Openpolis - Argomento: lavoro femminilehttps://www.openpolis.it/2014-03-25T00:00:00ZLaura Boldrini: Dimission in Bianco2014-03-25T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it718078Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: Misto) - Pres. Camera (Gruppo: Misto) <br/><br/>E' stata dimostrata attenzione alla condizione delle lavoratrici e, al di là di alcune specifiche questioni sulle quali le forze politiche si sono divise, si è discusso di come porre fine ad una pesantissima violazione dei diritti delle donne. E' una questione di civiltà<br/>fonte: <a href="http://www.repubblica.it/economia/2014/03/25/news/lavoro_stop_alle_dimissioni_in_bianco_pd_e_sel_e_una_norma_di_civilt-81886990/">La Repubblica</a>RICCARDO NENCINI: LAVORO. NENCINI: SERVE UN ‘ART. 18 BIS’ PER TUTELARE I LAVORATORI ATIPICI2013-04-02T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it688513Alla data della dichiarazione: Assessore Regione Toscana- Senatore (Gruppo: Aut (SVP-PATT, UV)) <br/><br/>L’Italia non crea più lavoro. E il lavoro creato non gode delle più elementari tutele. E’ questa la nostra priorità assoluta. Una bussola per un ‘art. 18 bis’, così da sciogliere le grandi questioni irrisolte sul lavoro. Il disegno di legge include i lavoratori a progetto o 'le partite Iva' nelle tutele sociali garantite ai lavoratori subordinati: malattia, assegni al nucleo familiare, diritto alle ferie e i ‘permessi genitoriali’ per le donne che lavorano e sono in stato di gravidanza. Al fondo da reperire dallo Stato potranno concorrere, per il primo anno, le imprese che adotteranno ammortizzatori sociali assumendo lavoratori precari. C’è un’intera generazione di ‘invisibili’, di ‘atipici’ e precari. E sono soprattutto giovani e donne. E’ questa la vera emergenza dell’Italia<br/>fonte: <a href="http://www.partitosocialista.it/site/artId__5268/306/167-LAVORO__NENCINI-_SERVE_UN_%e2%80%98ART__18_BIS%e2%80%99_PER_TUTELARE_I_LAVORATORI_ATIPICI.aspx">www.partitosocialista.it</a>Silvio BERLUSCONI: Le donne tengono in piedi la famiglia e l'Italia2012-12-19T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it685293Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FI) <br/><br/>Ringrazio le donne perchè sono quelle che tengono in piedi la famiglia e quindi l’Italia. So che in Italia non c'è parità nel lavoro, delle donne che lavorano il 33% sono part time e su di loro pesa anche l’essere spose e madri e quindi hanno anche il peso della famiglia e della casa. Le donne sono più responsabili di noi e hanno più intuito per arrivare al nocciolo delle questioni e anche per questo ho avuto un governo con il numero più alto della storia della Repubblica. Credo che dovremmo fare di più per le famiglie e le donne"<br/>fonte: <a href="http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/1147601/Berlusconi-vuole-un-futuro-in-rosa----Le-donne-tengono-in-piedi-l-Italia--faremo-di-piu-per-loro-.html">Libero</a>Elsa Fornero: Meno vincoli sui contratti a termine, con un decreto la modifica della riforma. - INTERVISTA2012-10-16T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it655851Alla data della dichiarazione: Ministro Welfare<br/><br/><br />
«Sull'impatto della riforma del mercato del lavoro stiamo raccogliendo le prime evidenze empiriche di impatto sui contratti e, in particolare, sui contratti a termine che si avviano alla scadenza».
<p><i>Il ministro del Lavoro, ospite ieri 15 ottobre, di un forum alla redazione del «Sole 24Ore» annuncia in primo intervento di «correzione in corsa» della riforma in vigore da meno di tre mesi, un ridisegno complessivo delle regole sulla flessibilità in entrata e in uscita, l'avvio dei nuovi ammortizzatori sociali e l'apprendistato che, dice il ministro «deve essere difeso nel suo insieme perché rappresenta la strada giusta per ridurre il più possibile il disallineamento del nostro mercato rispetto a quelli europei, anche in termini di produttività».
</i>
<p>
<b>Ministro, lei parla di una raccolta di evidenze empiriche. Ma queste evidenze sono già abbastanza chiare. Sulla riforma del lavoro sono stati commessi degli errori nella parte che regola la flessibilità in entrata e sarebbe bene che questi venissero corretti. Abbiamo 400mila contratti a termine in scadenza, di cui il 40% nella Pa: la riforma del lavoro prevede che per il rinnovo serva un'interruzione di 60-90 giorni, ma così tanti lavoratori rischiano di essere espulsi dal mercato del lavoro. Le imprese e i lavoratori sono preoccupate. Non pensa che si debba intervenire subito?</b>
<p>
«Sui contratti a termine posso annunciare che stiamo pensando a una misura di adattamento sugli intervalli di attesa imposti tra un rinnovo e l'altro con l'obiettivo di ridurli il più possibile. Stiamo già lavorando a un decreto interministeriale da scrivere sulla base delle proposte finali che stiamo aspettando dalle parti sociali. L'ipotesi è di ridurre a un mese al massimo il termine di sospensione tra un rinnovo e l'altro. Gli uffici legislativi sono al lavoro per mettere a punto un allentamento responsabile della norma attuale».
<p>
<b>Non pensate alla possibilità di estendere a tutte le imprese le deroghe adottate per le assunzioni a termine nelle start up?</b>
<p>
«No, quello non è possibile. Si produrrebbe una lacerazione del mercato del lavoro insopportabile. Abbiamo deciso per quelle aziende, che sono poche e davvero con un progetto innovativo, la possibilità di contratti a tempo determinato senza causale fino al limite massimo di 36 mesi, con la possibilità di una proroga di altri 12 per arrivare a coprire i 4 anni della start up. Oltre non si può andare».
<p>
<b>E sulle partite Iva? Anche per questa parte di lavoro autonomo c'è una forte preoccupazione sull'impatto della riforma.</b>
<p>
«Se non ci fosse stata una diffusa presenza di false partite Iva non avremmo introdotto le norme che fanno scattare la presunzione di subordinazione. Per il Governo il lavoro autonomo è, se possibile, anche più importante in prospettiva rispetto al lavoro dipendente tradizionale. Proprio per questo occorre agire con grande attenzione e determinazione, sulla base del monitoraggio che stiamo avviando con criteri del tutto nuovi e basati su una valutazione scientifica dell'impatto delle singole misure adottate».
<p><b>Oggi il Governo invia alle Camere il disegno di legge di stabilità. Molti contenuti stanno facendo discutere, soprattutto quelli che riguardano le fasce sociali più deboli.</b>
<p>
«Posso annunciare qui che nel testo non ci saranno più due misure, una scelta che ho concordato personalmente con il ministro Vittorio Grilli e il presidente Mario Monti. Non ci sarà più la tassazione dell'indennità di accompagnamento e il taglio del 50% sui permessi previsti dalla legge 104 per i disabili o la cura dei parenti affetti da handicap. Sappiamo bene che ci sono tanti abusi nel pubblico impiego e bisogna fare pulizia. Ma non si poteva tagliare così, sarebbe venuto meno l'intero valore sociale della legge di stabilità che, pure, con l'intervento sulle due prime aliquote Irpef lancia un segnale importante. Ci sarà anche un miglioramento sui meccanismi di detrazione e deduzione per le fasce sociali più deboli e verrà resa molto più graduale la tassazione Irpef sulle invalidità. Le politiche sociali hanno poche risorse e si deve lavorare con interventi di aggiustamento e di equità, che stiamo facendo con il ridisegno degli Isee, gli indicatori della situazione economica equivalente richiesto alle famiglie in condizioni di maggiore bisogno per regolarne l'accesso a prestazioni socio-assistenziali di carattere universale».
<p>
<b>Sulla produttività è in corso un confronto tra sindacati e Confindustria. Il Governo ha esaurito il suo compito con il miliardo e seicento milioni che ha stanziato, per il 2013 e per il 2014, per la detassazione dei salari di produttività, nella legge di stabilità, o si può fare di più? E poi, avendo a disposizione 4-5 miliardi non era forse meglio spenderli per incentivare la produttività e agire sul cuneo fiscale, piuttosto che spenderli a pioggia sull'Irpef?</b>
<p>
«Sono convinta che, negli anni passati, nel bene e nel male, per necessità più che per vocazione, molte imprese abbiano usato la via della flessibilità impropria come sostituto della svalutazione nei tempi in cui non era più possibile usare la svalutazione monetaria. Hanno cercato di recuperare competitività abbassando il costo del lavoro attraverso un impoverimento dei contratti. Noi dobbiamo convincere le imprese che valorizzare il contratto di lavoro, le relazioni di lavoro, il capitale umano degli occupati è la strada per aumentare la produttività del lavoro. Anche un lavoratore laureato può avere un capitale umano povero se non fa un buon matching con l'impresa in cui lavora. No, non abbiamo esaurito il nostro compito, perchè io non credo che la detassazione del salario di produttività in passato abbia funzionato bene. Avere a disposizione delle risorse è importante ma bisogna che queste risorse siano finalizzate bene, altrimenti equivale a dire: ti do un pezzo di salario detassato ma in maniera totalmente avulsa da risultati produttivi. Io non sono al corrente di studi i quali dimostrino che c'è una buona evidenza che la detassazione del salario di produttività ha funzionato. Dare dei soldi così è molto meno efficace, riesce molto meno a indirizzare le risorse sul risultato che vogliamo raggiungere, ovvero incentivare la produttività».
<p><b>Quanto al taglio dell'Irpef?</b>
<p>
«Io avrei preferito usare risorse per tagliare il cuneo fiscale. Ma si tratta di risorse limitate, messe sul cuneo fiscale sarebbero state una goccia nel mare. Sull'Irpef è stato importante avere dimostrato una sensibilità nei confronti dei redditi bassi e medio bassi. È vero che i contribuenti che si trovano nella no tax area non sono toccati da questo intervento e, quindi, non sono stati avvantaggiati. Anche oggi, però, ho insistito con il ministro Grilli: la cifra complessiva della legge di stabilità deve dimostrare che c'è attenzione alle fasce deboli. Con le risorse che restano per le politiche sociali possiamo restituire poi qualcosa in termini di servizi. I Comuni già dicono che certi servizi non li possono più dare. Avevamo presentato un progetto per la non autosufficienza, mettendo insieme risorse della sanità e delle politiche sociali, questo progetto per il momento è accantonato ma vogliamo che gli interventi sulle politiche sociali, sommati agli interventi sull'Irpef, diano il segno di una attenzione per il sociale che in questo Governo è sempre considerata scarsa».
<p>
<b>E allora perchè avete alzato l'aliquota Iva dal 4 al 10% per le cooperative sociali?</b>
<p>
«Su questo punto, siamo sotto procedura di infrazione da parte della Ue. C'è una direttiva europea a cui dare attuazione. Su questo la colpa non è del governo».
<p>
<b>Ci sarà selettività, dunque, sull'applicazione della detassazione dei salari?</b>
<p>
«Ho già detto che quello che c'era non funzionava bene, compresa una certa regressività della misura, e che era molto blandamente legato alla produttività. La produttività si può misurare, dobbiamo collegare di più gli incentivi ai risultati, ci sono modi migliori per spendere un miliardo e 600 milioni che non buttarli lì su un obiettivo mal perseguito. Stiamo mettendo insieme le idee e ne ho già parlato con il ministro Passera. Per il resto, aspettiamo che le parti sociali ci dicano e abbiamo segni moderatamente incoraggianti: spero anche che queste correzioni in direzione di una maggiore attenzione al sociale che vengono nella legge di stabilità inducano qualcuno, nelle parti sociali, a non irrigidirsi».
<p>
<b>Che cosa pensa dell'ipotesi dell'introduzione del part time per i lavoratori over 50, che potrebbe rientrare negli accordi fra le parti sociali?</b>
<p>
«Pur nel rifiuto della logica per cui un lavoratore deve uscire dal mercato, perchè possa entrare l'altro, che è il contrario di un mercato del lavoro inclusivo, credo che però, sia per la recessione, sia perchè abbiamo una situazione di debolezza strutturale la quale è anche antecedente alla crisi finanziaria e alla successiva recessione, noi dobbiamo pensare al lavoro degli anziani in maniera innovativa. Sono molto vicina agli intendimenti del disegno di legge presentato dal senatore Ichino, che è un profondo conoscitore del mercato del lavoro. La sua è una proposta di solidarietà espansiva che abbina il lavoro degli anziani con il lavoro dei giovani. Sono tutte proposte che vanno prese in considerazione. Una proposta che va in questo senso è anche venuta da Assolombarda, nel segno della solidarietà espansiva. È chiaro che più questi progetti fanno riferimento a fondi pubblici, più in questo momento si scontrano con il fatto che le risorse sono limitate. Penso sia meglio, dunque, agire con delle buone sperimentazioni che possono essere allargate una volta che ci sarà qualche respiro in più sul piano finanziario».
<p><b>Ritornando alla flessibilità in entrata, nell'articolo 1 della riforma che porta il suo nome, si parla della «valorizzazione dell'apprendistato come modalità prevalente di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro». Come pensate di incentivarlo?</b>
<p>
«Su questo istituto, rispetto al quale ci siamo mossi sulla scia di quanto aveva già fatto in precedenza il ministro Sacconi, apportando solo alcune modifiche, noi puntiamo moltissimo. Per quanto mi riguarda, l'auspicio è che nel medio termine diventi il canale preferenziale, tipico, d'ingresso nel mondo del lavoro. Si tratta di una scommessa importante, anche se molti amici economisti mi dicono che il suo sviluppo in Italia rischia di essere un'impresa difficile».
<p>
<b>Finora la sua applicazione ha dato risultati non entusiasmanti.</b>
<p>
«Bisogna dire che noi veniamo da una storia di utilizzo dell'apprendistato determinata più dalla convenienza economica di questo tipo di contratto per il datore di lavoro che non dalla volontà di quest'ultimo di investire sulla formazione di un giovane, insegnandoli un'arte, un mestiere. Ritengo che il nostro compito sia quello di invertire questo trend: con esso l'imprenditore dovrà volere investire in capitale umano e sarà per questo motivo che il suo compito verrà agevolato da sgravi fiscali e contributivi. Così messo, questo istituto costituisce anche una leva importante per la produttività ed è stato fondamentale in Germania, in cui si considera l'apprendistato lo strumento fondamentale grazie a cui la disoccupazione giovanile è uguale rispetto al resto della popolazione, mentre in Italia, con il 33% di giovani senza lavoro, i numeri sono purtroppo molto diversi».
<p>
<b>Vi ispirate al modello tedesco?</b>
<p>
«Di certo abbiamo in mente un progetto proprio con i tedeschi, con i quali stiamo lavorando intensamente negli ultimi due mesi e che abbiamo chiamato «Apprendistato duale». Grazie ad esso disponiamo ora di un elenco di imprese italiane con stabilimenti in Germania e di aziende tedesche con stabilimenti in Italia, nonché di un elenco di scuole professionali in Italia e Germania, che lavoreranno congiuntamente. Si tratta di un progetto di scuola-lavoro che presenteremo a Napoli il 12 e 13 novembre prossimi: una scelta non causale, perché dal punto di vista dell'occupazione ritengo che si tratti di una città simbolo. Vorrei sottolineare che questa iniziativa mi piace anche perché si tratta di un caso concreto in cui la Germania non si presenta solo come un Paese il quale chiede solo rigore finanziario, ma che invece può darci una mano importante anche per l'economia reale».
