Openpolis - Argomento: trattato di Maastrichthttps://www.openpolis.it/2012-08-07T00:00:00ZAntonio MARTINO: «I tedeschi vogliono imporre le regole, è un sopruso» - INTERVISTA2012-08-07T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it648089Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FI) <br/><br/><br />
«Avviano la terza guerra mondiale con la finanza, non con le armi. Non conoscono il Trattato di Maastricht: le politiche di bilancio sono dei singoli stati, e la Bce non può comprare debito. Non è questione di sentimenti anti-tedeschi, anzi. E’ la Germania che dà l’idea di voler avviare una terza guerra mondiale, non con le armi ma con la finanza».
<p>
Da un po’ il professor Antonio Martino, uno dei fondatori di Forza Italia, certo una delle sue anime davvero liberali (e spesso controcorrente), è di nuovo la mente economica più ascoltata nel centrodestra italiano.
<p> <b>Monti, l’Italia, la Germania, che sta succedendo?</b>
<p> «Vede, io ammiro le grandi qualità di quel popolo e so benissimo che un’Europa senza la Germania non è concepibile. Ma è come se avessero avviato la terza guerra mondiale, non con le armi ma con la finanza, e avessero intenzione di far precipitare l’intera Europa in un baratro. E guardi non lo dico solo io, lo dice Joschka Fischer. Cos’è, antitedesco anche lui?».
<p>
<b>Ha ragione Monti quando dice: «La possibilità che cresca un sentimento antitedesco è fondata»?</b>
<p>«Le frizioni tra i due paesi dipendono dal fatto che non è mai stato chiarito bene che il Trattato di Maastricht non impone ai membri dell’Eurozona di sopportare le decisioni di bilancio di altri paesi. Nel Trattato si parla poi di una Bce indipendente, e si fa anche divieto esplicito alla Banca europea di acquistare titoli del debito dei singoli paesi. Questa scelta, giusta, aveva una motivazione precisa: evitare la monetarizzazione del debito, e stabilire che le decisioni di bilancio sono esclusiva dei singoli stati».
<p>
<b>C'è un altro esempio?</b>
<p> «Accade qualcosa di simile negli Stati Uniti: né la Fed, né il governo federale, possono interferire con scelte di bilancio dei singoli stati. Per dire, in Texas non esiste l’imposta statale sul reddito, la California invece è tartassata, e infatti se la passa male».
<p>
<b>Non contribuiscono ad alimentare un sentimento antitedesco anche le frasi del Cavaliere sulla Merkel, o le prese in giro dei comici sulle caratteristiche fisiche della Cancelliera?</b>
<p> «Non credo. Ci sono caratteristiche antropologiche diverse, ne ha scritto anche Ida Magli rilevando che nell’Unione non si è dato vita a qualcosa di sovranazionale anche dal punto di vista del carattere. Ma conta di più questa malintesa accezione di Maastricht: i tedeschi non hanno motivo di temere di dover pagare gli errori di bilancio di altri stati. Se conoscessero Maastricht, non sarebbero in questa situazione di nevrosi».
<p> <b>Qual è il centro del problema?</b>
<p> «Berlino vuole imporre delle regole determinate da loro, ma è un sopruso. E’ il motivo per cui io il Fiscal Compact non l’ho votato, e non ho votato neanche a suo tempo Tremonti».
<p><b>Quali misure potrebbero favorire una maggiore comprensione tra i due Paesi?</b>
<p> «Io non auspico di uscire dall’euro, segnalo tra parentesi che al seminario di Villa Gernetto, che ho organizzato per Berlusconi, ho invitato anche il mio vecchio professore e amico di Chicago Bob Mundell, considerato uno dei padri dell’euro. Auspico però un’Europa dove ci sia una policy competition - non una competition policy - una vera concorrenza tra le politiche di bilancio dei vari stati; dal confronto tra ricette diverse emergerebbe qual è la migliore. C’è già uno stato, la Svizzera, che fa così, ed è l’unico che abbia un debito sceso dal 50 al di sotto del 30 per cento. Non si può pensare di applicare vestiti della stessa taglia a corporature diverse. Quando si è fatta l’Europa, a Messina e poi a Roma nel ’60, ministro degli Esteri era mio padre: ma allora c’era una Germania vogliosa di contribuire a qualcosa di comune, indebolita dalla Guerra, consapevole dei propri errori. Oggi il gigante è cresciuto troppo, e altri sono diventati troppo piccoli».<br /><br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1IPW0J">La Stampa - Jacopo Iacoboni</a>Alberto BURGIO: Unità della sinistra e autonomia dal centrosinistra2011-11-30T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it622175<br />
Che a sinistra si pensi di ribaciare il rospo è un bel segno dei tempi. Dà in primo luogo la misura del disastro provocato dal berlusconismo. L'ossessione per l'immoralità e l'indecenza dei comportamenti è tale che la sostanza politica passa in second'ordine. Come se un governo non fosse un'impresa politica, e come se non si potesse essere galantuomini e reazionari, persone competenti fieramente impegnate nell'attacco ai diritti sociali. Ma non solo di Berlusconi si tratta.
