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E l'Italia che fa? «Siamo di fronte all'inazione più clamorosa, non succede nulla. Il ministro dell'Economia ha sempre detto che stiamo meglio degli altri, ma intanto precipitano i fondamentali economici e cresce la disoccupazione. Nei prossimi mesi la situazione peggiorerà, ci saranno nuovi giovani alla ricerca di una lavoro e finiranno per tanti gli ammortizzatori sociali. Questo inverno e la prossima primavera saranno drammatici».
<p> Anche in Europa l'Italia non agisce. «Se accetti un irrigidimento delle politiche di bilancio che tra l'altro rischi di non reggere - spiega -, nella situazione in cui sei devi chiedere in cambio uno straordinario aiuto per la crescita.
<p>Invece niente, sembra che ci sia una completa subalternità ai Paesi che decidono, tra i quali l'Italia non c'è, siamo in Europa senza neanche la voglia di esercitare un ruolo».
<p>Non si è capito, a Roma, che le cose stanno cambiando nel rapporto con l' Ue. «Il Trattato di Lisbona - dice Cofferati - cambia sensibilmente il quadro, ma in Italia nessuno sembra tenerne conto». <br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=V3UO0">Riformista - Robustelli Lorenzo</a>