<p>
<b>Nell'Italia dei licei, l'apprendistato rappresenta, però, anche un problema, una sfida culturale da vincere.</b>
<p>«Su questo fronte, si tratta di avere pazienza. Dico spesso che questo Governo sta cercando di instradare il Paese, ma che per risolvere i problemi servono tempi più lunghi. Con ciò intendo dire che non pensiamo certo di dare valore all'apprendistato solo scrivendo una norma, perché in questo caso si tratta anche di affrontare il tema dei comportamenti. Il lavoro da fare sarà lungo perché dobbiamo recuperare modelli di formazione professionale che abbiamo largamente svilito quando tutti volevano la laurea, mentre poi si è dovuto fare i conti anche con un grande abbandono scolastico. Dobbiamo convincere i ragazzi che imparare un mestiere è fondamentale e le imprese che questa è la strada per aumentare la produttività. In definitiva, dobbiamo crederci. Io, del resto, vengo dalla città dei salesiani, che hanno sempre curato la formazione professionale: Don Bosco prendeva i ragazzi dalle strada e insegnava loro un mestiere. Ripeto: se siamo troppo impazienti si fa poca strada».
<p>
<b>Sempre a proposito di categorie svantaggiate, a che punto è l'operatività del nuovo fondo che stanzia 232 milioni per le imprese che stabilizzano o assumono giovani e donne?</b>
<p>
«Stiamo lavorando, insieme all'Inps, per vedere come possa essere reso effettivamente operativo. Di fatto sarà un beneficio che riduce il costo, con bonus fino a 12mila euro per le conversioni a tempo indeterminato e di 3mila euro per nuovi contratti a termine di durata non inferiore ai 12 mesi, che salgono a 4mila per quelli che superano i 18 mesi e arrivano a 6mila euro per i contratti che vanno oltre i 24 mesi».
<p>
<b>La vicenda esodati crea ancora aspre tensioni. Per il Governo la partita si è chiusa?</b>
<p>
«Esodati da altri, salvaguardati dal governo. Questo lo dico sempre. C'è un discorso complesso, cerco di ribardirlo per grandi linee: lo dico perché sono stata accusata di ogni menzogna, ma ho sempre respinto al mittente questa accusa e lo faccio anche oggi. Il ministro non sapeva lo stato dell'arte, forse avrei dovuto ma nessuno me l'aveva detto: abbiamo messo la norma di salvaguardia che era una replica di tutte le cose messe in passato. Mi è stata data una stima iniziale di 50mila, poi aumentatata a 65mila per avere margine, dopodiché si scopre che il mondo imprenditoriale è stato molto più propenso a usare questa leva per un alleggerimento di manodopera rispetto a quanto stimavano i nostri uffici. E soprattutto bisogna tenere in considerazione che non solo c'erano accordi fatti con il governo, ma altri di diverso tipo siglati con enti teritoriali e altri ancora personali tra datore di lavoro e singolo lavoratore. Un mondo di accordi non facile da conoscere e men che meno da misurare».
<p><b>Quindi, come avete proceduto?</b>
<p>
«Con due provvedimenti successivi abbiamo finora salvaguardato 130mila persone. C'è il primo decreto da 65mila che è adesso operativo con domande che stanno arrivando all'Inps: L'istituto le sta vagliando e sta mandando le lettere. Va tenuto presente che noi non salvaguardiamo categorie di persone ma singoli individui ai quali diciamo: «Hai il diritto soggettivo di andare in pensione con i vecchi requisiti». Ne consegue che dobbiamo veramente individuare persona per persona e sui primi 65mila l'operazione sta ben procedendo, tanto che adesso siamo a già a circa 30mila riconoscimenti. Poi c'è il secondo decreto che abbiamo perferzionato con il ministro Grilli la settimana scorsa, che riguarda 55mila persone per un totale di 120mila individui. Negli stessi giorni, infine, ho emanato il terzo decreto che salvaguarda i lavoratori della finestra mobile del ministro Sacconi, che sono circa 10mila, con i quali si arriva appunto a quota 130mila».
<p>
<b>D'accordo sui 130mila, però si parla di altre platee.</b>
<p>
«Io credo che vadano doverosamente salvaguardate le persone in difficoltà, ma siamo sicuri che tutti coloro che maturano questi requisti nel 2013 e 2014 abbiano titolo per definirsi salvaguardati? La risposta è largamente sì ma ci sono casi individuali: i contributori volontari. L'ultima cosa che vorrei fare è cercare le persone non ancora salvaguardate per questi due anni e dare a loro una tutela. Nella platea dei 130mila ci sono persone che andranno in pensione con accordi collettivi di mobilità fino al 2018, tra cui quelli di Termini Imerese».
<p>
<b>Comunque la riforma non può essere stravolta.</b>
<p>
«Non possiamo pensare di disfare la riforma delle pensioni come in Parlamento qualcuno ha tentato di fare. Dobbiamo innovare e pensare a strumenti nuovi. Pure nell'ambito del Pd ci sono diverse persone che pensano a provvedimenti di invecchiamento attivo, come i senatori Ichino e Treu.
Anche per gli anziani il lavoro deve essere una risorsa e non bisogna solo pensare a un mercato del lavoro in cui un lavoratore senior esce per fare spazio a un altro giovane: questo è il contrario del mercato del lavoro inclusivo al quale noi vogliamo tendere».
<p>
<b>
Secondo lei ha consolidato definitivamente il nostro sistema previdenziale?</b>
<p>
«Oggi il sistema pensionistico regge ed è in grado di sostenere i suoi conti perché dalla riforma arrivano grandi risparmi. La questione del disavanzo Inpdap messo insieme all'Inps, che ha un avanzo sul fondo lavoratori dipendenti, è in parte malposta. L'istituto mi ha confermato che il pagamento dei contributi da parte dello Stato è al 98-99 per cento. Che ci fosse un disavanzo lo sapevano tutti: io auspico che si prenda questa occasione di costruzione di un unico ente previdenziale per dare ordine contabile al sistema dei pagamenti e dei contributi dello Stato sui propri dipendenti. Lo Stato deve essere un datore di lavoro come tutti gli altri, che paga i suoi contributi e trasferisce quanto deve all'Inps per coprire il divario tra contributi e prestazioni».
<p><b>Lei spesso fa riferimento al concetto di equità. Molte persone ricevono più pensioni: non sarebbe il caso di mettere un tetto o eliminare questa possibilità di cumulo?</b>
<p>
«Noi ci siamo inseriti su una norma che c'era già sul contributo di solidarietà per le pensioni alte. Personalmente io avevo proposto un prelievo del 25% sulla parte di pensione che eccede i 200mila euro. Ma Fornero propone e altri approvano. Per cui questa proposta non è passata e hanno portato il contributo al 15 per cento. Io sono favorevole a una tassazione di queste pensioni alte perché non sono state pagate del tutto con i contributi».
<p>
<b>Ancora un quesito sulla materia pensionistica: avete pensato di allargare agli uomini l'opzione dell'uscita anticipata con il contributivo?</b>
<p>
«Il problema non si è posto per due motivi: perché c'è stata poca richiesta persino da parte delle donne. E poi per problemi di cassa».
<p>
<b>Come va la verifica sulla sostenibilità delle casse professionali? C'è probabilmente un grosso problema per la cassa dei ragionieri che non è riuscita a varare le misure correttive.</b>
<p>
«Le casse hanno fatto molta resistenza su questa operazione che trovavano lesiva delle loro autonomia, ma nel corso del confronto hanno capito che non c'era antagonismo da parte del governo bensì il desiderio di aiutarle a ritrovare una loro sostenibilità. Ho scritto diverse volte da studiosa delle casse e ho sempre sostenuto che quella che ha introdotto la privatizzazione è stata una legge sbagliata perché si dava autonomia a un disegno pensionistico non troppo solido e la Cassa ragionieri è la dimostrazione di come si possa realizzare una bassissima diversificazione del rischio. In un sistema a ripartizione non possono stare in piedi casse di una sola professione, io ho sempre pensato che dovevano adottare la formula contributiva che è sostenibile perché paga l'equivalente attuariale dei contributi versati. Ora, siccome il rendimento è basato sulle dinamiche interne della professione, bisognerebbe fondere più casse. Ma questo è un caso in cui gli egoismi di categoria si manifestano nella maniera più evidente perché finché una cassa presenta gli avanzi si sente forte e pensa di essere nel migliore dei mondi possibili. Quando iniziano a manifestarsi disavanzi, invece, cerca soccorso e vuole unirsi ad altri. Queste storie, però, vanno tipicamente a finire con l'intervento dello Stato per ripianare disavanzi privati».
<p>
<b>Eppure il passaggio al contributivo da altri è stato recepito.</b>
<p>
«Posso dire che la norma ha sortito effetto perché per esempio Inarcassa, che si è sempre dimostrata molto resistente al metodo contributivo, l'ha infine sposato in pieno. Gli avvocati l'hanno fatto in maniera non piena, ma comunque l'hanno fatto. Ora stiamo esaminando i bilanci che ci sono stati consegnati il 30 settembre».
<p><b>E sui ragionieri che intenzioni avete?</b>
<p>
«Sulla cassa dei ragionieri non voglio anticipare niente, ma non hanno ottemperato agli obblighi di legge. Fornero non ha ancora commissariato la cassa dei ragionieri, ma è ben conscia che c'è un problema e lo stiamo esaminando con la dovuta serietà».
<p>
<b>Parliamo di politiche attive. Come si rende più dinamico il mercato del lavoro?</b>
<p>
«Il dinamismo si basa su monitoraggio e valutazione dei risultati. Stiamo dedicando molto tempo al monitoraggio della riforma che deve essere vista nel suo complesso, giudicarla a pezzi vuol dire rischiare di perdere di vista tutto l'insieme. Abbiamo messo all'opera un gruppo di lavoro che sta predisponendo l'esplorazione delle banche dati contenenti informazioni sul mercato del lavoro. Abbiamo molte banche dati che a volte si parlano e a volte no».
<p>
<b>Come renderle effettivamente funzionali?</b>
<p>
«Cerchiamo di adottare una metodologia scientifica di valutazione per cercare di isolare l'effetto di una norma per capire con robustezza scientifica l'impatto che produce. Vorrei due tipi di valutazione: una istituzionale affidata all'Isfol, di cui vorrei migliorare la performance, attribuendogli un compito istituzionale di monitoraggio. Poi c'è una valutazione dal parte del mondo scientifico che possa dare un giudizio sulla riforma, com'è stato fatto in Germania, dove le riforme sono iniziate nel 2003 e da allora sono andati avanti a modificare e a valutare: ciò che funzionava è stato potenziato, ciò che non funzionava veniva cestinato».
<p>
<b>Nel monitoraggio esistono indicatori che possano misurare gli effetti della riforma nei tribunali?</b>
<p>
«Mi sono trovata spesso con un'obiezione che facevo fatica ad accettare: la sua riforma dell'articolo 18 va anche bene, ma in Italia non abbiamo i giudici tedeschi. Allora la mia replica è stata: sì, ma non abbiamo neanche imprenditori e lavoratori tedeschi. Insomma, non siamo la Germania, nel bene e nel male. Conosco molti giudici del lavoro e mi fido di loro. Io credo che la rappresentazione dei giudici che si occupano delle cause in maniera pregiudiziale non sia corretta. Si tratta di diffondere le pratiche buone. Noi abbiamo messo un meccanismo di conciliazione, che potrà funzionare o meno, però noi cerchiamo di dare gli incentivi giusti. La conciliazione risolve i casi in cui una parte capisce la buona fede dell'altra. Poi c'è un altro aspetto: se anche il processo sarà lungo al lavoratore andrà indennizzo massimo, questo è un modo per dare certezza sui costi. E in ogni caso abbiamo anche scritto norme insieme al ministro Severino, norme per creare un canale veloce per il processo del lavoro».
<p>
<b>Quando verrà concluso il monitoraggio?</b>
<p>
«L'obiettivo è chiudere la preparazione dello schema del monitoraggio e poi di avviarlo. Ma ci sono cose che posso far partire subito: dalle comunicazioni di lavoro, ad esempio, ho indicazione su un aumento di licenziamenti, anche se sono mere indicazioni su cui non si riesce a derivare causalità nell'immediato».
<p>
<b>Qual è la priorità?</b>
<p>
«La priorità è portare a termine tutti gli adempimenti normativi delle riforme fatte. Su quella delle pensioni il quadro è completato, mentre su quella del lavoro mancano due importanti deleghe da attuare: quella sulla partecipazione e quella sulle politiche attive. La prima riguarda uno strumento importante per raggiungere più alti livelli di produttività: abbiamo messo a punto una bozza, con la rassicurazione per il mondo delle imprese che la partecipazione non deve essere vista come un'imposizione calata dall'alto. La seconda è un po' più complessa, perché prevede un tavolo istituzionale con le parti sociali e con le Regioni e deve portare a centrare l'obiettivo di far funzionare le politiche attive. È una delega importantissima, perché è uno dei fondamenti della riforma».
<p>
<b>Ma per ora è rimasta inattuata.</b>
<p>
«Posso garantire che la attueremo entro la fine della legislatura, faremo sì che le politiche attive funzionino e non siano mero accessorio come accade in buona parte del Paese. Il cambiamento radicale degli ammortizzatori sociali garantisce un'assistenza finanziaria ai disoccupati ma è fondamentale che questi si attivino per cercare un nuovo impiego. Il mercato del lavoro è più complesso di quasi tutti gli altri mercati. Sono necessari operatori professionali, noi abbiamo in alcune parti d'Italia delle attività che funzionano a livello europeo, in termini di corsi di riqualificazione, attivazione del lavoratore, di matching tra domanda e offerta, a livello europeo, ma sono eccezioni. Questa è la vera scommessa su cui dobbiamo investire e puntiamo entro marzo ad attuare la delega».<p>
<i>A cura di Francesca Barbieri, Davide Colombo, Valentina Melis, Mauro Pizzin, Matteo Prioschi.</i><br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1LUM2T">Il Sole 24 Ore</a>Patrizia TOIA: Imprenditoria femminile: uno sguardo dall'Europa2012-05-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it641289Alla data della dichiarazione: Deputato Parlamento EU (Gruppo: S&D) <br/><br/><br />
“Imprenditoria femminile: uno sguardo dall’Europa”, questo il tema al centro della tavola rotonda che si é svolta questa mattina al Parlamento europeo e che ha visto la partecipazione di una delegazione congiunta di donne imprenditrici, membri delle giunte nazionali di Confartigianato Imprese, Conferscenti e CNA. Presenti anche numerose eurodeputate tra le quali l’Onorevole Patrizia Toia che in quanto Vice presidente della Commissione ITRE é vicina alle problematiche e alle esigenze del mondo dell’imprenditoria e sopratutto delle PMI. Dopo una panoramica generale sulle attività e gli strumenti promossi dall’Europa a sostegno delle PMI, l’eurodeputata ha illustrato le potenzialità del programma COSME.
<p>
“Si tratta di uno strumento di finanziamento che continua in larga misura le attività inserite nell'attuale programma quadro per la competitività e l'innovazione CIP, ma allo stesso tempo rappresenta un´iniziativa chiave da parte della Commissione europea per ridare un nuovo slancio alla competitività delle PMI, le quali, fino a questo momento, hanno incontrato troppi limiti nell´accesso ai finanziamenti europei, finanziamenti - ha continuato Toia - che sono indispensabili per affrontare i bisogni finanziari, rilanciare l´economia, sostenere l'internazionalizzazione e il mercato unico europeo".