<p>
È questione, più in generale, di cultura politica. Ci si è talmente disabituati a pensare in termini di classe, che non si riesce più a leggere nemmeno un quadro nitido, di per sé inequivocabile.
<p>La cifra sociale di questo governo non è meno limpida di quella del precedente, lo è forse di più, se consideriamo il mandato che gli è stato affidato. Il governo Monti nasce per tradurre in realtà le indicazioni contenute nella lettera della Bce: occorre altro?
<p>A scanso di equivoci, è bene tenere presente che Bruxelles non si limita a tuonare contro l'eccesso di deficit e debito, ma indica nel merito il modo di ridurli: gli Stati-azienda debbono finanziarsi privatizzando, licenziando e tagliando il welfare, non possono mica redistribuire ricchezza. Maastricht e Lisbona non sono carta straccia! Del resto, vorrà pur dire qualcosa la martellante invocazione di «scelte impopolari» da parte di leader della maggioranza vecchia e nuova, di industriali e grande stampa. Che cosa s'intenda lo sappiamo bene: dopo 35 anni di sacrifici imposti al lavoro dipendente (in Italia si è cominciato con la svolta dell'Eur nel nome delle compatibilità), la prospettiva è quella di altri sacrifici per il lavoro dipendente, nel nome del risanamento o del rigore o dell'interesse generale. Non bastasse, c'è un problema costituzionale, grosso come una montagna.
<p>Il diktat della Bce rivoluziona la dinamica istituzionale, se è vero che la Costituzione riserva al Parlamento la prerogativa di esprimere maggioranze e governi, e al Presidente della Repubblica affida il compito di interpretare la volontà delle Camere e di favorirne la realizzazione. Se non vogliamo nasconderci dietro un dito, in questo frangente la sequenza è stata rovesciata.
<p>Il governo Monti è nato da un'iniziativa del Quirinale, che il Parlamento - sottoposto a una formidabile pressione interna e internazionale - si è limitato ad avallare. Non siamo noi a dirlo, lo ha ammesso a chiare lettere chi ha parlato di «governo del Presidente» (formula ignota ai Padri costituenti) e di «governo dell'emergenza» (invocando lo stato di necessità o di eccezione). Detto questo (che non è poco), la sostanza politica sta in una domanda: perché i partiti accettano di buon grado l'esproprio delle loro funzioni? perché consegnano ai «tecnici» il governo del Paese, mentre affermano di condividere il programma del nuovo esecutivo?
<p>Si dice: non c'erano le condizioni per un accordo tra Bersani e Alfano (né tra Casini e Di Pietro): Monti sarebbe lo snodo tecnico che permette una grande coalizione altrimenti impossibile. Ma è più verosimile un'altra spiegazione. Si tratta della classica astuzia tattica dei politici.
<p>Quando il sollievo per la cacciata di Berlusconi cederà il passo alla rabbia, si potrà spergiurare che il governo sceglie in piena autonomia e mettere in scena qualche scaramuccia parlamentare. Un bel parafulmine della collera popolare, già messa nel conto.
<p>Il fatto è che questa operazione non sarà per tutti a costo zero. Probabilmente per il Terzo polo e il Pdl si rivelerà un buon affare. L'elettorato di Fini e Casini gradirà privatizzazioni e «riforme» in stile gelminian-sacconiano. E la destra, a suo tempo, trarrà vantaggio dal denunciare le forzature quirinalizie. Il centrosinistra invece, a cominciare dal Pd, difficilmente ci guadagnerà. Gran parte della sua gente pagherà care le ricette di Monti.
<p>Il lavoro dipendente sarà tartassato; gli operai faranno i conti col modello Marchionne, ammirato dal premier; e i giovani, che tutti a parole intendono proteggere, seguiteranno a pascolare nella precarietà. Con ogni probabilità le «scelte impopolari» del nuovo governo apriranno una grossa falla nei consensi del centrosinistra. Ma se questo è vero, un nuovo scenario si apre anche per il nostro partito, per la Federazione e per l'intera sinistra.