<p>
Contare sull’aiuto europeo, ma anche credere nell’Europa, é stato questo, inoltre, il messaggio lanciato dall’eurodeputata che ha sottolineato l’importanza di una visione sempre più europea e meno legata alle logiche nazionali. Infine un messaggio di supporto a tutte le donne imprenditrici a capo di PMI e di micro imprese, perché “l’Europa riconosce l’importanza che queste attività hanno all’interno delle economie nazionali e di conseguenza attuerà decisioni lungimiranti non solo per sostenerle in questo delicato momento economico, ma anche per accompagnarle nella crescita futura”. <br />
<br/>fonte: <a href="http://www.patriziatoia.info/home/index.php?option=com_content&view=article&id=369:imprenditoria-femminile-uno-sguardo-dalleuropa&catid=8&Itemid=204">patriziatoia.info</a>DELIA MURER: Maternità e cura, bonus pensione - Proposta di legge 2012-05-24T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it640430Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Ho presentato alla Camera dei deputati una proposta di legge per riconoscere, ai fini pensionistici, il periodo dedicato alla maternità e quello dedicato al lavoro di cura di familiari disabili.
<p> La proposta stabilisce che per ogni figlio sia riconosciuto alla lavoratrice madre un bonus di due anni di contributi figurativi. Al tempo stesso viene portato a quattro anni complessivi il periodo di congedo straordinario, retribuito, riconosciuto a chi si occupa della cura di un familiare disabile grave convivente.
<p>“La recente riforma delle pensioni ha alzato l’età pensionabile e ha equiparato l’età per uomini e donne. In questo modo, però, non si riconosce il fatto che ci sono persone che, per la maternità o per la cura di un familiare disabile, di fatto lavorano il doppio, conducono carichi personali altissimi, e non possono andare in pensione così tardi. Operare una forma di compensazione rispetto alla maternità e al lavoro di cura è un elemento di giustizia sociale”.
<p>
<b>Di seguito il testo integrale della proposta di legge.</b>
<p>PROPOSTA DI LEGGE
<p>
d'iniziativa del deputato
<p>
DELIA MURER
<p><b>Introduzione di un credito contributivo ai fini pensionistici per la maternità e aumento del periodo di Congedo straordinario per assistenza e lavoro di cura in favore di familiari conviventi portatori di handicap.</b>
<p>Onorevole colleghi,
<p>
alcuni recenti provvedimenti del Governo in ordine alla materia previdenziale sono stati volti al progressivo innalzamento dei requisiti anagrafici per il diritto all’accesso dei trattamenti pensionistici. Questo con riferimento sia ai lavoratori pubblici che privati, sia uomini che donne.
<p>
La riforma è avvenuta per due ragioni sostanziali: da una parte lo scopo di adeguare i requisiti anagrafici per l’accesso al sistema pensionistico all’incremento della speranza di vita accertato dall’ISTAT e convalidato dall’EUROSTAT, con riferimento ai 5 anni precedenti. Dall'altra, la necessità di garantire la sostenibilità economica di lungo periodo del sistema che, oltre all'aggancio automatico dell'età pensionabile all'incremento della speranza di vita, ha previsto il posticipo della decorrenza dei trattamenti pensionistici (cd. finestre) e un generale incremento dei requisiti pensionistici.
<p>
L’articolo 24 del decreto-legge 201/2011 ha attuato una revisione complessiva del sistema pensionistico.
<p>
In particolare, sono stati ridefiniti i requisiti anagrafici per il pensionamento di vecchiaia a decorrere dal 1° gennaio 2012 (comma 6), disponendo l’innalzamento a 66 anni del limite minimo per accedere alla pensione di vecchiaia (sia per i lavoratori dipendenti sia per quelli autonomi), nonché l’anticipazione della disciplina a regime dell’innalzamento progressivo dell’età anagrafica delle lavoratrici dipendenti private al 2018 (in luogo del 2026) Più specificamente, sono stati ridefiniti i requisiti anagrafici per l'accesso alla pensione di vecchiaia nei seguenti termini:
<p>
62 anni per le lavoratrici dipendenti private, la cui pensione è liquidata a carico dell'AGO e delle forme sostitutive della medesima; tale requisito anagrafico viene ulteriormente innalzato a 63 anni e 6 mesi a decorrere dal 1° gennaio 2014; 65 anni a decorrere dal 1° gennaio 2016; 66 anni a decorrere dal 1° gennaio 2018;
<p>
63 anni e 6 mesi per le lavoratrici autonome la cui pensione è liquidata a carico dell'AGO nonché della gestione separata INPS; tale requisito anagrafico è fissato a 64 anni e 6 mesi a decorrere dal 1° gennaio 2014; 65 anni e 6 mesi a decorrere dal 1° gennaio 2016; 66 anni a decorrere dal 1° gennaio 2018; 66 anni per i lavoratori dipendenti privati e i pubblici dipendenti (lavoratori e, ai sensi dell’articolo 22-ter del D.L. 78/2009, lavoratrici), la cui pensione è liquidata a carico dell'AGO e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima.
<p>
Il successivo comma 10 innalza, a decorrere dal 1° gennaio 2012 e con riferimento ai soggetti la cui pensione è liquidata a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima, nonché della gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della L. 335/1995, che maturino i requisiti a partire dalla medesima data, il limite massimo di 40 anni richiesto ai fini del riconoscimento del diritto al pensionamento in base al solo requisito di anzianità contributiva a prescindere dall’età anagrafica (c.d. “quarantesimi”). Sulla base delle nuove disposizioni, l’accesso al trattamento pensionistico è consentito esclusivamente qualora risulti maturata un’anzianità contributiva di:
<p>
nel 2012, 42 anni e 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne;
<p>
nel 2013, 42 anni e 2 mesi per gli uomini e 41 anni e 2 mesi per le donne;
<p>
a decorrere dal 2014, 42 anni e 3 mesi per gli uomini e 41 anni e 3 mesi per le donne.
<p>
In virtù di tale disposizione viene soppressa, sempre a decorrere dal 2012, la possibilità di accedere al pensionamento anticipato con il sistema delle cd. “quote” introdotto dalla L. 247/2007, con un’anzianità minima compresa tra 35 e 36 anni di contributi. Inoltre, si prevede l’applicazione di una riduzione percentuale del trattamento pensionistico per ogni anno di pensionamento anticipato rispetto all’età di 62 anni (pari all’1%, con elevazione al 2% per ogni ulteriore anno di anticipo rispetto a 2 anni).
<p>
Con la riforma previdenziale, sul fronte del trattamento delle pensioni per uomini e donne, il Governo ha accolto i rilievi dell'Unione Europea sull'uguaglianza tra donne e uomini, predisponendo un intervento legislativo che parifica l'età pensionabile delle lavoratrici del lavoro pubblico a quella dei colleghi maschi, passando, gradualmente, alla medesima età.
<p>
Il provvedimento, giustificato dall'esigenza di riequilibrio dei conti, non tiene del tutto conto di una serie di specificità che investono, in particolare le donne, nella loro storia lavorativa e personale, e innanzitutto del peso che deriva dalla mancanza di una vera politica di pari opportunità che investa nei servizi pubblici, che sostenga le donne nel mercato del lavoro, che dia risposte al lavoro di cura, che allevi le donne da un doppio lavoro obbligato in tutte le fasi della vita, e che le discrimina di fatto per tutta la loro vita lavorativa salvo saldare una paradossale "uguaglianza" quando si tratta della pensione.
<p>
Il medesimo discorso riguarda chi assiste familiari disabili gravi; lavoro di cura che riguarda spesso le donne ma, a volte, anche gli uomini.
<p>
In Italia ci sono milioni di persone non in grado di svolgere gli atti quotidiani della vita in modo autonomo o di non deambulare da soli, eccetera, e quindi rientranti in condizione di handicap grave (art.3 comma 3 legge 104). Soggetti che vivono una condizione che incide pesantemente nella loro vita ma anche, almeno per chi ne ha una, sulle loro famiglie, che sono la risorsa vera, dal momento che i servizi pubblici, in questo senso, risentono di note carenze.
<p>
A guardare gli ultimi dati Istat si rileva che il 43% delle donne italiane con età inferiore ai 40 anni (ma ben il 55% di quelle che ne hanno meno di 30), se decidono di avere un figlio non accedono alla maternità con tutti i diritti previsti dalla legge: non ricadono infatti tra le lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato che sono il “target” di riferimento della legge 53/2000. Oggi le giovani donne accedono in modo precario al mondo del lavoro, spesso con lavori autonomi, ma si muovono anche in un contesto molto cambiato dal punto di vista culturale, fatto di maggiore equilibrio nelle responsabilità di cura nelle coppie, di consapevolezza di non voler essere messe di fronte alla scelta di rinunciare al lavoro in presenza di un figlio.
<p>
E’ necessario dunque un riconoscimento mirato - materiale ma anche simbolico - del lavoro di cura, è necessario intraprendere un percorso di riequilibrio del sistema di welfare che allarghi i diritti sociali e di cittadinanza a chi, senza distinzione tra donne e uomini, presta attività di cura: la cura – che è attività umana essenziale e ha un valore irrinunciabile - deve entrare nella polis, ridisegnando una nuova mappa del welfare.
<p>
Un sistema di welfare a carattere strutturale, reso più urgente dalla attuale situazione di crisi, iniziando da queste proposte:
<p>
La proposta del Governo di equiparazione dell’età minima della pensione di vecchiaia delle donne, a fronte della sentenza della Corte di Giustizia europea nei confronti della normativa italiana del pubblico impiego, è accettabile solo se si accompagna a una sostanziale riforma del welfare che tenga conto del lavoro di cura. La possibilità di anticipazione infatti costituiva una sorta di “risarcimento”, per quanto generico e generalizzato, del ruolo di cura ricoperto dalle donne nella società. Averla cancellata contempla la necessità di individuare, comunque, una forma di riconoscimento per il lavoro di cura stesso.
<p>
La nostra legislazione già prevede forme di riconoscimento per quelle categorie di lavoratori che hanno un'attesa di vita ridotta come disabili e lavoratori addetti a mansioni usuranti. Chi assiste in famiglia persone con necessità di assistenza continuata risente oggettivamente della medesima “usura” personale, della propria esistenza, tale da giustificare un riconoscimento. La presente Proposta di legge scaturisce dal principio dell’indispensabilità del riconoscimento della cura, a cui va dato un corrispettivo materiale, che viene tradotto nel cosiddetto "Credito di cura", un credito contributivo ai fini pensionistici che riguarda la maternità e il lavoro di cura. Un sistema di crediti che – secondo la nostra proposta – riconosce alle lavoratici madri un bonus di due anni di contribuzione figurativa, per ogni figlio, valido a tutti gli effetti di legge ai fini della maturazione del requisito di anzianità contributiva.
<p>
Inoltre il provvedimento concede un riconoscimento a lavoratori e lavoratrici impegnati, nell'ambito familiare, in un lavoro di cura verso familiari conviventi con handicap grave. La formula è quella di aumentare il periodo di congedo straordinario, già previsto dalla normativa, da due a quattro anni nell’ambito della propria vita lavorativa. Un congedo retribuito a tutti gli effetti e con rilevanza ai fini pensionistici.
<p>
Questa perequazione non solo va nella direzione di riconoscere alle donne quel diritto al riconoscimento di uno svantaggio oggettivo, di tutta quella mole di lavoro di fatto, non retribuito, che viene svolto nella responsabilità familiare, di cura e della maternità; ma aiuta a riflettere anche sul fatto che, se è vero che l'età media e l'aspettativa di vita si sono innalzate, è anche vero che il lavoro di cura logora fino al punto da abbassare la durata dell'esistenza stessa.
<p>
Appare, quindi, necessario destinare a misure di riconoscimento del lavoro di cura almeno una parte dei risparmi ottenuti con l'innalzamento dell'età pensionabile.
<p>
La presente Proposta di legge provvede, dentro questi indirizzi, al conferimento di una delega al Governo in ragione della estrema complessità del sistema previdenziale, che ha bisogno di interventi di varia natura su più provvedimenti che solo da un'analisi normativa e contabile preventiva del Governo possono essere prodotto.
<p>
Per quanto riguarda la copertura finanziaria, non risultando possibile procedere in sede di conferimento della delega, a causa della complessità della materia trattata, all'esatta determinazione degli effetti finanziari derivanti dall'attuazione delle disposizioni delegate, secondo quanto previsto dalla legge di contabilità generale dello Stato n. 468 del 1978 e dalla riforma della medesima legge in via di approvazione definitiva (atto Senato 1397-B), la quantificazione degli oneri è rimessa alla fase di adozione dei decreti legislativi, e l'individuazione dei relativi mezzi di copertura è condizionata all'adozione di specifici provvedimenti legislativi. Si dispone, infatti, che i decreti legislativi dai quali derivino nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica, siano emanati solo successivamente alla data di entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie. A ciascuno schema di decreto legislativo deve essere dunque allegata una relazione tecnica che dia conto della neutralità finanziaria del medesimo decreto ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura.
<p>
<b>
PROPOSTA DI LEGGE</b>
<p>
<b>Art. 1.</b>
<p>
(Introduzione di un credito contributivo a fini pensionistici per la maternità).
<p>
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per l’introduzione di un’agevolazione pensionistica alle lavoratrici madri con il seguente criterio direttivo:
<p>
<b>a)</b> riconoscimento di un bonus di due anni di contribuzione figurativa, per ogni figlio, in favore delle lavoratrici madri, valido a tutti gli effetti di legge ai fini della maturazione del requisito di anzianità contributiva;
<p>
<b>Art. 2</b>
<p>
(Modifiche al Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 e alla Legge 8 marzo 2000, n. 53, in ordine alla durata del Congedo straordinario per assistenza e lavoro di cura in favore di familiari conviventi portatori di handicap)
<p>
<b>a)</b> Il Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 denominato “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita” si intende così modificato: “all’articolo 42, comma 5 bis, portare la durata massima da due anni a quattro anni”.
<p>
<b>b)</b> Di conseguenza analoga modifica alla Legge 8 marzo 2000, n. 53, denominata "Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”: “ all’articolo 4, comma due, portare la durata massima da due a quattro anni”.
<p>
<b>
Art. 2.</b>
<p>
(Pareri sullo schema di Decreto legislativo).
<p>
<b>1.</b> Lo schema di Decreto legislativo adottati ai sensi degli articolo 1 della presente legge, è deliberato in via preliminare dal Consiglio dei ministri, sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative a livello nazionale.
<p>
<b>2.</b> Lo schema di Decreto legislativo è trasmesso alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, che sono resi entro trenta giorni dalla data di assegnazione dello stesso. Entro i trenta giorni successivi all'espressione dei pareri, il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni ivi eventualmente formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti, che sono espressi entro trenta giorni dalla data di trasmissione.
<p>
<b>Art. 3.</b>
<p>
(Copertura finanziaria).
<p>
<b>1.</b> Il Decreto legislativo di cui all'articolo 1, dai quali derivano nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica sono emanati solo successivamente alla data di entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie.
<p>
<b>2.</b> Allo schema di decreto legislativo di cui al comma 1 è allegata una relazione tecnica che rende conto della neutralità finanziaria del medesimo decreto ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.deliamurer.it/cms/it.html?view=article&catid=4%3Aproposte-di-legge&id=417%3Amaternita-e-cura-un-bonus-per-la-pensione&tmpl=component&print=1&layout=default&page=">www.deliamurer.it</a>DELIA MURER: Riforma del lavoro, più azioni per l'inclusione delle donne2012-04-13T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it626808Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
E’ cominciato in Commissione, al Senato, la discussione sulla riforma del mercato del lavoro. Si è parlato molto, giustamente, in queste settimane di articolo diciotto, di flessibilità, di ammortizzatori sociali e di precarietà. Non si è parlato quasi per nulla di misure a sostegno dell’occupazione femminile. Un tema messo ai margini della discussione, mentre dovrebbe essere un elemento cardine per il rilancio e lo sviluppo del Paese. I dati Istat sul mercato del lavoro di marzo ci dicono che mentre il tasso di occupazione maschile (67,2 per cento) è stabile rispetto a febbraio, quello femminile (46,7 per cento) è in calo del 4 per cento rispetto al mese precedente.
<p>Non solo: il 49,2 per cento delle giovani donne del Mezzogiorno è disoccupato. E laddove le donne trovano lavoro, prevalentemente si collocano nel segmento dei precari. Esiste, quindi, una specificità della questione femminile nella più generale vicenda del mercato del lavoro. La riforma proposta dal Governo, pur contenendo alcune proposte, non sembra tenerne conto. Il dibattito parlamentare dovrà spostare questo asse e introdurre misure più stringenti sul tema. Sia sul fronte di misure dirette sia su quello del riconoscimento del peso della donna nel ruolo familiare e nel lavoro di cura, su cui bisogna investire per dare un impulso all'occupazione femminile.
<p>I tagli di questi anni stanno mettendo a dura prova i servizi pubblici locali per la famiglia: asili nido, tempo prolungato nelle scuole, assistenza ad anziani e disabili. La donna, nell’ambito familiare, è in genere caricata di tutte queste incombenze, e, venendo meno il servizio pubblico, sparisce un sistema di sostegno alla figura stessa della donna, costretta a tagliare il tempo del lavoro per dedicarsi alla cura dei figli, dei genitori anziani, della famiglia. Ripristinare, e anzi rilanciare, la rete di servizi per la genitorialità, per l’istruzione, per l’assistenza, serve a restituire alla donna una funzione più attiva sul mercato del lavoro.
<p>
Gli interventi previsti dalla riforma Fornero, in questo senso, appaiono insufficienti. Buono il congedo di paternità obbligatorio ma sono pochi i tre giorni. Siamo ben lontani dal modello occidentale. Il Parlamento europeo, infatti, non a caso chiede il congedo di paternità per almeno 15 giorni. Tutta la materia dei congedi parentali, in realtà, andrebbe riscritta, sul fronte della loro convenienza, della protezione da eventuali discriminazioni, per l’allargamento alle fasce di precariato, per il riconoscimento delle differenze e delle specificità.
<p>
Addirittura fuorviante la misura dei voucher per le baby sitter, che fa emergere il lavoro nero ma di certo non aiuta la maternità, collegata com’è al rientro al lavoro della donna in tempi più rapidi. Una misura che sottrae spazi all’esercizio della maternità e non compensa i tagli alla spesa e ai servizi per gli asili nido. Anche la norma sulle dimissioni in bianco, che andrebbe a tutelare maggiormente le donne, soggetto tradizionalmente più esposto a questa pratica, segna, al tempo stresso, un elemento positivo per l’iniziativa in sé ma un arretramento rispetto alla Proposta di legge che sta maturando in Commissione Affari sociali. Nell’insieme, quindi, il quadro degli interventi per una maggiore inclusione delle donne nella vita economica previsti dalla riforma del lavoro è insufficiente. Ci sarà da fare un lavoro attento, a cominciare dal Senato e poi alla Camera, per introdurre correttivi, misure più efficaci e ribaltare una impostazione che sembra puntare lo sguardo più sul passato che sul futuro.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.deliamurer.it/cms/en/articoli-e-interventi/404-riforma-del-lavoro-piu-azioni-per-linclusione-delle-donne.html?tmpl=component&print=1&layout=default&page=">www.deliamurer.it</a>DELIA MURER: Riforma del lavoro, attenzione alle pari opportunità2012-01-25T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it623613Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Il Governo, insieme alle parti sociali, ha avviato il tavolo di discussione e di elaborazione per una riforma del mercato del lavoro. Si tratta di uno snodo fondamentale per modernizzare il Paese e consentire all’Italia di governare meglio questa insidiosa crisi economica internazionale. Si parla di riforma della cassa integrazione, di redditi più alti per i precari, di nuovi ammortizzatori sociali, di costo del lavoro e di produttività.
<p>
Inutile, in questa fase, commentare le indiscrezioni sulle misure che sono in cantiere. Non c’è ancora una traccia precisa ed è bene rinviare ogni commento a quando il Governo avrà presentato, con chiarezza, una sua proposta organica. Il Partito Democratico è impegnato, però, nel suo sostegno al Governo, a segnalare con forza il grosso disagio che attraversa il mercato del lavoro e in particolare le categorie più deboli, più esposte alla crisi. Parliamo di chi perde il posto di lavoro, di chi è disoccupato da troppo tempo, di chi entra sul mercato dalla porta secondaria della precarietà e, invece di progredire, rimane sempre su quell’uscio incerto che ne condiziona la realizzazione personale e professionale. Tra i temi su cui faremo una battaglia c’è sicuramente il lavoro delle donne, questa difficile frontiera che vede le donne dover conciliare faticosamente i vari ruoli a cui sono chiamate, doverlo fare in condizioni più difficili, con meno prospettive di carriera, con meno retribuzione, pur avendo più competenze e preparazione. Dati drammatici, in questo senso, sono emersi di recente nel rapporto ombra Cedaw, uno studio sull’applicazione della Convenzione internazionale sui diritti delle donne per garantire pari opportunità in ambito sia pubblico che privato. La ricerca, condotta da associazioni e organizzazioni, è stata presentata qualche giorno fa alla Camera dei deputati con una iniziativa chiamata “Lavori in Corsa”.
<p>Diversi i dati che colpiscono. La pensione delle donne è mediamente più bassa del 30,5% rispetto a quella degli uomini: gli uomini rappresentano il 47% dei pensionati ma incassano il 56% del “monte pensioni”. Le studentesse rappresentano il 58% dei laureati, ma le ricercatrici universitarie sono il 40%, le professoresse associate il 32%, le ordinarie solo il 14% e sono 2 le uniche donne rettore in tutta Italia.
Una donna su due non cerca lavoro, e nelle Regioni del Sud il tasso raggiunge picchi del 63%. In Italia oltre un quarto delle donne occupate abbandona il lavoro dopo la maternità: solo nel 2010 per questo motivo 800 mila donne sono uscite dal mercato del lavoro.
<p>Infine c’è il problema delle ‘dimissioni in bianco’, una pratica usata dai datori di lavoro per licenziare le lavoratrici che finiscono in maternità.<br />
Si calcola che un lavoratore su quattro abbia conosciuto questa cosa almeno una volta nella sua vita professionale.
<p>Il quindici per cento dei contratti a tempo indeterminato viene accompagnato dalla “richiesta” di firmare contestualmente anche le dimissioni in bianco.<br />
Nel 90 % dei casi queste vengono depositate quando una lavoratrice ha una gravidanza. Per porre fine a questa terribile pratica, nel 2007 il Parlamento italiano aveva approvato una legge in base a una direttiva europea. Era la legge 188. E imponeva l'obbligo di redigere le dimissioni su un apposito modello informatico, predisposto e reso disponibile da uffici autorizzati, impedendo, quindi, di poter conservare le dimissioni in bianco e poterle depositare a piacimento del datore di lavoro. Il governo Berlusconi, purtroppo, ha cancellato quella norma nel giugno del 2008. Il tema deve assolutamente tornare nell’agenda del Governo. Il Ministro Fornero ha detto che la questione è allo studio del suo Ministero ma ha escluso, in un question time al Senato, il ritorno della legge 188. Il Pd, invece, deve fare una battaglia proprio per il ripristino di quella legge, che rappresenta l’unico strumento in grado di debellare una pratica selvaggia, inumana e antidemocratica. In questo senso segnalo che è cominciata in Commissione Lavoro alla Camera l’esame di una Proposta di legge di cui sono firmataria che mira proprio a ripristinare la norma cancellata.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.deliamurer.it/cms/it.html?view=article&catid=7%3Ageneraliste&id=371%3Ariforma-del-lavoro-attenzione-alle-pari-opportunita&tmpl=component&print=1&layout=default&page=">deliamurer.it</a>Anna FINOCCHIARO: «Cancellare subito la vergogna delle dimissioni in bianco» - INTERVISTA2012-01-21T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it623409Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
«Usano questo strumento per aggirare l'articolo 18. Noi in prima linea in una battaglia di civiltà. Il centrodestra dovrà cedere all`indignazione».
<p>Un appello alla ministra Elsa Fornero lanciato da 14 donne e subito sottoscritto da altre 188, proprio il numero di quella legge contro le dimissioni in bianco che il governo Berlusconi ha cancellato. E poi, un passaggio del discorso del segretario Pd, durante l`Assemblea di ieri, affinché sul tavolo di lavoro per la riforma del mercato entri in primo piano anche il ripristino di quelle norme di civiltà spazzate via proprio mentre la crisi, che il centrodestra ha negato fino alla scorsa estate, logora posti di lavoro e quelli delle donne un po' di più.
Anna Finocchiaro, capogruppo dei democratici al Senato dice che la questione "non è tornata al centro dell`attenzione, perché per il Pd c`è sempre stata".
<p>
<b>Presidente, tante dichiarazioni di intenti, ma la legge ancora non c`è. Adesso l'appello trasversale di moltissime donne al ministro. E il Parlamento?</b>
<p>
"Questa è una battaglia che noi democratici non abbiamo mai abbandonato. La reintroduzione del divieto di dimissioni in bianco è stata oggetto di nostri interventi in Aula, di emendamenti, sempre bocciati dal centrodestra, e proposte di legge sia alla Camera sia al Senato. Sono state soprattutto le senatrici e le deputate a tenere sempre alta l`attenzione su questo tema e lo dico non per fare una rivendicazione fine a se stessa, ma per ribadire che questa battaglia, che ritorna oggi di attualità sui media, grazie anche a questo appello di tante donne impegnate in politica, nel sindacato, nel mondo dello spettacolo e della cultura, che io stessa ho sottoscritto, il Pd non ha mai smesso di combatterla".
<p>
<b>Non ripristinare quella legge potrebbe essere ancora più drammatico per le donne, ma anche per gli uomini, con l`acuirsi della crisi e la recessione in atto. Perché aspettare?</b>
<p>
"Di fronte all`incalzare della crisi e all'ulteriore mortificazione dei diritti del lavoro, la questione è di assoluto rilievo. Per evitare la pratica delle dimissioni in bianco non ci vogliono meccanismi complicati né costi aggiuntivi. Lo strumento c'è, è quello sperimentato nel 2006 dal governo Prodi: le dimissioni vanno compilate in moduli con numeri progressivi e non possono avere una data che vada più indietro dei 15 giorni dal momento della presentazione. Non c'è motivo per rinviare, la discussione della norma va messa immediatamente all'ordine del giorno sia alla Camera che al Senato".
<p>
<b>La domanda è: perché il centrodestra dovrebbe dire sì oggi quando ha detto no fino a ieri?</b>
<p>
"Perché potrebbe cominciare a vergognarsi se non lo facesse e a far crescere il senso di vergogna sarebbe quel sentimento di indignazione che sta crescendo tra gli uomini e le donne di questo Paese. Quella norma, infatti, riguarda tutti e aggiungo che lo strumento delle dimissioni in bianco è un modo di aggirare l`articolo 18".
<p>
<b>Il governo dice che per ora l`articolo 18 non è all`ordine del giorno. Se dovesse tornarci, il Pd riuscirebbe a trovare una sua posizione?</b>
<p>
"Per quanto riguarda il Pd l'articolo 18 non è in discussione e non è discutibile. Io starei però attenta perché, mentre vedo che monta il dibattito su una presunta e ipotetica volontà del governo di modificarlo, non noto altrettanta attenzione alle decine e decine di posti di lavoro che saltano ogni giorno".
<p>
<b>Il Pd appoggia questo governo con lealtà senza rinunciare a dire la propria, ha spiegato Bersani. Insomma, ci siete ma non siete il governo.</b>
<p>
"Noi siamo leali e lo dimostriamo ogni giorno in Parlamento. Lo siamo soprattutto perché non rinunciamo, nelle sedi appropriate, a rappresentare le nostre posizioni, i nostri rilievi e la posizione del nostro partito sulle questioni che stiamo affrontando e che affronteremo in futuro. Né, d'altra parte, ci si può aspettare di meno dal più grande partito italiano e da una forza seria e responsabile che appoggia questo governo ma che si candida a guidare il prossimo".
<p>
<b>Con chi lo guiderete? Bersani su questo non si è sbilanciato.</b>
<p>
"Noi lo guideremo, questo è sicuro perché nessuna alleanza si crea a prescindere da noi. Vediamo chi vorrà condividere il nostro progetto di Paese".
<p>
<b>Però nel Pd c`è chi chiede un congresso anticipato per decidere la linea politica anche in vista delle elezioni.</b>
<p>
"Non vedo dove sta il problema. Un congresso del Pd non è come un congresso della Lega, siamo abituati a farli e se la maggioranza lo chiede non vedo perché non si dovrebbe fare. Mi fa aggiungere un`ultima cosa?"
<p>
<b>Cosa vuole aggiungere?</b>
<p>
"Osservo che i congressi servono anche a consolidare le leadership che già ci sono, non soltanto a crearne di nuove".<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=19P5PU">l'Unità - Maria Zegarelli</a>GIUSEPPE TASSONE: Lettera aperta al Presidente della Repubblica dei dipendenti dell'Alpitour di Cuneo2011-10-05T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it609735Alla data della dichiarazione: Pres. Consiglio Comunale Cuneo (CN) (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
I dipendenti della sede di Cuneo dell’Alpitour, a rischio di chiusura, hanno consegnato, in previsione della visita del Presidente della Repubblica in città, al Presidente del Consiglio Comunale di Cuneo Beppe Tassone questa lettera aperta perché la consegni al Capo dello Stato On. Giorgio Napoletano in occasione dell’incontro che avrà venerdì 7 ottobre in Municipio a Cuneo.
<p>
LETTERA APERTA DEI DIPENDENTI ALPITOUR CUNEO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA GIORGIO NAPOLITANO – PALAZZO DEL QUIRINALE - ROMA
<p>
Ill.mo Signor Presidente,<br />
intendiamo con la presente portare alla Sua attenzione un grave problema che sta affliggendo la valorosa Provincia di Cuneo, mai dimenticata soprattutto per l’insostituibile contribuito che diede alla Resistenza; in poche altre parti d’Italia vi fu una partecipazione così viva e vibrante ed il sacrificio di vite umane spese in tal senso sarà per sempre stampato nella memoria dei cuneesi, leali, coraggiosi e fortemente legati alla propria terra.
<p>
Nel corso degli anni queste indubitabili virtù sono state trasmesse di generazione in generazione e benché, grazie alla gesta dei nostri nonni possiamo ancora oggi vivere all’interno di una solida democrazia, le stesse son state votate al servizio della famiglia, del lavoro, del territorio e delle persone che lo compongono.
E’ proprio oggi, determinate logiche imprenditoriali che non tengono conto di questi valori, degli sforzi sopportati per ottenere libertà e per attribuire all’individuo quella dignità di uomo che in maniera sacrosanta viene citata nella Nostra Costituzione, stanno strappando a Cuneo un frutto della “cuneesità” più intrinseca, più radicata, più sentita, più orgogliosa.
<p>
Lo scorso 13 settembre 2011, la EXOR (finanziaria di casa Agnelli che detiene anche il Gruppo FIAT, la Juventus, il quotidiano LA STAMPA), ci ha comunicato, adducendo generiche ragioni di sviluppo e senza alcun preavviso verso le Istituzioni locali e verso i Sindacati di categoria, la chiusura definitiva della sede di Cuneo di ALPITOUR S.p.A., la più importante impresa di viaggi e turismo del nostro Paese, oggi proprietà della EXOR, ma fondata nel 1947 da Lorenzo Isoardi originario di Marmora in Val Maira; un’azienda creata da un cuneese, costruita e sviluppata da centinaia di cuneesi che nel corso di questi decenni hanno potuto prestare la loro opera in una realtà che ha certo contribuito a mantenere alto il nome di Cuneo, ma anche a fornire stabilità al tessuto economico della Provincia.