<p>Alla domanda di reddito, di lavoro e di beni comuni questo governo e i partiti che lo sostengono non potrebbero dare risposta nemmeno se volessero. Dare visibilità e forza a tali rivendicazioni è compito dei comunisti e della sinistra di alternativa. Per far questo, due condizioni appaiono tuttavia ineludibili: l'unità della sinistra e la sua autonomia dal centrosinistra. Frammentata, la sinistra è ininfluente; interna al centrosinistra, sarebbe subalterna. I gruppi dirigenti ci riflettano e dimostrino di sapersi muovere con intelligenza e generosità. La nostra gente se lo aspetta, anzi, lo esige.<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=17LCM9">Liberazione</a>Antonio MARTINO: «Gravissimo l’acquisto dei titoli. Non dovevamo chiedere aiuto» - INTERVISTA2011-08-09T00:00:00ZOpenpolisinfo@openpolis.it590849Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FI) <br/><br/><br />
«Tutti i nostri problemi nascono dalla insensata, incontrollata, ingiustificata, ingiustificabile espansione della spesa pubblica. Perchè nessun paese al mondo è mai cresciuto quando le spese del settore pubblico superavano il 40% del reddito nazionale...».
<p> Antonio Martino, parlamentare Pdl, economista ed ex ministro di Esteri e Difesa, è un liberista a tutto tondo. E anche in questa intervista non smentisce la sua fama.
<p>
<b>La soluzione alla tempesta che sta travolgendo le economie mondiali è meno Stato e più efficiente?</b>
<p>
«In Italia e non solo, sicuramente. Ai tempi di mio nonno, agli inizi del ’900, la spesa pubblica assorbiva il 10% del reddito nazionale. Ai tempi di mio padre, negli anni ’50, assorbiva il 30%. Oggi la spesa pubblica assorbe il 51,1% del reddito nazionale. Va drasticamente tagliata».
<p>
<b>È per questo che lei dice che la proposta bipartisan, accolta dal governo, di introdurre in Costituzione l’obbligo del pareggio di bilancio è positiva ma non risolutiva?</b>
<p>
«È lodevole, ma non basta. Io preferisco avere una spesa pubblica del 30% con un un disavanzo notevole a una spesa pubblica del 50% con il bilancio in pareggio».
<p>
<b>Per ridurre le spese di così tanto, tocca tagliare gli sprechi ma anche i servizi ai cittadini...</b>
<p>
«Infatti bisogna cambiare il welfare all’italiana. È diventato costosissimo e inefficiente e non ce lo possiamo più permettere».
<p>
<b>E lei dove taglierebbe?</b>
<p>
«Nella voragine spaventosa di spesa sanitaria, che tra l’altro è iniqua, perchè noi tassiamo tutti, anche i meno abbienti, per dare sanità gratis a tutti, anche ai più agiati».
<p>
<b>Qual è la sua alternativa?</b>
<p>
«Un’assicurazione sanitaria obbligatoria. Chi se la può permettere se la comprerebbe, chi non se la può permettere riceverebbe un buono che gli consentirebbe di fornirsi della copertura. E il costo sarebbe infinitamente minore di adesso. E poi bisognerebbe incidere sulle pensioni di anzianità aumentando significativamente l’età di pensionamento per gli uomini e per le donne. Servono tagli veri...».
<p>
<b>L’ha sorpresa che anche ieri le Borse siano crollate nonostante la Bce abbia investito in titoli pubblici italiani e spagnoli?</b>
<p>
«Per nulla. Più che all’azione della sola speculazione siamo di fronte a una crisi di fiducia. Ecco perchè l’acquisto dei titoli di Stato non basta. E poi, il fatto che la Bce abbia acquistato titoli di stati membri è gravissimo...».
<p>
<b>Gravissimo?</b>
<p>
«Si perchè viola il trattato di Maastricht. Se la Banca centrale europea compra titoli di Stato nazionali lo fa stampando moneta, quindi con il rischio di generare inflazione a livello continentale».
<p>
<b>Ma se l’abbiamo chiesto noi che ci facesse la cortesia...</b>
<p>
«E secondo me hanno fatto male a chiederlo. Per ridare credibilità ai nostri titoli di Stato e ridurre così lo spread servono invece riforme. E i paesi che non rispettano i vincoli vanno non multati ma semplicemente espulsi dall’area dell’euro. Sennò, come sta accadendo ora, rischia di saltare l’euro stesso».<br />
<br/>fonte: <a href="http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=13090P">Giorno/Resto/Nazione - Alessandro Farruggia</a>