<p>
Poco più di una quindicina di anni or sono, l’ALPITOUR ancora di proprietà della famiglia Isoardi, contava più di 700 dipendenti, che sono andati progressivamente scemando da quando il figlio di Lorenzo decise di vendere all’allora IFIL (oggi EXOR).
<p>
Tuttora i dipendenti della storica sede di Cuneo sono comunque ca. 300, che compatti stanno rispondendo “NO” a questo immotivato trasferimento verso una sede nel centro di Torino (in via Lugaro 15 ai margini del quartiere di San Salvario) che dovrebbe accorpare gli altrettanti colleghi torinesi ex Francorosso attualmente ubicati nello stabile del Lingotto.
<p>
Un “NO” coeso per le succitate ragioni, ma soprattutto perché tale trasferimento copre la reale volontà dell’azionista di smagrire l’organico ed arrivare ad una vendita del Gruppo ALPITOUR (che oggi include anche la compagnia aerea Neos, una catena di agenzie, alberghi di proprietà e che gode di una buona posizione economica), vendita che peraltro è stata confermata dal Presidente ed a.d. Daniel John Winteler con una lettera pubblicata su REPUBBLICA del 29/09/11.
<p>
Il personale ALPITOUR di Cuneo è composto in maggior parte da donne con figli piccoli, vi sono molti contratti a part-time, nuclei monoreddito con prole a carico, situazioni familiari complesse dovute a congiunti, talvolta anziani, con gravi problemi di salute, colleghi stessi con problemi di salute gravi e vi sono anche svariati colleghi che effettuano turni notturni o che terminano il lavoro oltre l’orario di uscita più diffuso delle 18.30.
<p>
Considerando che con il quotidiano trasferimento Cuneo-Torino-Cuneo si andranno ad aggiungere non meno di 3/4 ore alle 8 lavorative, si può comprendere come il tutto non sia sostenibile dalle lavoratrici e dai lavoratori che saranno così costretti a presentare le proprie dimissioni.
<p>
Licenziamento camuffato da trasferimento a costo zero per l’azienda, questa è la realtà e nessuna sicurezza per il futuro di chi potrà seguire l’azienda nel capoluogo regionale, giacché chi acquisterà il Gruppo ALPITOUR potrà nuovamente spostare la sede via da Torino, magari anche all’estero.
<p>
Chiediamo dunque a Lei, Signor Presidente, d’intervenire in ogni modo affinché non ci sia negata la possibilità di fornire il nostro contributo per risollevare da una crisi economica preoccupante la Nostra Cara Repubblica fondata sul lavoro!
<p>
Con affetto, le/i 300 lavoratrici/tori di ALPITOUR CUNEO.
<p>Cuneo lì, 07/10/11<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.beppetassone.it">sito web personale</a>GIUSEPPE TASSONE: Cuneo. Dalla visita del Presidente della Repubblica un impulso pert i problemi sul tappeto2011-10-02T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it609683Alla data della dichiarazione: Pres. Consiglio Comunale Cuneo (CN) (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
La visita del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a Cuneo di venerdì 7 ottobre può costituire un valido impulso per accelerare la soluzione di alcuni gravi problemi che sono sul tappeto e che riguardano centinaia di concittadini.
<p>
Innanzi tutto, quello della chiusura della storica sede di Cuneo dell’Alpitour che, dopo il sostanziale nulla di fatto dell’incontro di martedì 27 ottobre, deve essere riaffrontato nuovamente per poter giungere ad una soluzione condivisa che scongiuri la perdita di 300 posti di lavoro, per lo più femminili e assicuri alla città di non perdere una delle proprie attività di eccellenza.
<p>
Il secondo è quello del futuro dei Consorzi Socio Assistenziali: il “pasticcio” del Decreto Legge di metà agosto sta rendendo problematica la realizzazione delle Unioni di Comuni. Occorre prevedere con urgenza una proroga degli Enti esistenti, nell’attesa che una legge corregga gli errori apportati e consenta ai comuni di avere un minimo di chiarezza sul futuro di un settore molto importante e, soprattutto, sulle risorse messe loro a disposizione dalla Regione.
<p>
E’ inimmaginabile che handicappati, anziani non autosufficienti, malati d’Alzheimer, persone con disagi sociali, famiglie a rischio non trovino risposte adeguate alle loro esigenze e subiscano, oltre ad inaccettabili tagli al settore, anche gli effetti degli errori apportati approvando affettatamente norme legislative che di fatto rendono ingovernabile il settore.
<p>
Altra questione è quella dell’occupazione giovanile che richiede interventi strutturali che consentano di dare una speranza a tanti ragazzi e ragazze che, terminati gli studi, non riescono a trovare un lavoro stabile che consenta loro di formare una famiglia e di guardare con concreta serenità al domani.
<p>
Il tutto in un momento nel quale i comuni, che sono il vero punto di riferimento per tutti i cittadini, si trovano a vivere momenti di grande difficoltà, tra tagli ai trasferimenti, riduzione delle spese e impossibilità a continuare a fornire servizi essenziali ad una popolazione resa ancor più in difficoltà dalla crisi economica.
Situazione questa che mette a rischio la stessa tenuta sociale del Paese.
<p>
Confidare che la visita Presidente della Repubblica possa servire da impulso rappresenta, più che un auspicio, un’assoluta necessità.
<p>
<i>Beppe Tassone</i>
<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.beppetassone.it">sito web personale</a>DELIA MURER: Esclusione delle donne, l’analisi dell’Istat2011-06-15T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it584960Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Giunto alla diciannovesima edizione, il Rapporto annuale dell'Istat, presentato alla Camera dei deputati nei giorni scorsi, ha sviluppato una riflessione documentata sulle trasformazioni che interessano economia e società e ci ha consegnato un quadro drammatico soprattutto riguardo alla condizione femminile in questo Paese. <br />
Può essere utile pubblicare integralmente la scheda di sintesi diffusa dall’Istat proprio sulla condizione femminile in Italia, al fine di rendere chiaro, con cifre e numeri, il tema di cui si parla troppo poco e troppo a sproposito.
<p> “I numeri e l’analisi che segue – dichiara Delia Murer – dà il senso della condizione che vive la donna in Italia e della mancanza di una politica attiva in questo senso. Le proposte non mancano. Le donne del Pd ne hanno presentato decine.<br />
Ci sarebbero anche le risorse, come quelle lasciate libere dalla riforma pensionistica che ha riguardato proprio le donne e che rischiano di essere utilizzate in maniera indifferenziata. Quella che manca è la volontà politica della maggioranza di considerare questo un tema prevalente nell’agenda del Governo”.
<p>
(dal rapporto annuale Istat – anno 2010 – scheda di sintesi)
<p>
<b>Le donne</b>
<p>Nel corso del 2010, a fronte della stabilità dell’occupazione femminile, è peggiorata la qualità del lavoro delle donne: è diminuita, infatti, l’occupazione qualificata, tecnica e operaia ed è aumentata quella a bassa specializzazione, dalle collaboratrici domestiche alle addette ai call center.
<p>Lo sviluppo dell’occupazione femminile part time nel 2010 è stato poi caratterizzato dalla diffusione dei fenomeni di involontarietà, mentre è andato ampliandosi il divario di genere nel sottoutilizzo del capitale umano: il 40 per cento delle laureate ha un lavoro che richiede una qualifica più bassa rispetto al titolo posseduto.
<p>La crisi ha ampliato i divari tra l’Italia e l’Unione europea nella partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Il tasso di occupazione delle donne italiane, già inferiore alla media europea tra quelle senza figli, è ancora più contenuto per le madri, segno che i percorsi lavorativi delle donne, soprattutto quelli delle giovani generazioni, sono segnati dalla difficoltà di conciliare l’attività lavorativa con l’impegno familiare. Non a caso più di un quinto delle donne con meno di 65 anni occupate, o che sono state tali in passato, dichiara di aver interrotto l’attività lavorativa nel corso della vita a seguito del matrimonio, di una gravidanza o per altri motivi familiari, contro appena il 2,9 per cento degli uomini.
<p>Per le donne che hanno avuto figli la quota sale al 30 per cento; nella metà dei casi la causa dell’interruzione è proprio la nascita di un figlio.<br />
Mentre nel corso del tempo la quota delle madri che interrompono l’attività per matrimonio si riduce significativamente (dal 15,2 per cento delle madri nate tra il 1944 e il 1953 al 7,1 per cento di quelle nate dopo il 1973), le interruzioni legate alla nascita di un figlio si mantengono, per le diverse generazioni, su livelli vicini al 15 per cento. In oltre la metà dei casi, poi, interrompere il percorso lavorativo in occasione di una gravidanza non è il risultato di una libera scelta: sono circa 800 mila (quasi il nove per cento delle madri che lavorano o hanno lavorato in passato) le donne che, nel corso della loro vita, sono state licenziate o messe in condizione di lasciare il lavoro perché in gravidanza, e solamente quattro su dieci hanno poi ripreso il percorso lavorativo.
<p> A sperimentare le interruzioni forzate del rapporto di lavoro sono soprattutto le giovani generazioni (il 13,1 per cento tra le madri nate dopo il 1973) e le donne residenti nel Mezzogiorno, per le quali più frequentemente le interruzioni si trasformano in uscite prolungate dal mercato del lavoro e la quasi totalità di quelle legate alla nascita di un figlio può ricondursi alle dimissioni forzate.
<p>
In un Paese in cui le politiche di conciliazione lavoro-famiglia non hanno ancora realizzato la flessibilità organizzativa caratteristica di altri paesi europei, alle difficoltà che le donne incontrano nel mercato del lavoro si associa lo squilibrio nella distribuzione dei carichi di lavoro complessivi.
<p>La divisione dei ruoli nella coppia e l’organizzazione dei tempi delle persone, infatti, risentono di una forte asimmetria di genere, che interessa tutte le aree territoriali e tutte le classi sociali. Per una donna, avere un’occupazione e dei figli continua a tradursi in un sovraccarico di lavoro di cura, mentre per gli uomini il coinvolgimento nel lavoro familiare mostra una contenuta progressione nell’arco degli ultimi venti anni, soprattutto per quello orientato alla cura dei figli.
<p>
Per far fronte alla difficoltà di conciliare il lavoro e la famiglia (circa i tre quarti del lavoro familiare delle coppie è appannaggio della donna), confermando una tendenza documentata a partire dalla fine degli anni Ottanta, le lavoratrici riducono il tempo dedicato al lavoro familiare, operandone una redistribuzione interna, diminuendo l’impegno nei servizi domestici e dedicando più tempo ai figli.
<p> Al crescere dell’età della donna le differenze di genere nei carichi di lavoro familiare si acuiscono ulteriormente. Anche in età anziana, quando si potrebbero creare i presupposti per una maggiore condivisione del lavoro familiare per effetto dell’uscita dal mercato del lavoro di entrambi i partner, le differenze di genere restano forti e sostanzialmente stabili nel tempo: in altri termini, concluso l’impegno per il lavoro retribuito, gli uomini vanno in pensione, dedicandosi quasi a tempo pieno ai propri interessi, mentre le donne continuano a occuparsi del partner, della casa e degli altri membri della famiglia.
<p>
Le donne vivono una inaccettabile esclusione dal mercato del lavoro. Per di più, il carico di lavoro familiare e di cura gravante su di loro rende più vulnerabile un sistema di “welfare familiare” già debole, nel quale esse hanno cercato di supplire alle carenze del sistema pubblico. Peraltro, le donne sono ancora troppo spesso costrette a uscire dal mercato del lavoro in occasione della nascita dei figli.
<p>
Ricapitolando, in cifre:
<p>
Siamo il Paese con il più basso tasso di occupazione femminile dopo Malta e l'Ungheria.
<p>
Il part-time femminile è cresciuto di 104.000 unità, ma si tratta interamente di part-time involontario.
<p>
In generale, il tasso di occupazione femminile nel 2010 si è attestato al 46,1%, 12 punti percentuali in meno rispetto a quello europeo.
<p>
Il 40% delle occupate ha un lavoro che richiede una qualifica più bassa rispetto a quella posseduta (tra gli uomini la percentuale è del 31%).
<p>
Nel 2010 si è anche aggravata la "disparità salariale di genere": la retribuzione netta mensile delle lavoratrici dipendenti è in media di 1077 euro contro i 1377 dei colleghi uomini, il 20% in meno.
<p>
800.000 donne nel 2010 si sono ritrovate senza lavoro dopo la nascita di un figlio. Madri che hanno dichiarato di essere state licenziate o messe in condizione di doversi dimettere, nel corso della vita lavorativa, a causa di una gravidanza.
Solo quattro madri su dieci tra quelle costrette a lasciare il lavoro ha poi ripreso l'attività.
Sulle donne pesa il 76,2% del lavoro familiare delle coppie, da quello domestico a quello di cura.
<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.deliamurer.it/cms/it/news/292-lesclusione-della-donne-lanalisi-dellistat.html?tmpl=component&print=1&layout=default&page=">DeliaMurer.it</a>DELIA MURER: Rapporto Istat: Italia alla paralisi 2011-05-25T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it572844Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Il 24% delle famiglie italiane è a rischio povertà. Oltre 500.000 giovani hanno perso il lavoro nel biennio 2009 – 2010. La dispersione scolastica è al 19%. Le donne italiane sempre più povere, disoccupate e con carichi familiari pesanti: solo una su due lavora. E intanto il governo si preoccupa di moltiplicare sottosegretari e spostare ministeri.
<p>Le preoccupanti cifre Istat, specchio della difficile situazione del nostro Paese sono davvero raccapriccianti. Una famiglia italiana su quattro è a rischio di esclusione sociale: fa fatica a pagare mutuo e bollette; 4 su 10 non faranno nemmeno una settimana di vacanze; 3 su 10 non possono affrontare spese impreviste.
<p> L’occupazione femminile in particolare ha risentito della precarietà e della mancanza di misure a sostegno della crescita per il riassorbimento della disoccupazione, tanto che addirittura la metà delle donne italiane risulta inoccupata, e 800 mila donne lavoratrici sono state licenziate perché incinte.
<p>“Il Governo, ovviamente, mette in discussione anche l’Istat pur di non vedere la fotografia impietosa del Paese – dichiara l’on. Delia Murer -; ma chi vive il territorio giorno per giorno, certe cose le sapeva già.
<p>C’è una situazione a dir poco allarmante. La condizione economica e sociale del Paese è drammatica. I numeri ci dicono che l’Italia sta peggio. Il rapporto consegnateci dall’istituto di ricerca è la prova che l’Italia è alla paralisi mentre il governo è concentrato solo sui problemi del presidente del consiglio, a moltiplicare sottosegretari e spostare ministeri”.
<p>La popolazione femminile in particolare, oltre ai giovani, risulta penalizzata dalla cattiva gestione economica del governo. Dai dati Istat si conferma che le donne italiane sono fra le più povere in Europa, quelle che hanno minori opportunità di far valere competenze e sapere. Penalizzate dal mercato del lavoro, dalla scarsità dei servizi, da leggi cancellate, come quella sulle dimissioni in bianco. Le donne italiane sono penalizzate soprattutto da politiche punitive di una destra che ha deciso di ricacciarle in casa per poterle utilizzare come ammortizzatore sociale, come sostituto del welfare che il governo restringe ogni giorno di più.
<p><br/>fonte: <a href="http://www.deliamurer.it/cms/it.html?view=article&catid=7%3Ageneraliste&id=284%3Arapporto-istat-italia-alla-paralisi&tmpl=component&print=1&layout=default&page=">deliamurer.it</a>DELIA MURER: Pulizie, vertenza dura 2011-05-12T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it560882Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Si inasprisce la vertenza dei lavoratori delle pulizie nelle scuole. Dopo la ripresa della trattativa sul tavolo del Ministero dell'Istruzione, le notizie non sono confortanti. Il Governo avrebbe dato garanzie per la protezione solo di circa 11mila posti di lavoro, mentre sarebbero 14mila i posti a rischio a causa della direttiva 103 del 2010, che prevede tagli notevoli agli appalti. In pericolo soprattutto le cooperative sociali e molti soggetti svantaggiati. “E’ una vertenza che si trascina da mesi – dice l'on. Delia Murer -. Il Governo si era impegnato a trovare una soluzione ma dà risposte inadeguate”. Per martedì 17 è annunciata una mobilitazione dei lavoratori a Roma. Nella stessa giornata, l'on. Murer, depositerà una nuova interrogazione al Ministro Gelmini. <br /><br />
<b>Ecco il testo integrale.</b>
<p>
Interrogazione a risposta scritta
<p>
Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
<p>
presentata da DELIA MURER
<p>
- Per sapere - premesso che:
<p>
rischia di inasprirsi la vertenza che riguarda ex lavoratori socialmente utili e lavoratori degli appalti storici delle pulizie nelle scuole, nata in seguito alla direttiva 103 del 2010 del Ministero sopra citato che prevede tagli agli appalti delle pulizie nelle scuole tali da mettere a rischio migliaia di posti di lavoro;
<p>
si stanno svolgendo, da alcune settimane, presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, incontri e tavoli di trattative con le organizzazioni sindacali e le associazioni datoriali, per discutere le procedure relative alle nuove gare, con l'obiettivo di garantire il mantenimento dell'occupazione e del reddito delle lavoratrici e dei lavoratori del settore;
<p>
nello specifico, secondo quanto sarebbe emerso da uno degli ultimi incontri, ci sarebbe un orientamento del Ministero a rendere disponibili risorse economiche sufficienti a coprire l'assorbimento di 11800 addetti, il che si tradurrebbe in circa 14mila licenziamenti;
<p>
l'orientamento del Governo ha ovviamente generato un senso di forte allarme tra le organizzazioni sindacali, i lavoratori e le imprese stesse, in buona parte rappresentata da cooperative sociali dove trovano avviamento al lavoro soggetti svantaggiati;
<p>
sono previste per i prossimi giorni manifestazioni di protesta e la richiesta sindacale di avviare la trattativa su nuove basi, garantendo l'impegno di reperire i fondi atti ad assicurare la continuità occupazionale di tutti i lavoratori già impegnati nello svolgimento dei servizi;
<p>
Quali siano gli intendimenti del Governo in merito alla vertenza, alla luce delle novità emerse e dello stato di agitazione dei lavoratori, e se non ritenga, il Ministro, molto grave che per una chiara scelta del Governo vengano tagliati migliaia di posti di lavori, molti dei quali di soggetti svantaggiati,
in un momento in cui la crisi economica incide moltissimo sulle famiglie e in cui ci si aspetterebbero dal Governo interventi per contenere la perdita del lavoro invece che produrne a sua volta.
<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.deliamurer.it/cms/it.html?view=article&catid=7%3Ageneraliste&id=278%3Apulizie-vertenza-dura&tmpl=component&print=1&layout=default&page=">DeliaMurer.it</a>DELIA MURER: L’otto marzo e la parola ritrovata2011-03-09T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it558967Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Un altro otto marzo è passato, ma con un sapore diverso. Non una semplice celebrazione, non una ormai rituale festa, ma il senso della ritrovata parola delle donne. La questione femminile torna protagonista della politica nazionale, e la giornata della donna ridiventa, così, il baricentro di una riflessione e di una mobilitazione.
<p>“Ripartiamo – dice l’on. Delia Murer – da una nuova attenzione verso una questione che negli ultimi anni è stata relegata in un angolo. L’Italia è agli ultimi posti tra i Paesi occidentali sugli indicatori di una parità effettiva di genere. Ci sono da fare passi in avanti sul terreno delle opportunità, dei servizi, delle politiche. Esiste un vero divario di genere, su cui bisogna concentrare risorse e mobilitazione. Questo otto marzo ha avuto un sapore diverso proprio perché si sente una nuova presa di parola delle donne. Potrebbe essere la volta buona”. Il Partito democratico, dopo aver insediato la Conferenza nazionale delle donne, ha presentato due documenti: un libro “nero” della cattive politiche del Governo sulle questioni di genere, e un libro “bianco” sulle proposte del Pd. Pubblichiamo di seguito una sintesi del “libro nero” e un riepilogo delle proposte del Pd.
<p>
<b>Libro “nero” delle politiche del Governo sulla questione femminile</b>
<p>
In questi tre anni di governo è stato demolito quanto di positivo si era costruito in favore della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, del rispetto dei diritti della donna e del suo corpo, del welfare. I dati parlano chiaro: azzeramento dei finanziamenti per gli asili nido, meno fondi per le politiche della famiglia, meno aiuti per giovani e anziani, erosione dei finanziamenti per le Pari Opportunità, nessun finanziamento ai centri antiviolenza.<br />
Il numero delle donne occupate è fermo al 46,4 % contro il 60 % che si sarebbe dovuto raggiungere ben due anni fa, secondo gli obiettivi stabiliti dall’Unione Europea a Lisbona. Elemento fondamentale per aumentare l’occupazione femminile è l’ampliamento ai servizi per la prima infanzia, il sostegno agli anziani e ai non autosufficienti. Preoccupante anche il numero di donne inattive. Oggi in Italia ci sono nove milioni e 679 mila donne che non lavorano e non studiano avendo rinunciato a cercare un’occupazione.
<p>
Per quanto riguarda la condizione sui luoghi di lavoro ci sono grandi disparità: a parità di mansioni con i colleghi uomini le donne guadagnano di media il 25-30 % in meno; la presenza delle donne nei consigli di amministrazione delle società quotate è pari solo al 6, 8 %. Lo squilibrio è ancora più ingiusto se si considera che, per quanto riguarda l’istruzione le ragazze superano di gran lunga i ragazzi (le laureate sono il 60 % del totale degli studenti universitari, arrivano alla laurea prima e con un punteggio in genere più alto di quello dei colleghi maschi.
Sul divario di genere siamo il fanalino di coda, non solo dei paesi della UE ma anche a livello internazionale, che colloca l’Italia al 72esimo posto, addirittura sotto Kazakhistan e Ghana!
<p>
Uno dei primi atti del Governo Berlusconi è stato quello di sopprimere la legge 17 ottobre 2007, n. 188, sulle dimissioni in bianco, voluta dal Governo Prodi a la tutela delle fasce più deboli del mercato del lavoro, in particolare le donne. Il fenomeno delle dimissioni in bianco è molto diffuso soprattutto tra le piccole e medie imprese, dove, soprattutto alle donne, al momento dell’assunzione vengono fatte firmare le dimissioni, che il datore di lavoro può utilizzare in caso di eventuale maternità della lavoratrice.
<p>
Il part time nelle Pubbliche Amministrazioni è stato fortemente penalizzato con una forte riduzione della possibilità di convertire il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. Il Collegato lavoro (L.183/2010) ha disposto che le P.A., possano sottoporre a nuova valutazione i part-time già concessi; dunque chi ha già il part-time non è detto che lo mantenga in futuro.
<p>
La legge finanziaria 2008, del Governo Prodi, aveva previsto uno specifico intervento fiscale in favore delle donne del Mezzogiorno, concedendo ai datori di lavoro che incrementavano il numero dei lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato nelle regioni del sud, un credito d’imposta di 333 euro per ciascun lavoratore assunto, che sale a 416 euro per ciascuna lavoratrice. Non un euro è stato previsto per questa importante misura in nessun provvedimento finanziario del Governo Berlusconi.
<p>
Normative specifiche sono state varate nel corso della precedente legislatura del Governo Prodi in favore dell’imprenditoria femminile. Il Fondo per la finanza d’impresa specifiche risorse alle iniziative di imprenditoria delle donne non sono mai state rifinanziate dall’attuale governo.
<p>
L’art. 21 del Collegato lavoro prevede il vero e proprio smantellamento dei Comitati per le pari opportunità nei luoghi di lavoro, che vengono sostituiti da generici “Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni”, che accumuna le pari opportunità ai problemi di mobbing ecc… ad oggi, peraltro, i decreti delegati necessari a dar vita ai nuovi organismi non sono ancora stati emanati e CPO esistenti, per effetto della norma, sono scaduti.
<p>
L’ultima legge finanziaria (Stabilità 2011), prevede l’innalzamento dell’età pensionabile per le donne dipendenti della Pubblica Amministrazione da 60 a 65 anni, che poi diventano 66, con l’introduzione della cosiddetta finestra scorrevole. Una disposizione che non ha nulla di egualitario se si pensa la totale mancanza di politiche di conciliazione tra i tempi di lavoro e i tempi di cura che grava sulle spalle delle donne.
<p>
La precarietà è donna, la flessibilità non aiuta. Questo è la drammatica dimensione delle lavoratrici del nostro secolo. Secondo gli ultimi dati Istat la permanenza delle donne nei contratti atipici ha effetti devastanti sia sui salari che sulle tutele nel campo del lavoro. La “maggiore flessibilità delle donne”, di cui parla il Ministro Sacconi significa che spesso le lavoratrici sono costrette a passare da un contrato atipico all’altro, anche in soli 3 mesi di lavoro. Tutto ciò rappresenta un passo indietro nel lento cammino verso la conquista della parità di genere nel mondo del lavoro, totalmente ignorato dal Governo in carica.
<p>
L’art. 9 della legge 53/2000 per il sostegno alla maternità e paternità è stata una grande conquista: forme flessibili di orario, banca delle ore, telelavoro ecc.. la legge prevede che siano erogati dei contributi ai datori di lavoro proprio per incentivare la conciliazione tra tempi di lavoro e i tempi di vita. Anche in questo caso il Governo Berlusconi, nonostante le molte richieste del gruppo del PD, non ha stanziato un euro per sviluppare e diffondere queste importanti misure.
<p>
La presenza delle donne nei Consigli di amministrazione delle imprese italiane è appena il 7 %. Una partecipazione davvero esigua se si pensa che in Norvegia la presenza delle donne è del 37,9 %, Svezia 28,2, Finlandia 25 e Gran Bretagna 13 per cento.
<p>
La spesa in Italia per il welfare sfiora 1,2% del Pil contro il 2,4 % della media europea. L’obiettivo della UE è arrivare a coprire almeno il 30 % del fabbisogno di asili nido a livello nazionale, ma il nostro paese è fermo all’11 %. Il Governo Prodi aveva stanziato, con la finanziaria 2007, ben 727 milioni di euro in 3 anni per la costruzione di muovi asili nido; nel 2009 il Fondo si è ridotto a 100 milioni mentre nel 2010 e ancora, per quest’anno, il governo Berlusconi non ha previsto neanche un euro per i servizi all’infanzia.
<p>
Il Fondo per le politiche sociali, può contare quest’anno solo su 273 milioni contro i 929 del 2008, per non parlare delle politiche per la famiglia i cui stanziamenti sono ridotti a 52 milioni contri i 346 di tre anni fa. Zero euro quest’anno per i non autosufficienti che solo l’anno scorso potevano contare su 400 milioni, mentre le politiche giovanili sono passate a 94 milioni del 2008 ai 32 per il 2011.
<p>
Le proposte del Partito Democratico
<p>
Gli studi più recenti degli organismi internazionali rilevano che il sostegno alla partecipazione al lavoro delle donne è fondamentale non solo per lo sviluppo economico e la competitività, ma anche per la crescita civile e democratica dei Paesi. Risulta che oggi nei paesi avanzati, a differenza di quanto avveniva in passato, se le donne hanno meno opportunità di occupazione fanno meno figli.
Il Partito democratico ha presentato diverse Proposte di legge per estendere gli ammortizzatori sociali anche al personale precario, così come il diritto alla maternità e ai congedi parentali. Tutte iniziative bocciate dal Governo che si è limitato soltanto a misure una tantum e per una platea ristretta di lavoratori.
Le politiche fiscali specificamente mirate a favorire l'occupazione delle donne si esercitano su due fronti:
<p>
<b>a)</b> Misure finalizzate a sostenere il reddito delle lavoratrici:<br />
<b>b)</b> Misure incentivanti rivolte alle imprese
<p>
Il Collegato lavoro, all’art. 24, ridefinisce il diritto ad usufruire dei permessi retribuiti, previsti dalla legge 104 del 1992. Ancora una volta i diritti - in questo caso proprio dei più deboli – vengono visti come un vincolo e un costo da eliminare. L’opposizione del nostro gruppo è stata fortissima al punto che si è riusciti a limitare l’intervento del Governo, prevedendo, che i genitori di figli disabili possano, alternativamente, usufruire dei permessi, permettendo dunque che padre e madre possano alternarsi nella cura del figlio.
<p>
Il sostegno alla maternità è un pilastro fondamentale delle politiche del Pd per l'occupazione femminile: il riconoscimento dell'indennità di maternità come diritto di cittadinanza, con copertura pari al 100% della retribuzione, relativo finanziamento a carico della fiscalità generale ed estensione a tutte le forme di lavoro.
<p>
Ad esso si affiancano:
<p>
introduzione di una detrazione fiscale per il reddito da lavoro delle donne in nuclei famigliari con figli minori;<br />
l'incentivazione fiscale e sostegno della flessibilità oraria e del part time (reversibile e volontario);<br />
la copertura con contributi figurativi dei periodi di interruzione del lavoro correlati ad impegni di cura;<br />
l’assegno universale per i figli (3.000 euro per figli da 0 a 3 anni in sede di prima applicazione, riproporzionato al reddito) e il potenziamento della rete di servizi per l’infanzia;<br />
l'incremento dell'indennità per il congedo parentale facoltativo, incentivato per gli uomini, e il congedo di paternità obbligatorio favoriscono la conciliazione della scelta di maternità con il mantenimento dell’occupazione;<br />
il sostegno pubblico all’assistenza ai non autosufficienti sostiene la famiglia in compiti di cura gravosi che oggi ricadono soprattutto sulle donne.
<p>
Le misure di riforma fiscale mirate a sostenere i redditi da lavoro più bassi (1° aliquota IRPEF 20%) favoriscono in primo luogo, oltre ai giovani, le lavoratrici e, per il loro tramite, le famiglie: le sacche di povertà maggiori si annidano, infatti, nei nuclei monogenitoriali e nelle famiglie numerose con un solo reddito (quello maschile) disponibile.
<p> In particolare abbiamo proposto:<br />
Credito di imposta per le imprese che assumono donne nelle aree del mezzogiorno.
Incentivi ai datori di lavoro (fiscalizzazione per 1 anno degli oneri sociali) che assumono donne che riprendano l'attività lavorativa dopo periodi dedicati alla cura.
Riqualificazione e rifinanziamento del Fondo nazionale per l’imprenditoria femminile e potenziamento della formazione professionale delle lavoratrici autonome.
Azioni di facilitazione e sostegno al credito ed alla capitalizzazione per le nuove imprese femminili.
<p>
La nostra proposta di legge di promuovere l'eguaglianza di genere all'interno degli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate e delle società a prevalente partecipazione pubblica è stata prima accolta favorevolmente alla Camera poi purtroppo però al Senato il Governo, ha presentato degli emendamenti che spostano l’effettiva applicazione di una quota riservata per legge alle donne al 2021!!
<p>
Più in generale, il Pd propone una cultura della prevenzione e dell’assistenza. Perché parlare di diritti umani, significa soprattutto parlare di diritti delle donne. L’approvazione della legge sullo stalking, promossa dal PD, rappresenta un indiscutibile passo in avanti, ma rimane del tutto insufficiente se a questo non si accompagna una cultura della prevenzione e dell’assistenza.
<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.deliamurer.it/cms/it.html?view=article&catid=7%3Ageneraliste&id=253%3Alotto-marzo-e-la-ritrovata-parola-&tmpl=component&print=1&layout=default&page=">Delia Murer</a>Pietro ICHINO: Sulla Fiat e sul Pd. «Rompiamo con i tabù del lavoro» - INTERVISTA2011-01-27T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it557513Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
<b>Lei ha detto che il vero problema del caso Fiat sono i mancati investimenti stranieri diretti. Ma è solo il nostro diritto del lavoro la causa del mancato arrivo?</b>
<p>
No: le cause sono molte e di vario genere: in particolare, il difetto di efficienza delle amministrazioni pubbliche e delle infrastrutture, l’alto costo dei servizi alle imprese dovuto a difetto di concorrenza nei rispettivi mercati, la mancanza di una cultura della legalità diffusa. Ma tra le cause della chiusura del nostro Paese agli investimenti stranieri c’è anche la vischiosità e inconcludenza del nostro sistema delle relazioni industriali. E io ci aggiungo l’ipertrofia, la complicatezza e la non traducibilità in inglese della nostra legislazione di fonte nazionale in materia di rapporto di lavoro.
<p>
<b>A sinistra è forte l’opinione sui contratti Fiat che infrangono la legge ed addirittura la Costituzione.</b>
<p>
La vera questione non sta in un contrasto tra quei contratti e il nostro ordinamento: la vera questione sta nel fatto che essi derogano al contratto collettivo nazionale. Questo è il vero tabù che è stato violato.
<p>
<b>Perché lei è radicalmente contrario a chi sostiene la tesi della sostanziale intangibilità del CCNL?</b>
<p>
“Radicalmente” è forse un avverbio eccessivo. Ma mi sembra che chi sostiene quella tesi confonda il ruolo del contratto collettivo con quello della legge. Solo la legge ha la funzione di sancire diritti tendenzialmente stabili nel tempo e uguali per tutti; il contratto, invece, serve proprio per consentire una modulazione del regolamento in esso contenuto, in relazione alle circostanze e ad equilibri di interessi che mutano nel tempo.
<p>
<b>Il dibattito sul contratto Fiat mostra l’arretratezza delle relazioni industriali del nostro Paese. Bisogna dare più autonomia alle parti sociali o nuove regole legislative?</b>
<p>
Occorrono entrambe le cose. L’autonomia contrattuale ha bisogno, per potersi espandere al massimo, di una buona cornice di regole semplici, non intrusive e stabili nel tempo.
<p>
<b>Il caso Fiom Fiat ha mostrato un posizionamento incerto della nuova segretaria Camusso, prima distaccatasi dalla Fiom, poi invece l’ha seguita.</b>
<p>
Probabilmente c’è un po’ di tattica in questo comportamento. Ma, conoscendo Susanna Camusso da trent’anni, non dispero che riesca a tirare fuori la Cgil dal vicolo cieco in cui si è cacciata.
<p>
<b>Da tesserato Cgil lei pensa che la sua organizzazione possa esprimere una maggioranza riformista?</b>
<p>
Certo che sì! Una larga maggioranza degli iscritti percepisce la necessità di uno svecchiamento della cultura sindacale e industriale della Cgil.
<p>
<b>Si sente isolato nella sua battaglia politico culturale di innovare il centrosinistra lavoro? Ha notato un progresso o un arretramento dalla sua discesa in campo in politica, a partire dalla mancata attenzione ai veri scandali del mondo del lavoro, finte partite Iva in testa?</b>
<p>
Isolato proprio no: i miei due disegni di legge più importanti, quelli per il nuovo Codice del lavoro semplificato, sono stati firmati dalla maggioranza dei senatori del Pd e sono stati fatti propri dal Movimento Democratico di Veltroni. Il 10 novembre scorso, poi, il Senato ha votato a larghissima maggioranza una mozione che impegna il Governo a varare un nuovo Codice del lavoro semplificato modellato proprio sul <a href="http://www.pietroichino.it/?p=4896"><b>disegno di legge n. 1873</b></a>. E sono quotidianamente assediato dai giornalisti che mi chiedono interviste, mediamente una al giorno; e dalle federazioni e i circoli del Pd di tutta Italia che mi chiedono di organizzare incontri pubblici con me: dall’inizio della legislatura ne ho fatti quasi trecento. Tre anni fa, quando accettai la candidatura al Senato, non speravo certo di arrivare a tanto in così breve tempo.
<p>
<b>Lei è tra le personalità più prestigiose candidate da Veltroni nel 2008. Da allora è cambiato molto, e parecchie persone hanno abbandonato il PD. Come valuta la segreteria Bersani, troppo poco riformista secondo lei come sostengono alcuni dei suoi critici?</b>
<p>
Il Pd ha difficoltà a esprimere scelte chiare e nette sulle questioni cruciali: c’è indubbiamente, per questo aspetto, un difetto di leadership, che però non è certo imputabile soltanto a Bersani. D’alta parte, dobbiamo anche abituarci all’idea di un grande partito nel quale convivono molte anime, molte componenti. E poi è ancora un partito molto giovane, che deve ancora farsi un po’ le ossa ed esprimere un nuovo gruppo dirigente. Certo, sarebbe stato meglio che questo processo di maturazione fosse stato più rapido. Ma l’impazienza, in politica, è cattiva consigliera.
<p>
<b>Vendola ha parlato di schiavismo riferendosi a Marchionne. Un’alleanza con il suo partito è compatibile con un centrosinistra riformista?</b>
<p>
Un grande partito di centrosinistra “a vocazione maggioritaria”, quale il Pd vuole e deve essere, deve essere capace di ospitare al suo interno anche minoranze di sinistra che la pensano come Vendola. Ma se quel modo di pensare diventasse in qualche modo dominante nel partito, vorrebbe dire che la vocazione maggioritaria è stata sostituita da una vocazione minoritaria.
<p>
<b>Le elezioni potrebbero essere a breve. Quali sono le sue priorità programmatiche per il programma del Pd?</b>
<p>
I <a href="http://www.pietroichino.it/?p=12350">cinque punti enunciati da Veltroni</a> al Lingotto sabato scorso:<br />
abbattimento del debito dal 120 all’80 per cento del Pil in cinque anni; nuove relazioni industriali per favorire la scommessa comune di lavoratori e imprenditori sui piani industriali innovativi e l’apertura del nostro Paese agli investimenti stranieri; flexsecurity contro l’apartheid nel mercato del lavoro; detassazione selettiva dei redditi di lavoro femminile per produrre uno shock positivo sul tasso di occupazione femminile e un fisco più friendly verso il lavoro autonomo di nuova generazione; investimenti su istruzione, ricerca e bellezza del Paese.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.giornalettismo.com/archives/111117/pietro-ichino-bisogna-rompere-con-i-tabu-del-lavoro/">Giornalettismo.com - Andrea Mollica</a>Giuseppe GIULIETTI: Se il lupo Marchionne si traveste da agnello2011-01-20T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it557214Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: Misto) <br/><br/><br />
"Il troppo stroppia", così recita un vecchio adagio popolare che vuole significare il fastidio per gli spacconi, per gli sbruffoni, per chi non ha il senso del limite e rispetto per il suo prossimo.
<p>
Questa espressione ci è tornata in mente leggendo l’intervista che il signor Marchionne ha rilasciato a Repubblica dove, tra le altre cose, ha pensato bene di denunciare l’abilità mediatica della Fiom, anzi il capolavoro che sarebbe stato realizzato ribaltando i reali termini della vertenza. Proprio così, i risultati del referendum sarebbero stati determinati dall’astuzia luciferina delle tute blu che, con la loro maestria, avrebbero condizionato i media e creato il caos.
<p>
Dal momento che siamo stati tra i pochissimi, con MicroMega in testa, a sostenere i diritti costituzionali dentro e fuori le fabbriche, ci sarebbe davvero di che montarsi la testa per la conquistata egemonia anche sul terreno della comunicazione.
<p>
Non vi è dubbio che la partita sia stata giocata intelligentemente dalla Fiom e dai pochissimi alleati che hanno davvero creduto in questa battaglia di civiltà, ma la rappresentazione di Marchionne, questo è il punto, è davvero di sapore berlusconiano.
<p>
Sembra quasi di sentire l’eco delle prole del piccolo Cesare che, mentre invia le sue videocassette alle tv che controlla militarmente, finge di essere oscurato, anzi la vittima del complotto mediatico giudiziario.
<p>
Poco importa se il Tg 1 abbia addirittura fatto sparire le notizie, e che le altre reti di sua proprietà siano schierate senza defezione alcuna, quello che conta è far finta di essere le vittime, le pecorelle offerte in pasto ai leoni, Davide che si contrappone a Golia.
<p>
In questa poco sacra rappresentazione, Berlusconi e Marchionne, che pure non sono la stessa cosa, si autorappresentano come due proletari che, a mani nude, affrontano una armata forte, invincibile, astuta, capace di condizionare tutto e tutti.
Naturalmente le cose non stanno così, anzi non c’è legame alcuno tra i fatti e le loro rappresentazioni.
<p>
Marchionne ha visto dalla sua parte quasi tutti i grandi giornali, quasi tutti i tg e le reti, con l’eccezione di alcune nicchie, per rubare l’espressione a Ezio Mauro, che ancora resistono alla Rai, alla Sette, a Sky, per citare le sole reti nazionali. Per il resto da mane a sera è stato spiegato che solo con il sì sarebbero stati salvaguardati gli investimenti e i posti di lavoro.
<p>
Non vi è nulla di peggio, anche eticamente, di vedere i potenti travestiti da poveracci, da vittime, questa manomissione delle parole, per rubare il titolo all’ultimo libro di Giancarlo Carofiglio, rischia di essere la premessa per la costruzione di quella repubblica presidenziale, di segno autoritario, a telecomando unificato, tanto cara al piccolo Cesare.
<p>
Quello che Marchionne non ha capito è che il capolavoro della Fiom è stato quello di aver intuito che tanta parte della fabbrica si è sentita offesa, umiliata, sottoposta ad un ricatto e per questo in tanti, nel segreto delle urne, hanno deciso di votare no alla intesa e no ai modi, ai toni, agli eccessi che aveva caratterizzato la campagna del sì.
Nel paese del bunga bunga contro la Costituzione e contro l’ordinamento democratico si sono spese quintali di parole per indicare le operaie e gli operai di Mirafiori come unici grandi pericoli per il futuro dell’Italia.
<p>
"Il troppo stroppia", per l’appunto, e forse Marchionne dovrebbe riflettere non sul capolavoro mediatico di Landini e compagni, ma sul capolavoro etico che è stato realizzato da chi ha respinto la logica della paura e della intimidazione.
<p>
Se e quando Berlusconi dovesse tentare di travolgere la dignità nazionale, molti di quegli operai difenderanno l’interesse generale, non metteremmo la mano sul fuoco per alcuni presunti modernizzatori che sui principi e sulla Costituzione sono sempre stati pronti a chiudere un occhio, purchè l’affare fosse appetibile.<br />
<br/>fonte: <a href="http://temi.repubblica.it/micromega-online/se-il-lupo-marchionne-si-traveste-da-agnello/?printpage=undefined">micromega-online</a>SERGIO GAETANO COFFERATI: Nasce "Lavoro e Libertà" a sostegno della Fiom2010-12-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it549319Alla data della dichiarazione: Deputato Parlamento EU (Gruppo: S&D) <br/><br/><p><br />
Stefano Rodotà, Rossana Rossanda, Aldo Tortorella, Mario Tronti, Fausto Bertinotti, Gianni Ferrara, Luciano Gallino, Francesco Garibaldo, Paolo Nerozzi
<p>Abbiamo deciso di costituire un'associazione, «Lavoro e libertà», perché accomunati da una comune civile indignazione.
<p>
<b>La prima ragione</b> <b>della nostra indignazione</b><br />
nasce dall'assenza, nella lotta politica italiana, di un interesse sui diritti democratici dei lavoratori e delle lavoratrici. Così come nei meccanismi elettorali i cittadini sono stati privati del diritto di scegliere chi eleggere, allo stesso modo ma assai più gravemente ancora un lavoratore e una lavoratrice non hanno il diritto di decidere, con il proprio voto su opzioni diverse, di accordi sindacali che decidono del loro reddito, delle loro condizioni di lavoro e dei loro diritti nel luogo di lavoro. Pensiamo ad accordi che non mettano in discussione diritti indisponibili. Parliamo, nel caso degli accordi sindacali, di un diritto individuale esercitato in forme collettive. Un diritto della persona che lavora che non può essere sostituito dalle dinamiche dentro e tra le organizzazioni sindacali e datoriali, pur necessarie e indispensabili. Di tutto ciò c'è una flebile traccia nella discussione politica; noi riteniamo che questa debba essere una delle discriminanti che strutturano le scelte di campo nell'impegno politico e civile. La crescente importanza nella vita di ogni cittadino delle scelte operate nel campo economico dovrebbe portare a un rafforzamento dei meccanismi di controllo pubblico e di bilanciamento del potere economico; senza tali meccanismi, infatti, è più elevata la probabilità, come stiamo sperimentando, di patire pesanti conseguenze individuali e collettive.
<p>
<b>La seconda ragione della nostra indignazione</b>, quindi,<br />
è lo sforzo continuo di larga parte della politica italiana di ridimensionare la piena libertà di esercizio del conflitto sociale. Le società democratiche considerano il conflitto sociale, sia quello tra capitale e lavoro sia i movimenti della società civile su questioni riguardanti i beni comuni e il pubblico interesse, come l'essenza stessa del loro carattere democratico. Solo attraverso un pieno dispiegarsi, nell'ambito dei diritti costituzionali, di tali conflitti si controbilanciano i potentati economici, si alimenta la discussione pubblica, si controlla l'esercizio del potere politico. Non vi può essere, in una società democratica, un interesse di parte, quello delle imprese, superiore a ogni altro interesse e a ogni altra ragione: i diritti, quindi, sia quelli individuali sia quelli collettivi, non possono essere subordinati all'interesse della singola impresa o del sistema delle imprese o ai superiori interessi dello Stato. La presunta superiore razionalità delle scelte puramente economiche e delle tecniche manageriali è evaporata nella grande crisi.
<p>
L'idea, cara al governo, assieme a Confindustria e Fiat, di una società basata sulla sostituzione del conflitto sociale con l'attribuzione a un sistema corporativo di bilanciamenti tra le organizzazioni sindacali e imprenditoriali, sotto l'egida governativa, del potere di prendere, solo in forme consensuali, ogni decisione rilevante sui temi del lavoro, comprese le attuali prestazioni dello stato sociale, è di per sé un incubo autoritario.
<p>
Siamo stupefatti, ancor prima che indignati, dal fatto che su tali scenari, concretizzatisi in decisioni concrete già prese o in corso di realizzazione attraverso leggi e accordi sindacali, non si eserciti, con rilevanti eccezioni quali la manifestazione del 16 ottobre, una assunzione di responsabilità che coinvolga il numero più alto possibile di forze sociali, politiche e culturali per combattere, fermare e rovesciare questa deriva autoritaria.
<p>
<b>Ci indigna</b> infine la continua riduzione del lavoro, in tutte le sue forme, a una condizione che ne nega la possibilità di espressione e di realizzazione di sé.
La precarizzazione, l'individualizzazione del rapporto di lavoro, l'aziendalizzazione della regolazione sociale del lavoro in una nazione in cui la stragrande maggioranza lavora in imprese con meno di dieci dipendenti, lo smantellamento della legislazione di tutela dell'ambiente di lavoro, la crescente difficoltà, a seguito del cosiddetto "collegato lavoro" approvato dalle camere, a potere adire la giustizia ordinaria da parte del lavoratore sono i tasselli materiali di questo processo di spoliazione della dignità di chi lavora. Da ultimo si vuole sostituire allo Statuto dei diritti dei lavoratori uno statuto dei lavori; la trasformazione linguistica è di per sé auto esplicativa e a essa corrisponde il contenuto. Il passaggio dai portatori di diritti, i lavoratori che possono esigerli, ai luoghi, i lavori, delinea un processo di astrazione/alienazione dove viene meno l'affettività dei diritti stessi.
<p>
Come è possibile che di fronte alla distruzione sistematica di un secolo di conquiste di civiltà sui temi del lavoro non vi sia una risposta all'altezza della sfida?
<p>
Bisogna ridare centralità politica al lavoro. Riportare il lavoro, il mondo del lavoro, al centro dell'agenda politica: nell'azione di governo, nei programmi dei partiti, nella battaglia delle idee. Questa è oggi la via maestra per la rigenerazione della politica stessa e per un progetto di liberazione della vita pubblica dalle derive, dalla decadenza, dalla volgarizzazione e dall'autoreferenzialità che attualmente gravemente la segnano. <br />
La dignità della persona che lavora diventi la stella polare di orientamento per ogni decisione individuale e collettiva.
<p>
Per queste ragioni abbiamo deciso di costituire un'associazione che si propone di suscitare nella società, nella politica, nella cultura, una riflessione e un'azione adeguata con l'intento di sostenere tutte le forze che sappiano muoversi con coerenza su questo terreno.
<p><b>L'adesione di Ferrero e Fantozzi</b><br />
«La nascita dell'associazione "Lavoro e Libertà" è un fatto di grande importanza. L'indignazione dei promotori è la nostra stessa indignazione». Così Paolo Ferrero e Roberta Fantozzi (segretario e responsabile lavoro Prc-Se) in un comunicato nel quale annunciano la loro adesione. <br />
«L'espropriazione violenta della democrazia, la cancellazione dei diritti e della dignità del lavoro, la negazione del valore progressivo del conflitto sociale richiedono, come abbiamo auspicato in questi giorni, la massima capacità di contrasto, la più ampia unità delle forze di sinistra e l'attivazione di percorsi di mobilitazione determinati e durevoli a partire dalla convocazione dello sciopero generale. A questi obbiettivi l'associazione "Lavoro e libertà" può dare un contributo di grande rilevanza».
<p>Per aderire all'associazione "Lavoro e libertà" si può inviare una mail all'indirizzo fgaribaldo@gmail.com oppure collegarsi al sito http://web.me.com/garibaldof/Sito
<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.controlacrisi.org/joomla/index.php?view=article&catid=36&id=10462&tmpl=component&print=1&layout=default&page=&option=com_content&Itemid=68">www.controlacrisi.org</a>SERGIO GAETANO COFFERATI: A sostegno della Fiom l'associazione «Lavoro e libertà»2010-12-29T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it549496Alla data della dichiarazione: Deputato Parlamento EU (Gruppo: S&D) <br/><br/><br />
Abbiamo deciso di costituire un'associazione, «Lavoro e libertà», perché accomunati da una comune civile indignazione.
<p> Fausto Bertinotti, Sergio Cofferati, Gianni Ferrara, Luciano Gallino, Francesco Garibaldo, Paolo Nerozzi, Stefano Rodotà, Rossana Rossanda, Aldo Tortorella, Mario Tronti.
<p>
<b>La prima ragione</b> della nostra indignazione nasce dall'assenza, nella lotta politica italiana, di un interesse sui diritti democratici dei lavoratori e delle lavoratrici. Così come nei meccanismi elettorali i cittadini sono stati privati del diritto di scegliere chi eleggere, allo stesso modo ma assai più gravemente ancora un lavoratore e una lavoratrice non hanno il diritto di decidere, con il proprio voto su opzioni diverse, di accordi sindacali che decidono del loro reddito, delle loro condizioni di lavoro e dei loro diritti nel luogo di lavoro. Pensiamo ad accordi che non mettano in discussione diritti indisponibili. Parliamo, nel caso degli accordi sindacali, di un diritto individuale esercitato in forme collettive. Un diritto della persona che lavora che non può essere sostituito dalle dinamiche dentro e tra le organizzazioni sindacali e datoriali, pur necessarie e indispensabili. Di tutto ciò c'è una flebile traccia nella discussione politica; noi riteniamo che questa debba essere una delle discriminanti che strutturano le scelte di campo nell'impegno politico e civile. La crescente importanza nella vita di ogni cittadino delle scelte operate nel campo economico dovrebbe portare a un rafforzamento dei meccanismi di controllo pubblico e di bilanciamento del potere economico; senza tali meccanismi, infatti, è più elevata la probabilità, come stiamo sperimentando, di patire pesanti conseguenze individuali e collettive.
<p>
<b>La seconda ragione</b> della nostra indignazione, quindi, è lo sforzo continuo di larga parte della politica italiana di ridimensionare la piena libertà di esercizio del conflitto sociale. Le società democratiche considerano il conflitto sociale, sia quello tra capitale e lavoro sia i movimenti della società civile su questioni riguardanti i beni comuni e il pubblico interesse, come l'essenza stessa del loro carattere democratico. Solo attraverso un pieno dispiegarsi, nell'ambito dei diritti costituzionali, di tali conflitti si controbilanciano i potentati economici, si alimenta la discussione pubblica, si controlla l'esercizio del potere politico. Non vi può essere, in una società democratica, un interesse di parte, quello delle imprese, superiore a ogni altro interesse e a ogni altra ragione: i diritti, quindi, sia quelli individuali sia quelli collettivi, non possono essere subordinati all'interesse della singola impresa o del sistema delle imprese o ai superiori interessi dello Stato. La presunta superiore razionalità delle scelte puramente economiche e delle tecniche manageriali è evaporata nella grande crisi.
<p>
L'idea, cara al governo, assieme a Confindustria e Fiat, di una società basata sulla sostituzione del conflitto sociale con l'attribuzione a un sistema corporativo di bilanciamenti tra le organizzazioni sindacali e imprenditoriali, sotto l'egida governativa, del potere di prendere, solo in forme consensuali, ogni decisione rilevante sui temi del lavoro, comprese le attuali prestazioni dello stato sociale, è di per sé un incubo autoritario.
Siamo stupefatti, ancor prima che indignati, dal fatto che su tali scenari, concretizzatisi in decisioni concrete già prese o in corso di realizzazione attraverso leggi e accordi sindacali, non si eserciti, con rilevanti eccezioni quali la manifestazione del 16 ottobre, una assunzione di responsabilità che coinvolga il numero più alto possibile di forze sociali, politiche e culturali per combattere, fermare e rovesciare questa deriva autoritaria.
<p>
Ci indigna infine la continua riduzione del lavoro, in tutte le sue forme, a una condizione che ne nega la possibilità di espressione e di realizzazione di sé.
La precarizzazione, l'individualizzazione del rapporto di lavoro, l'aziendalizzazione della regolazione sociale del lavoro in una nazione in cui la stragrande maggioranza lavora in imprese con meno di dieci dipendenti, lo smantellamento della legislazione di tutela dell'ambiente di lavoro, la crescente difficoltà, a seguito del cosiddetto "collegato lavoro" approvato dalle camere, a potere adire la giustizia ordinaria da parte del lavoratore sono i tasselli materiali di questo processo di spoliazione della dignità di chi lavora. Da ultimo si vuole sostituire allo Statuto dei diritti dei lavoratori uno statuto dei lavori; la trasformazione linguistica è di per sé auto esplicativa e a essa corrisponde il contenuto. Il passaggio dai portatori di diritti, i lavoratori che possono esigerli, ai luoghi, i lavori, delinea un processo di astrazione/alienazione dove viene meno l'affettività dei diritti stessi.
<p>
Come è possibile che di fronte alla distruzione sistematica di un secolo di conquiste di civiltà sui temi del lavoro non vi sia una risposta all'altezza della sfida?
Bisogna ridare centralità politica al lavoro. Riportare il lavoro, il mondo del lavoro, al centro dell'agenda politica: nell'azione di governo, nei programmi dei partiti, nella battaglia delle idee. Questa è oggi la via maestra per la rigenerazione della politica stessa e per un progetto di liberazione della vita pubblica dalle derive, dalla decadenza, dalla volgarizzazione e dall'autoreferenzialità che attualmente gravemente la segnano. La dignità della persona che lavora diventi la stella polare di orientamento per ogni decisione individuale e collettiva.
Per queste ragioni abbiamo deciso di costituire un'associazione che si propone di suscitare nella società, nella politica, nella cultura, una riflessione e un'azione adeguata con l'intento di sostenere tutte le forze che sappiano muoversi con coerenza su questo terreno. <br />
<br/>fonte: <a href="http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2010/mese/12/articolo/3920/">Il Manifesto</a>DELIA MURER: Riforma fiscale subito. Il dato saliente della crisi oggi si chiama lavoro.2010-10-20T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it547311Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) <br/><br/><br />
Il segretario del PD, Pier Luigi Bersani, ha inviato al ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, una lettera per chiedere di affrontare urgentemente il tema della riforma del fisco.
<p>“La riforma fiscale va fatta e non si possono aspettare le calende greche.
<p> C'è assolutamente bisogno della riforma fiscale - dice Bersani - non credo che questo governo sia in condizione di farla, ma noi abbiamo una proposta per alleggerire lavoro e imprese e caricare sull'evasione fiscale e sulle rendite.
<p> Vogliamo discuterne in Parlamento, subito". “Caro Ministro, il dato saliente della crisi oggi si chiama lavoro.
<p>Non avremo crescita senza uno stimolo alle attività economiche ed all’occupazione attraverso riforme incisive e coraggiose. La più urgente fra le riforme è quella fiscale:<br />
alleggerire impresa, lavoro e redditi familiari per stimolare investimenti, consumi ed occupazione e richiamare risorse da una lotta efficace all’evasione fiscale e dal contributo della rendita”.
<p>Comincia così la lettera Bersani ha inviato a Tremonti, allegando le proposte di riforma fiscale approvate dall’Assemblea nazionale del partito riunitasi a Varese l’8 e 9 ottobre. <br />
“Nel mese di novembre – ha concluso il segretario del Pd – assumeremo un’iniziativa parlamentare in materia fiscale. Vogliamo dare in Parlamento trasparenza e celerità alla discussione sul fisco.
<p>Mi auguro che per una volta il governo voglia accettare nella sede giusta un pubblico confronto di idee su una materia dirimente per le prospettive del Paese”. Di seguito, le linee guida del progetto di riforma del fisco delineate dall’Assemblea nazionale del Pd.
<p>
<b>Il contrasto all’evasione e all’elusione fiscale</b>
<p>
Una sostanziale riduzione dell’evasione e dell’elusione fiscale è condizione necessaria per realizzare le riforme proposte. Non possiamo avere livelli di imposizione europei e livelli di evasione sudamericani, dato il nostro debito pubblico. <br />
L’obiettivo di medio periodo, ossia la durata ordinaria di una legislatura, dovrebbe essere portare l’evasione italiana ai livelli medi dell’area euro. Il termini quantitativi vorrebbe dire dimezzarla e arrivare al recupero di 40-50 miliardi di euro l’anno.<br />
Per realizzare tale ambizioso, ma non impossibile obiettivo, si dovrebbe procedere lungo due strade: i controlli a posteriori attraverso l’uso efficiente e sinergico delle informazioni già a disposizione delle amministrazioni pubbliche; l’innalzamento della fedeltà nel pagamento delle tasse attraverso un’azione preventiva.
<p> Il governo Berlusconi ha prima eliminato i provvedimenti per combattere l’evasione fiscale, poi ha fatto i condoni per i grandi evasori (lo scudo) e infine, costretto dalla realtà, ha reintrodotto qualche pezzo di intervento contenuto nei provvedimenti di contrasto all’evasione che erano stati cancellati. La ricetta del governo ha fallito.
<p>
<b>Irpef 20 per cento</b>
<p>
La prima aliquota viene tagliata dal 23 al 20% e si fa in modo che vi sia un vantaggio per i giovani e per gli ultra-settantacinquenni.
<p>
<b>
Aumento delle detrazione e recupero fiscal drag per i dipendenti</b>
<p>
La cancellazione del recupero del fiscal drag da parte del governo di centrodestra ha penalizzato i lavoratori dipendenti. Oltre a prevedere il miglioramento dello detrazioni per i dipendenti, il Pd prevede di reintrodurre il meccanismo che evita un aumento della pressione fiscale dovuto all’inflazione.
<p>
<b>Bonus figli</b>
<p>
Per il sostegno alla famiglia si introduce il “bonus per i figli”, per dipendenti, parasubordinati, indipendenti (autonomi, professionisti, imprenditori).
<p>
<b>Lavoro femminile</b>
<p>
Per incentivare il lavoro femminile e sostenere la famiglia, si introduce una consistente detrazione fiscale ad hoc per il reddito da lavoro delle donne in nuclei familiari con figli minori.
<p>
<b>Lavoro autonomo, professionale ed impresa al 20%</b>
<p>
Si elimina gradualmente l’Irap sul costo del lavoro.<br />
Si premia chi scommette sulle sue capacità imprenditoriali e sulla propria azienda: la parte di reddito reinvestita nella propria azienda, nella propria attività professionale, nella propria società non viene tassata. <br />
Il reddito ordinario percepito dal lavoratore autonomo, dall’imprenditore individuale, dalla società di persone viene tassato al 20%. Soltanto la parte eccedente va in Irpef.
<p>
Per le società di capitale, la parte di profitti ordinari reinvestiti nell’azienda non viene tassata. La vigente aliquota Ires si applica solo agli extra-profitti.
<p>
<b>Studi di Settore</b>
<p>
Proponiamo una profonda riforma degli Studi di settore per evitare che continuino a essere una sorta di minimum tax, iniqua nei confronti dei contribuenti di dimensioni minori e, al tempo stesso, inefficace contro l’evasione. <br />
La riforma prevede, tra l’altro, la riduzione del numero degli Studi (oggi oltre 200), la revisione delle modalità di calcolo e un piano straordinario di formazione degli operatori dell’Agenzia delle entrate sul corretto funzionamento degli Studi e la modifica dei criteri di attribuzione della retribuzione di risultato.
<p>
<b>Ambiente in primo piano</b>
<p>
Negli ultimi anni, grazie ai governi del centrosinistra, si sono fatti importanti passi avanti in termini di fiscalità ambientale. Il governo Berlusconi ha bloccato il cammino. Vogliamo riprendere il cammino seguendo il principio della “responsabilità condivisa” e del “chi inquina paga”.
<p> L’obiettivo è comprendere nel conto il costo di risorse naturali scarse e non rinnovabili e le emissioni di agenti inquinanti, spostare il carico fiscale dal lavoro alle risorse ambientali utilizzate nei processi produttivi e dai consumi nocivi ai consumi sostenibili.<br />
<br/>fonte: <a href="http://www.deliamurer.it/cms/it.html?view=article&catid=7%3Ageneraliste&id=203%3Ariforma-fiscale-subito&tmpl=component&print=1&layout=default&page=">www.deliamurer.it</a>